Angelo Di Livio

Poteva essere una storia come tante: quella del bravo calciatore che, partito dal vivaio di una grande squadra per maturare altrove, finisce col far perdere le sue tracce nel sottobosco dei campionati minori. Invece, per una virata inattesa e propizia del destino, Angelo Di Livio ha ottenuto in tarda età l’occasione di riscoprirsi pedina fondamentale ai massimi livelli, dopo oltre un decennio trascorso a vagare a bassa quota, lontano dai radar della serie A.

Fin dai tempi delle giovanili, il giovane romano della Bufalotta dimostra di possedere buona tecnica, una capacità polmonare straordinaria e tanta, tantissima generosità. Occorre però che queste sue caratteristiche vengano temprate, così lo obbligano a salutare le juniores della Roma, la sua squadra del cuore, per andare a farsi le ossa nei duri campi di C: dapprima alla Reggiana, poi alla Nocerina e infine al Perugia. Intanto gli anni passano e i giallorossi non lo richiamano più alla base, anzi decidono di vendere il suo cartellino ai grifoni umbri. A questo punto, il primo colpo di scena: la buona stella di Angelo, unitamente all’intercessione di Sant’Antonio, fa materializzare un contratto insperato con il Padova, in serie B. Galvanizzato e pieno di entusiasmo, Di Livio ripaga la fortuna mettendo in fila quattro stagioni, una più bella dell’altra. Lui gioca sempre e bene, inzuppando la maglia di sudore lungo 138 gare di campionato, condite da 13 marcature. Questo, tuttavia, non è ancora sufficiente a smuovere le acque. Per quanti sforzi faccia, ai piani alti nessuno sembra disposto a concedergli una chance.

A ventisette anni suonati, il destino del volenteroso centrocampista romano appariva ormai segnato. E in effetti sarebbe stata una storia come ce ne sono tante, se il fato non fosse di nuovo intervenuto col suo proverbiale zampino. La svolta decisiva avviene nell’estate del 1993, in pieno trambusto da calciomercato. Nel Padova gioca un ragazzino trevigiano dal talento straripante che si chiama Alex Del Piero, e la Juventus è disposta a fare carte false per accaparrarselo. Nel corso della trattativa, quasi per caso, capita in mezzo anche il nome di Angelo Di Livio. A suggerirlo è il direttore sportivo patavino Piero Aggradi, compagno di squadra in bianconero di Boniperti negli anni ’50. La buona sorte vuole che l’allenatore juventino Giovani Trapattoni stia proprio cercando un’ala destra con caratteristiche difensive che possa sostituire Paolo Di Canio. A ben vedere, la disciplina tattica dell’ottimo Di Livio è esattamente quello che serve, o almeno il Trap ne sembrerebbe convinto. Così, in modo del tutto fortunoso e rocambolesco, il cadetto baciato dalla dea bendata viene catapultato all’istante tra le fila della Vecchia Signora.

Appena giunto a Torino, Angelo si presenta davanti alla scrivania del presidente Boniperti con una acconciatura da tamarro stile Duran Duran, corta davanti e lunga dietro. L’ex riccioli d’oro della Juve pluridecorata del secondo dopoguerra, che alla capigliatura ci ha sempre tenuto in modo particolare, prima della firma del contratto spedisce Di Livio dal barbiere. La nuova leva obbedisce e torna nell’ufficio di Boniperti con un taglio da caserma, più consono all’irreggimentato ambiente juventino.

Questo look gli dona. Dopo la lunga gavetta, Angelo si è finalmente guadagnato un ruolo da soldato scelto, schierato al servizio della causa bianconera e ben presto anche dei colori azzurri in Nazionale. Anzi, per tutti diventa Soldatino, un nomignolo affibbiatogli da Roberto Baggio per quel suo stile di corsa così rigido, con le spalle strette e le braccia lungo i fianchi. Un appellativo che si rivela più che azzeccato anche per descriverne le caratteristiche tattiche: prodigo e disciplinato com’è nell’eseguire alla lettera le diverse consegne che gli allenatori hanno in serbo per lui. E la prima missione che il Trap gli affida è di quelle fratricide. Soldatino deve esordire in maglia bianconera il 5 settembre del 1993, ironia della sorte, proprio contro la sua Roma, all’Olimpico, davanti a parenti e amici.

