Scorta di notte su mare infido

Vanno a combattere in Africa su piroscafi grigi, nel buio e nel mistero; intorno al convoglio inerme alzano gli scudi le navi da guerra.

DA BORDO DI UN INCROCIATORE

Non dirò naturalmente quanti eravamo, né per quale strada diretti, né donde partiti. Nel mare, presso le nostre coste, incontrammo i piroscafi da scortare. Erano grandi, chissà quanti nostri soldati portavano: uno diceva almeno diecimila, altri diceva di più. Non avevano più i loro festosi colori del tempo di pace, bensì una tinta cupa. Sulla estrema prora e forse anche altrove (in lontananza non si vedeva bene) portavano cannoni. I fastosi palazzi candidi che traevano principesse attraverso gli oceani! Ora torve caserme senza nome! Li guardai col binocolo: i baffi di schiuma risaltavano contro le tetre murate e sui bordi si scorgeva come una lanugine fulva: uomini forse, vestiti di kaki, assiepati alle balaustre. Di più non riuscivamo a distinguere.

Era un pomeriggio meraviglioso, col mare quasi violetto e un sole bianco. Anche per questo la comparsa del “nostro” incrociatore e dei suoi gemelli doveva riuscire cara all’animo dei soldati. Dinanzi alle prore si apriva verso sud un mare non amico. E guardandolo può darsi che molti, sui ponti dei piroscafi, si sentissero il cuore sospeso. Le armi e il coraggio che portavano seco, che cosa potevano servire contro tale nemico? Il mare, come per sortilegio, li svuotava di forza, li rendeva inoffensivi, degli uomini qualunque, dei bambini. Ed erano migliaia, su bastimenti pressoché inermi.

Intorno a sé, fin dalla partenza, essi avevano visto caccia e torpediniere. Ma sarebbero bastati? Così adesso si affacciavano, ridenti, alle ringhiere, facendo segno agli incrociatori; una scorta da principi, che cosa desiderare di più? Mentre alla loro volta i marinai guardavano con qualche orgoglio le navi fragili e grandi, dicendo: eccoci, laggiù nel deserto sarete voi a combattere, oggi siamo noi che vi difendiamo.

Quante volte, negli ultimi mesi, marinai e soldati si sono guardati così, da nave a nave, attraversando il Mediterraneo. E qui sarebbe giusto ricordare come si conviene questa guerra oscura, anzi segreta, che la Marina conduce senza pause e che nessuno conosce. Dite: guerra per mare, e il pubblico pensa subito a battaglie tra corazzate, a spedizioni fulminee, siluramenti audaci, duelli a viso aperto. Queste invece si possono dire eccezioni: sotto c’è tutto uno strato di altro lavoro molto difficile, non meno pericoloso forse, talora eroico ma in genere privo di splendore, tenuto apposta nel buio perché il nemico non sappia. Si vuol parlare qui specialmente delle scorte ai convogli che recano ai fronti oltremare uomini, armi, viveri, medicinali, benzina, tutto l’occorrente per fare la guerra.

Caccia e torpediniere i protagonisti di tale guerra ignota. In fatto di missioni essi possono vantare un primato. Bello o cattivo tempo, sommergibili inglesi segnalati o no, i piccoli bastimenti fanno la spola da riva a riva difendendo gli inermi vascelli; trincee naviganti dei soldati in viaggio per l’Albania o per la Libia. Con quale animo partirebbero i piroscafi se non avessero al fianco qualche autentico guerriero, pur minuscolo al paragone. Se di giorno e di notte non se li vedessero guizzare intorno, sempre con gli occhi spalancati, sempre con la mano alla spada?

Ma stavolta la spedizione è grossa, di troppe anime sono carichi i bastimenti perché le esili siluranti possano bastare. Sono usciti perciò gli incrociatori. I quali si mettono di fianco al convoglio (o di prora o di poppa, noi certo non lo diremo), e via senza paure verso la notte. Allora si pensa: che cosa faranno in questo momento, sulle mastodontiche navi, i fratelli vestiti di kaki? Essi cantano in coro, spensierati, essi fumano, essi traggono dalle sacche l’ultimo vivo frammento della loro casa, il salamino domestico, una fotografia, il dolce fatto dalla mamma. Intanto il mare ha perso quel bell’azzurro profondo di prima, la costa è dileguata alle spalle, le acque appaiono di minuto in minuto meno italiane, per così dire. Tra poco comincerà il tramonto, verrà o non verrà il nemico? E qui gli sguardi volgono con una sottile inquietudine alle onde circostanti. Ci sono ancora gli incrociatori, i cari compagni? Non si sono allontanati, per caso? No, gli incrociatori sono ancora presenti e dicono: state tranquilli.

