Claudio Marchisio

Era da tempo immemore che non si vedeva un torinese purosangue vestire con tale profitto la gloriosa casacca a strisce verticali bianche e nere, ma quella fra Claudio Marchisio e la Signora sembra davvero una storia d’altri tempi: una favola moderna di rara bellezza che racconta di un amore sincero e sicuramente reciproco. Seguendo l’esempio romantico delle vecchie bandiere, il portentoso centrocampista dagli occhi azzurri e dallo stile principesco è infatti riuscito a legare la sua brillante carriera alla squadra per cui ha sempre palpitato il suo cuore di tifoso. Una rarità che nel calcio prosaico dei nostri giorni appare quasi come un sogno impossibile, che il campioncino del nuovo millennio ha avuto il merito di tradurre in realtà.

Il legame vincente col bianconero si instaura già nel lontano 1993, quando il piccolo Marchisio, all’età di 7 anni, inizia a sgambettare nel vivaio juventino, pronto per affrontare tutta la trafila delle giovanili. Se non avesse fatto il calciatore, probabilmente avrebbe fatto il calciatore, perché ai libri di scuola preferisce fin da subito il pallone. La mamma lo asseconda e lo accompagna ovunque, mentre Claudio impara i rudimenti dello sport più amato d’Italia cimentandosi come attaccante, per di più con la fascia di capitano al braccio. Da sfegatato tifoso juventino, il suo idolo è ovviamente il numero 10, Alessandro Del Piero, ma al tempo non può certo immaginare che riuscirà a giocarci insieme. Quando Alex vince la Coppa Intercontinentale con un gol ormai entrato nella leggenda bianconera, Marchisio ha appena terminato le scuole elementari e il suo talento grezzo comincia a farsi notare. Il passaggio alla Primavera si rivela una semplice formalità, ma i suoi allenatori Maggiora e Schincaglia non lo vedono bene come punta avanzata, anzi decidono di arretrarlo prima come centrocampista centrale e poi davanti alla difesa. Questa felice intuizione sarà la sua fortuna, e da quel momento in avanti, per forza di cose, il suo modello di riferimento non potrà più essere Del Piero. Incollato per ore davanti alla tv, Claudio comincia invece a studiare passo passo i movimenti di Steven Gerrard, capitano e bandiera del Liverpool, nonché assoluto cattedratico del centrocampo.

Nella nuova veste di mediano, il biondino dal portamento principesco mette in mostra classe e leadership, segnalandosi come uno dei prospetti più interessanti del panorama italiano. Dopo aver vinto il Torneo di Viareggio nel 2005, l’occhio lungo di Fabio Capello si accorge di lui, tanto che Marchisio si aggrega sempre più spesso alla prima squadra. I tempi non sono ancora maturi per un debutto in A, ma tutto viene stravolto all’improvviso dell’uragano Calciopoli, che nel 2006 trascina di prepotenza la Juventus nel pantano della serie cadetta. Molti big fuggono a vele spiegate verso altri lidi e perciò, prelevati stabilmente dalle giovanili, alcuni ragazzi di belle speranze hanno la possibilità di bruciare le tappe. De Ceglie, Giovinco e ovviamente il ventenne Marchisio trovano pian piano il loro spazio al fianco di Del Piero, Buffon, Nedved e Trezeguet. Il tecnico bianconero Didier Deschamps si fida di Claudio e sempre più spesso gli concede le chiavi del centrocampo juventino. Così, con 25 presenze da incorniciare, anche il novizio dagli occhi azzurri offre il suo prezioso contributo per l’immediato ritorno all’empireo della serie maggiore.

Conclusa vittoriosamente una stagione per fortuna unica nella storia bianconera, Marchisio ha subito la possibilità di esordire in quella serie A faticosamente conquistata sul campo, tuttavia dovrà farlo con una maglia diversa. Viene infatti ceduto in prestito all’Empoli assieme all’amico Giovinco. I due giovani juventini giocano bene e si guadagnano i riflettori, sfruttando questa annata per irrobustire la tecnica e per rendere più smaliziato il proprio approccio agonistico. Tra pomeriggi di campionato e serate di coppa, il biondino del centrocampo empolese mette insieme 29 presenze da protagonista assoluto, tanto che il suo allenatore, Luigi Cagni, in diverse occasioni si troverà a spendere parole più che lusinghiere nei suoi confronti. La sua rapida maturazione e le sue prestazioni da 8 in pagella non riusciranno comunque a evitare la retrocessione del club toscano, ma questa sarà per Claudio una delusione passeggera, perché da lì a breve verrà annunciata ufficialmente la fine del suo esilio in provincia.