L’emozione è grande, ma Angelo non tentenna e adempie impeccabilmente al suo compito. Da lì in avanti saranno molti gli ordini che si troverà a dover assolvere. E in ogni occasione si dimostrerà una garanzia. Volenteroso, concentrato e altruista, il nuovo coscritto juventino scava la sua trincea lungo la fascia laterale del campo e per novanta minuti si occupa di farci la ronda avanti e indietro un numero inenarrabile di volte. Nel frattempo, sul Pianeta Juve scoppia la rivoluzione. Fuori Boniperti e Trapattoni, dentro il Triumvirato Moggi-Giraudo-Bettega, con le chiavi della squadra affidate a Marcello Lippi. Il nuovo mister, bisogna dirlo, ha le idee piuttosto chiare e non vede Di Livio come un possibile titolare. Stavolta non si potrà sperare nell’ennesimo colpo di fortuna, bisognerà farsi in quattro per mettersi in luce, ma il guerriero romano non è tipo da abbattersi tanto facilmente. Al contrario, il suo carattere è perfetto per affrontare le avversità. Un carattere gioioso e positivo, sempre incline allo scherzo.

Quando si tratta di cameratismo, Soldatino si schiera subito in prima linea e il suo repertorio da uomo-spogliatoio è vastissimo: gavettoni, scarpe incollate, macchine spostate nei parcheggi o ritrovate completamente coperte di fango, infine tutta la gamma dei tagli, da quelli alle cravatte fino ai tagli alle mutande. Una volta, nell’infilare i calzini, Ciro Ferrara li trova senza punte ed esterrefatto prende subito a gridare il nome di Di Livio. Ma alla goliardia da caserma, in quell’estate di profonde trasformazioni, si affianca un impegno sul campo che assume per davvero connotati militareschi. Sotto la sferza del preparatore atletico Giampiero Ventrone, i bianconeri si addestrano tra corsa, addominali, palestra e percorsi minati. Insomma un massacro a tutti gli effetti, con tanto di campanella della vergogna da suonare in caso si voglia gettare la spugna. Angelo sputa sangue in allenamento e alla fine convince Lippi a concedergli spazio. Anzi, è proprio l’allenatore viareggino a regalargli la gioia impensabile del primo scudetto nella sua seconda vita da calciatore, facendogli inoltre scoprire un’altra sua dote tattica nascosta: la duttilità.

Nello scacchiere bianconero, il soldato Di Livio viene spedito da Lippi in avanscoperta verso ruoli per lui del tutto inediti. Lo si vede anche sul versante sinistro come ala, poi al centro da mediano, talvolta addirittura sulla linea dei difensori. Il meticoloso romano obbedisce e fa tutto al meglio, rivelandosi giocatore universale, un jolly capace di interpretare qualsiasi mansione, purtroppo anche quella di interinale. Difatti, nel corso del nuovo ciclo vincente juventino, è senza dubbio lui il recordman di sostituzioni: 50 delle quali le subisce, mentre per 76 volte gli capita di subentrare dalla panchina. Angelo viene escluso dalla rosa dei titolari pure nella partita più importante della sua carriera. È il 26 maggio del 1996 e all’Olimpico di Roma, lo stadio del suo destino, va in onda la finalissima di Champions League fra Juve e Ajax.

Il risultato ristagna sull’1-1, le trame di gioco sono lente e macchinose, ma appena Soldatino viene gettato nella mischia, all’inizio del secondo tempo, la Vecchia Signora ringiovanisce come per incanto. Quel mercoledì sera, Di Livio ne ha per tutti. Lo si vede imperversare ovunque, prima in marcatura, poi rifornendo i compagni di assist, infine mettendo in mostra più e più volte il suo marchio di fabbrica, ossia la frenata brusca dopo una prepotente accelerazione: una finta efficacissima rubata col copia-incolla al suo idolo Bruno Conti. Il traguardo più ambito si materializza dopo i rigori. E il bravo soldato, ubriaco di gioia, si sbraccia come impazzito, saltellando e piangendo nel bel mezzo al campo in mutande.

La miglior prestazione in assoluto a livello internazionale resta comunque quella offerta da Angelo durante la finale di Coppa Intercontinentale vinta in quel di Tokyo ai danni del River Plate. La sua pagella parla chiaro: “Di Livio, 7.5 – imprendibile sulla fascia destra. È il simbolo della Juve di Lippi, misto di volontà, sacrificio e rendimento.” Dopo quella notte magica, che completa il biennio virtuoso di marca bianconera aggiungendo il terzo trofeo allo scudetto e alla Coppa dalle grandi orecchie già sistemati in bacheca, per Soldatino arriveranno altri 2 tricolori e una Supercoppa uefa, la seconda della storia juventina. Infine, con ben 199 battaglie all’attivo in 6 anni di onorata militanza, alle soglie del nuovo millennio il gagliardo romano è costretto a dire addio ai suoi compagni d’armi per vestire la divisa viola della Fiorentina.

Avrebbe potuto fare la fine di un qualsiasi milite ignoto, invece Angelo Di Livio ha avuto la fortuna e la bravura di inscrivere il suo nome a chiare lettere sul secolare monumento bianconero.