Un mese fa circa un mio fratello più giovane era proprio sul transatlantico che oggi apre il convoglio; e viaggiava ugualmente verso sud, in direzione dell’Africa. Anche lui forse, benché certamente non avesse paura, guardava ogni tanto i guerrieri di scorta, santo Dio, era più che umano. Anche allora forse c’erano incrociatori, proprio con le stesse modalità di oggi; e il sole a una data ora si mise al tramonto, riempiendo di malinconia i soldati (e pure lui forse) come stasera, per il noto influsso del crepuscolo sul cuore umano.

Cade infatti insieme con la luce la leggerezza degli animi, la voglia di scherzare, le risa. Quella che avanza è dopo tutto una notte seria, non facile, da cui possono dipendere molte cose. C’è una specie di barriera da varcare, a metà del cammino, un passo alquanto rischioso. Ma lassù, nelle mille e mille case, mamme pregano inginocchiate dinanzi a immagini della Madonna. Esse la pregano di mandare a protezione dei figlioli qualcuno di molto efficiente, un angelo custode per esempio, oppure un incrociatore come quello su cui navighiamo.

Scese che furono le ombre, la luna illuminò ancora la scena attraverso pallidi veli, cosicché si vedessero intorno le onde per largo raggio, ma ogni tanto si incontravano banchi tenui di nebbia, alti a perdita d’occhio; sembravano smisurati fantasmi che trascinassero il sudario sul mare. E i bastimenti apparivano a noi, in distanza, come improbabili ombre, piccole isole che ci inseguivano con ostinazione. Eravamo in un tratto del Mediterraneo veramente poco ospitale, che qui naturalmente non spiegheremo. Mai vedemmo le vedette, gli ufficiali, i marinai tutti scrutare con simile intensità l’inquieto deserto circostante. Se gli occhi si consumassero a guardare, metà degli equipaggi avrebbero fatto ritorno ciechi (Uno dice: «Ma che cos’è quell’ombra?». «Che ombra?» «Laggiù; una quarantina di gradi a dritta, non vedi?… sembra una cosa nera, piatta…» «Ma io non vedo niente…» «Aspetta… Non la vedo neppure io adesso… Mah, chissà che cos’era.»).

Al di là dell’orizzonte, forse non lontani, uomini apparentemente simili a noi desideravano, strana cosa, che le nostre navi colassero nei fondi marini. Desideravano con ardore la nostra morte, la quale avrebbe loro procurato, incredibile a dirsi, gioia e onori. Ma con ben maggiore decisione questo loro desiderio era contrastato da noi, se pure occorre dirlo. Cosicché le navi viaggiavano con i nervi scoperti, senza mollare un attimo, e pareva dessero di tanto in tanto un colpetto sulle spalle dei grandi bastimenti indifesi, a scopo di incoraggiamento (Uno dice: «Che cosa guardi tanto nel binocolo?». «Che vuoi che ti dica? A me pare di aver visto dei piccoli lampi da quella parte, come un proiettore che si accendesse e spegnesse, ma lontanissimo. Tu non vedi niente?» Un lungo silenzio e poi: «Ma sì, ma sì, anch’io ho visto un piccolo lampo… può darsi però che sia stata un’impressione. Con questa luce se ci si mette in mente qualcosa, si finisce a vederla per forza…». «A meno che non siano stelle… Quando sono lì per tramontare, e stanno per toccare le acque, sembrano lumi, alle volte.»).