Il 2008 è l’anno della svolta sia a livello personale che professionale. Il talento nato e cresciuto sotto la Mole può finalmente far ritorno a casa. La Vecchia Signora lo reclama e lui, senza pensarci un attimo, risponde subito presente. Sarà un anno davvero indimenticabile, scandito da momenti irripetibili: l’esordio in A con la maglia della Juve, l’Olimpiade di Pechino coi colori azzurri, il matrimonio pochi giorni prima di partire per la Cina con la sua Roberta. Sebbene in bianconero non possa ancora vantare un ruolo da titolare inamovibile, Claudio approfitta comunque di ogni occasione per farsi trovare pronto e mettere in difficoltà il suo omonimo, vale a dire mister Ranieri. Scavallato Capodanno, il 24 gennaio del 2009 riesce addirittura a segnare il suo primo gol in serie A, decisivo ai fini della vittoria sugli eterni rivali della Fiorentina e per di più su assist del suo idolo d’infanzia Del Piero. Meglio di così non potrebbe andare, anzi sì: perché grazie alle prestazioni offerte anche in Champions, il quotidiano inglese «The Times» lo inserisce al decimo posto, e miglior italiano, nella lista dei 50 «astri nascenti» del calcio internazionale.

Il gioiellino della mediana bianconera è ormai sulla bocca di tutti, ma all’inizio della stagione seguente, proprio mentre da più parti si inneggia alla sua definitiva esplosione, un infortunio all’apparenza non grave lo costringe ad operarsi al menisco destro. Sarà solo il primo di una lunga serie di guai alle ginocchia che lo tormenteranno per tutta la carriera, ma per lo meno, in quel frangente, lo stop forzato non supererà i quaranta giorni. L’11 marzo del 2010, tornato a calcare stabilmente i rettangoli verdi, Marchisio indossa per la prima volta la fascia di capitano dopo l’uscita dal campo di David Trezeguet nella trionfale sfida d’andata degli ottavi di Europa League contro il Fulham. Claudio ha da poco compiuto ventiquattro anni e quello rappresenta il momento della sua irrevocabile consacrazione. La maglia numero 8 è ormai di sua proprietà, e con essa un ruolo da insostituibile nell’undici juventino.

Marchisio tornerà a sfoggiare i gradi di capitano nell’aprile del 2011, stavolta dal primo minuto di gioco, nel corso dell’indimenticabile trasferta dell’Olimpico vinta per 2-0 contro la Roma. Frattanto, in casa Juve, tutti hanno cominciato già da tempo a chiamarlo Principino per il comportamento sempre impeccabile sul terreno di gioco e per il gusto d’altri tempi nella scelta del vestiario. Il copyright appartiene al giornalista Paolo Ziliani, che in effetti ha colto nel segno coniando questo vezzoso soprannome. Claudio è uno che all’eleganza ci tiene parecchio, e può permetterselo. Perfino agli allenamenti si presenta in giacca e camicia, una mise certamente non diffusa tra i ragazzi della sua età. Anche la moglie lo prende spesso in giro per questo motivo, ma il Principino non se ne cura e continua imperterrito a presentarsi dal suo sarto di fiducia per scegliere i tessuti, discutere del taglio e concordare tutte le rifiniture, bottoni compresi. Ciò che un minimo lo preoccupa del nomignolo che gli è stato affibbiato, semmai, Marchisio lo spiega chiaramente in una intervista rilasciata a tuttomercatoweb.com (il 10 gennaio 2013): “Se sul campo sei visto come un principino qualcosa non va, magari sei troppo lezioso. Io sono 50% fabbro e 50% principe. A centrocampo si fa anche il lavoro sporco, si mostrano i denti”.

