Antonello Cuccureddu
Mancano solamente due minuti al termine di Cagliari-Juventus e i bianconeri stanno perdendo per 1 a 0. Il club sardo della stagione 1969-’70 è quello imbattibile di “Rombo di Tuono” Gigi Riva, e anche quel 16 novembre sembra che non ci sia scampo per i rivali. Specie per quella Juve, una squadra piena di giovani senza troppa esperienza che non riesce neppure a risalire dalle zone basse della classifica. Fra i ragazzi juventini ce n’è suo che ha sulle spalle la numero 10 e gioca da mezzala. È al suo esordio assoluto tanto in maglia bianconera quanto in serie A: ha compiuto venti anni da poco e il suo nome, Antonello Cuccureddu, denuncia le sue origini e svela che quella partita ha per lui un sapore tutto particolare.
Un calcio d’angolo è l’ultima opportunità per la Vecchia Signora di battere Albertosi, il portiere del Cagliari. Il pallone danza beffardo nell’area di rigore, finché Antonello ci si avventa con tutta l’esuberanza della sua giovane età e lo scaglia in rete, zittendo il pubblico di conterranei che dal fischio d’inizio stava sfottendo i bianconeri al grido di “Serie B! Serie B! Juve in serie B!”. Ecco qui lo strabiliante debutto di Cuccureddu da nemo propheta in patria, per giunta con la maglia del nemico.
Il talentuoso calciatore nato ad Alghero è stato prelevato dai bianconeri tra le fila del Brescia (neopromosso in A) solo una settimana prima. Galeotto è stato l’incontro di Coppa Italia fra le rondinelle bresciane e gli zebrati in quel settembre del 1969. Cuccu ha giocato bene, marcando alla perfezione l’esperto Del Sol. La dirigenza juventina gli ha messo subito gli occhi addosso e il colpo di mercato si è concretizzato appena due mesi dopo, in fretta e furia, alla riapertura delle liste di trasferimento.
Quello che giunge a Torino è un giovanotto bruno, alto e magro, molto timido: uno che dà del lei a chiunque incontri. Nel rettangolo di gioco la sua caratteristica migliore risiede indubbiamente nella versatilità. Cuccureddu è eclettico come nessun altro, prerogativa che fa la sua fortuna e quella dei suoi allenatori. Nella Juve bonipertiana degli anni ’70, Antonello da Alghero vince 6 scudetti, una Coppa Italia e una Coppa uefa, diventando il perno per nulla inamovibile, anzi mobilissimo del gioco bianconero. Come fosse un jolly qualificato, Cuccu è in grado di ricoprire qualsiasi ruolo nello scacchiere tattico. Nasce mezzala, ma si adatta senza problemi a fare il mediano, il terzino fluidificante, all’occorrenza lo stopper.
Un bizzarro record lo raggiunge nella stagione 1975-’76, campionato durante il quale il camaleonte juventino cambia ben sette differenti numeri di maglia per altrettanti diversificati ruoli e compiti: così accade che quell’anno, nel personale Lotto del jolly sardo, esca il numero 2 sulla ruota di Napoli, Roma, Bologna, Genova sponda doriana e Perugia; il 3 sulla ruota di Verona, Como, Firenze, Cagliari e Cesena; il 4 di nuovo su quella di Firenze; il 7 ancora sulla ruota di Como; l’8 sempre su quella di Verona; il 10 sulla ruota di Milano sponda interista e ad Ascoli, infine l’11 sulla ruota di Torino.
Il tuttofare della Juve ha anche un altro marchio di fabbrica, vale a dire il tiro teso e potentissimo. Quelle che Antonello, da qualsiasi distanza, può scoccare dal suo piede sono vere e proprie bordate cariche di dinamite. L’imparabile balistica che il suo destro sa sprigionare diventa addirittura provvidenziale per i colori bianconeri in occasione dell’infuocata volata scudetto del 1973.
È il 20 di maggio e all’Olimpico contro la Roma si disputa l’ultima giornata di campionato. Mister Cesto Vycpálek siede in panchina e prega il suo dio mentre i suoi ragazzi si giocano tutto contro i giallorossi nella speranza che altrove, ossia a Verona dove gioca il Milan, succeda qualcosa di strano. Se i rossoneri vincono, come tutti i pronostici sono pronti a suggerire, gli juventini non potranno farci nulla. Vycpálek tiene quindi gli occhi puntati non solo sul rettangolo di gioco, ma anche su quello del tabellone dello stadio che aggiorna i risultati dagli altri campi. E all’intervallo, incredibilmente, quel qualcosa di strano accade. Qualcosa che anni più tardi racconterà lo stesso allenatore bianconero alla «Gazzetta dello Sport» con parole quanto mai eloquenti: «Quando sul tabellone luminoso dell’Olimpico abbiamo visto Verona-Milan ٣-١ dopo il primo tempo, ho detto ai miei: “Ragazzi, qui ci prendono per il culo!”». Invece no, era tutto vero. Il Diavolo si suiciderà sul campo della fatal Verona perdendo per 5 a 3, ma questa impensabile sconfitta ancora non garantisce un vincitore assoluto. Nelle battute conclusive di quella stagione al cardiopalma, la classifica vede ben tre squadre, cioè il Milan, la Juve e anche la Lazio, che nel frattempo pareggia a Napoli, tutte a quota 44 punti. Per staccare le altre e schiodare l’1 a 1 dell’Olimpico, la Vecchia Signora avrebbe bisogno di un gol magico e provvidenziale. Il gol che le consentirebbe di conquistare il quindicesimo scudetto della sua storia.
All’ottantasettesimo minuto, Antonello Cuccureddu chiude gli occhi e, dal limite dell’area, spara un proiettile verso la porta giallorossa difesa da Ginulfi. La palla schizza sulla traversa, fa venire un mezzo infarto al povero Vycpálek e poi finisce in rete. È l’unico sigillo messo a segno dal jolly di Alghero in quella stagione per lui decisamente tormentata, tra fastidi fisici e qualche panchina di troppo, ma è anche il gol più importante della sua carriera in bianconero: quello che vale il tricolore.
«Cuccureddu nome da uccello più che da calciatore», scrive su «Tuttosport» Vladimiro Carminiti, l’aedo della Signora. E l’uccello dal piumaggio sempre cangiante, che in dodici anni ha fatto di tutto per regalare alla Juventus un pieno di successi, alla fine sa di dover lasciare il nido tanto amato per migrare alla Fiorentina. Antonello Cuccureddu spicca il volo al termine del campionato 1980-’81, ma fa in tempo a regalare ai tifosi il suo canto del cigno in bianconero. La partita è Pistoiese Juventus, Cuccu sblocca il risultato con un missile da lontanissimo, la sua specialità, che va a insaccarsi proprio sotto il sette alla sinistra del portiere avversario. La bandiera di tante battaglie ha sventolato per un’ultima volta. E non fa alcun gesto di esultanza, il sardo dal cuore grande, solo un mezzo sorriso. Quel mezzo sorriso, quel commiato così sottovoce, con una tenerezza e un affetto enormi, racchiude tutto Cuccureddu in un piccolo gesto.