Videsi arrivare mezzanotte, mezzanotte passare, venire le una, le due, niente si scorgeva sul mare, niente di sospetto fin dove poteva arrivare la vista. La notte gravava ormai sul mondo e sulle palpebre dei soldati a bordo dei transatlantici, che lottano con il sonno. Tra le ciglie essi ricercavano però ancora le sagome nostre, le ombre degli incrociatori, da cui traevano calma. Non era infatti una notte specialmente favorevole al sonno, per via delle cose che venivano in mente, cose di argomento britannico. Probabilmente, sia detto con tutto il rispetto, pure i generali a bordo dei piroscafi non trovavano molto facile l’addormentarsi; non per niente su di essi pesava in certo modo la sorte di tanti soldati, la cosiddetta responsabilità. Ed era più che giusto guardassero anch’essi con simpatia le figure nobili degli incrociatori.

Ora, come cronisti imparziali, diciamo francamente una cosa: non tutti la pensavano esattamente allo stesso modo, quella notte, sulle navi italiane. Lo stato d’animo a bordo dei grandi piroscafi non coincideva insomma con quello degli incrociatori e dei caccia, perché negarlo? A bordo dei piroscafi si pensava: purché si passi una notte tranquilla! purché gli inglesi non facciano brutti scherzi! purché non ci siano sommergibili! e altri voti dello stesso genere. A bordo degli incrociatori si pensava – e che farci se ciò non era assolutamente ortodosso? – si pensava: i piroscafi devono arrivare sani e salvi, su questo non si può transigere, non devono incontrare alcun disturbo, compete loro un viaggio da signori (però, ecco, non per menare gramo, ma se ci fosse qualcosa per noi da fare! se qualche inglese si facesse vivo! se fosse possibile una piccola spiegazione, tra noi e loro, sotto la luna, a distanza ravvicinata!). Tale l’animo dei marinai, positivamente: essi non desideravano una notte tranquilla.

Intendiamoci: ogni precauzione era stata presa affinché il convoglio si compisse in segreto. Eravamo “oscurati” come il carbone, non una sigaretta accesa in coperta; tutto si era fatto perché il nemico non sapesse niente di noi, ignorasse la nostra rotta, non ci vedesse. (Però – pensavano i marinai – se invece si fossero accorti, se ci mandassero contro qualcuno, non sarebbe in fondo una bella occasione?) E giovani occhi si alternavano ai binocoli perlustrando avidamente le acque, perché si sentiva che era giunta l’ora buona.

Ma niente succedeva, gli inglesi rimanevano un’entità astratta, il mare un rigoroso deserto. Finché, sui piroscafi, il sonno e la giovinezza poterono di più che i pensieri fastidiosi di argomento britannico. I nostri bravi soldati si fidarono completamente, a uno a uno lasciarono cascare la testa da un lato, sulla spalla del compagno, sullo zaino, sul salvagente, piombando nel sonno. Prima i soldati – è probabile sia successo così – poi i graduati, poi gli ufficiali, i generali per ultimi, se pure chiusero occhi (essendo i padri di tanta famiglia).

In tal modo si avvicinò il mattino, la zona pericolosa era passata, il cammino rimanente prospettavasi sotto i più lieti auspici, i marinai degli incrociatori rinfoderarono, per dir così, la spada, brandita per ore e ore inutilmente. Non che se ne andassero a dormire, non vorremmo essere fraintesi, o abbandonassero i pezzi per stendersi sulla branda. Volevamo dire che la grande avventura per quella notte non poteva succedere più (motivo di legittima compiacenza per i piroscafi, di legittimo rimpianto per i cannonieri delle navi armate) o per lo meno era estremamente improbabile. Cosicché gli animi, già tesi, eseguivano una parziale smobilitazione.

Non desti scandalo questa confessione tra i soldati che viaggiavano sui piroscafi, non se l’abbiano per male. La loro sicurezza fu assolutamente la cosa più importante, quella notte. Del resto, se foste stati marinai, su bastimenti da guerra, avreste pensato esattamente lo stesso anche voi, siate sinceri. E considerate poi che preoccupazioni di questo genere non ne avrete più per tutta la vita. Mai più partenze verso acque sospette, mai più scorte armate, né zigzagamene prudenziali, né misteri di alcun genere. Pensateci. Voi farete ritorno dall’Africa su navi dipinte di bianco e di rosso, con tante bandiere, gli oblò spalancati, miriadi di luci accese per tutta la notte.

Con preghiera di voler far pervenire questo articolo, se approvato, all’Ufficio romano del “Corriere della Sera”, corso Umberto 380.

15 marzo 1941