Per dimostrare di non essere un eterno principe senza corona, Claudio deve attendere il 2011-’12 e l’arrivo in panchina di Antonio Conte, oltre che di due campioni del calibro di Andrea Pirlo e Arturo Vidal come compagni di reparto a centrocampo. Da quel momento in avanti, per la Signora e per il suo numero 8 inizia un ciclo dorato senza precedenti, che ogni anno si tinge immancabilmente di tricolore. Una egemonia che prosegue ininterrotta anche sotto la reggenza Allegri e che vede Marchisio tra i maggiori artefici di questo trionfo da record, cui fanno in tempo ad aggiungersi ben 4 Coppe Italia consecutive. Nel mezzo, purtroppo, anche tre finali europee perse contro rivali iberici: le due sfide secche di Champions al termine delle quali si affermano prima il Barcellona di Messi e poi il Real di cr7, inoltre l’entusiasmante cavalcata all’Europeo di Polonia-Ucraina nel 2012, che si conclude mestamente proprio all’ultimo atto con la sonora disfatta ad opera delle Furie rosse. Tanto in bianconero quanto in azzurro, gli spagnoli rappresentano evidentemente la bestia nera di Marchisio, ma nessuna débâcle, per quanto dolorosa, riuscirà mai a corrodere le fastose vestigia di un’avventura così bella e irripetibile.

Lungo un intero decennio di onorata reggenza nel mezzo del campo, il Principino della Juventus ha fatto incetta di scudetti e numerosi altri trofei, ricoprendo diversi ruoli e mansioni all’interno dello scacchiere bianconero. Forte di una tecnica sopraffina e di una visione di gioco da primo della classe, Claudio ha svariato nel corso degli anni sia in posizioni più avanzate come trequartista, esterno e seconda punta, sia più arretrate come mediano o regista basso davanti alla difesa. Differenti declinazioni di un tuttofare capace di ritagliarsi sempre un posto di rilievo, un jolly prezioso per qualsiasi allenatore, un multiuso in grado di fare il Pirlo oppure il Tardelli, a seconda delle occasioni. Proprio il paragone con l’indimenticata gloria del centrocampo juventino anni Ottanta calza perfettamente sulle spalle di Marchisio, che lusingato ammette di non disdegnare affatto il nomignolo di “Tardellino”. Al suo celebre alter ego lo lega in particolar modo un’attitudine arrembante all’inserimento verso rete, come pure la capacità di esplodere cannonate imparabili da fuori area. Chiedere per conferma ai portieri di Napoli, Milan, Cesena, Atalanta, Roma, Udinese, Cagliari: tutti abbattuti da una fucilata del cecchino con la numero 8 tatuata sulla pelle. Tanti gol, nessuno banale, anzi spesso di complicatissima esecuzione, come lo slalom in dieci centimetri e il tocco sotto contro l’Inter, o la volée al Parma su imbeccata di Pirlo, o ancora la sensazionale mezza rovesciata contro l’Udinese, sua vittima prediletta. Senza dimenticare la doppietta da vero gladiatore bianconero inflitta agli odiati cugini del Toro (nel derby del primo dicembre 2012).

Corsa, visone e gol da urlo: qualità e quantità che, per larga parte della carriera, hanno permesso al Principino della Juve di essere considerato come uno dei centrocampisti più forti e completi del panorama europeo, nonché uno dei migliori calciatori italiani della sua generazione. D’altronde, inutile girarci intorno, il sogno di Claudio Marchisio è sempre stato quello di seguire le orme di capitan Del Piero, per essere ricordato anche lui come un uomo-simbolo bianconero: «Si parla di bandiere che non ci sono più, di calcio globale che cambia, di valori che si sarebbero persi. Io ho solo in mente di fare il numero più alto di presenze con questa maglia. Sarebbe il massimo per me: diventare una bandiera della Juve. Vorrei poter non andare più via.»

Purtroppo non andrà così. Al termine della stagione 2018-’19, il Principino sarà costretto a conquistare il suo ottavo e ultimo scudetto personale non più alla corte della Signora, bensì in terra di Russia, con indosso la maglia dello Zenit San Pietroburgo. Ciò nonostante, per tutti i tifosi bianconeri Claudio Marchisio resta uno di loro. Un fedelissimo da 389 presenze ufficiali e 37 gol. Un campione di rara eleganza, sia in campo che fuori. Un’autentica bandiera juventina, proprio come ha sempre desiderato.