Edgar Davids
Nel rigido dicembre torinese del 1997, tra le fila juventine spunta un ventiquattrenne dalla pelle color dell’ebano e dall’originale capigliatura. Ha decine di treccine rasta che lo rendono inconfondibile in mezzo ai calciatori omologati dallo stesso taglio di capelli. Si tratta di un centrocampista di passaporto olandese nato nel Suriname, ma chi segue attentamente il calcio l’ha già visto scorazzare per tutti i prati verdi d’Europa, alzando una Coppa uefa e una Champions League con la maglia dell’Ajax. “Pitbull” è il nome di battaglia scelto per lui da Van Gaal, suo allenatore al tempo del servizio di leva fra i Lancieri biancorossi. In effetti il paragone con il feroce molossoide calza perfettamente a un calciatore col suo pedigree: così indomito e potente, così arcigno e iroso, sempre pronto a ringhiare contro tutti gli avversari.
A dire la verità, sfruttando la sentenza Bosman, Edgar Davids si era trasferito in Italia già l’anno prima grazie alla sollecitudine del Milan, una società tradizionalmente molto attenta al mercato olandese. La sua avventura in rossonero, tuttavia, non prende mai la piega giusta. Le attese sono troppo alte e la catena meneghina troppo corta per il caratteraccio del Pitbull, tanto che si finisce col parlare di lui più per le bravate nella movida notturna che per le prestazioni agonistiche. Lo scorbutico rastaman gioca piuttosto male e i suoi atteggiamenti al limite del provocatorio indispettiscono lo spogliatoio milanista, al punto che qualche compagno di squadra arriva addirittura a definirlo una “mela marcia”. Ad aggravare ulteriormente la situazione ci pensa Luca Bucci, il portiere del Perugia, che gli frattura tibia e perone con una uscita spericolata. Stop forzato per il cagnaccio olandese, che si lecca le ferite e si incattivisce ogni giorno di più. L’inattività lo rende decisamente nervoso e così, dopo un difficile recupero durato sei mesi, il mister rossonero Fabio Capello non sa più come tenerlo a bada. Con simili premesse, quando la Juve bussa a Milanello con l’intenzione di prelevare Davids, non stupisce che siano in parecchi a tirare un sospiro di sollievo.
L’affare si perfeziona nei giorni del mercato di riparazione e la notizia della cessione fa scalpore. Titoloni a tutta pagina dal tenore canzonatorio non esitano a raccontare del presunto “pacco” rifilato dai Diavoli alla Vecchia Signora. Il monito di quei giornali, però, diventa un impulso provvidenziale che colpisce il Pitbull dritto nell’orgoglio, incentivandolo a non ripetere gli errori del passato. Schierato nel mezzo del centrocampo bianconero, l’olandese con le treccine sfrutta la sua grinta e il suo desiderio di rivalsa per inserirsi alla perfezione negli automatismi di mister Lippi, guadagnandosi la stima dei compagni ed entrando fin da subito nel cuore dei tifoseria juventina. Già nel marzo del 1998, la giuria esce dalla camera di consiglio per decretare chi abbia avuto ragione e chi torto nell’affare Davids. Detto in parole povere: si gioca Juventus – Milan.
La partita comincia ben prima del calcio d’inizio, con Fabio Capello che entra a gamba tesa e dichiara: «Da noi Davids non giocava perché era zoppo». Scintille che incendiano un’atmosfera già fin troppo calda. Poi si va in campo e il cerbero del Suriname fa il diavolo a quattro contro i Diavoli rossoneri. La sua è una vendetta in piena regola: piatto freddo, prestazione indemoniata, stretta di mano finale. A carico dei milanisti la prova schiacciante di un 4-1 senza diritto d’appello, mentre la sentenza viene declamata in ultima istanza dal presidente juventino Umberto Agnelli, che se la ride sotto i baffi: «Speriamo che il Milan ce ne venda altri di zoppi così». Da quel momento in avanti, per l’ex-mela marcia e per la squadra di Marcello Lippi è un susseguirsi di vittorie che conducono fino al venticinquesimo scudetto della centenaria storia bianconera, alla media ineguagliabile per il calcio italiano di un trionfo ogni quattro anni.
Con marcature asfissianti e quintalate di assist per i compagni, il rastaman snobbato dal Milan si segnala fin da subito come un imprescindibile dello scacchiere juventino. Il suo atletismo quasi ossessivo e le sue indubbie doti di leadership forniscono l’oro colato con cui la Signora del nuovo millennio e del secondo mandato a Lippi farà in tempo a fabbricarsi, per altre due stagioni di fila, la corona di Regina d’Italia. Il Pitbull fa incetta di tricolori, trofei e riconoscimenti personali, ma il dente avvelenato contro chi ha osato deriderlo continua ad avercelo, e ne offre una prova ulteriore contro gli agguerriti rivali della Roma.
Si gioca a Torino e in campo ci sono tutte le migliori bocche da fuoco: Zidane, Del Piero e Inzaghi da una parte, dall’altra Totti, Del Vecchio e Montella. Il primo a sbloccare lo 0 a 0 è però Edgar Davids, che da fuori area colpisce il pallone istintivamente, di prima intenzione, addirittura scivolando sul ginocchio destro. Una palla calciata in quel modo, lo sanno bene tutti i calciatori, può finire letteralmente ovunque, anche in fallo laterale, in tribuna o magari fuori dallo stadio. Era dal campionato precedente, da quasi dieci mesi, che il lottatore olandese non segnava un gol, ma questa volta è il desiderio di rivincita ad agitare le sue famose treccine. E la sfera non può far altro che infilarsi spietatamente nell’angolino basso.
Dopo una simile prodezza, Edgar si lascia andare ovviamente a una corsa scatenata, ma invece di dirigersi verso la propria panchina, lo si vede puntare dritto verso quella giallorossa. Il motivo è molto semplice ed è lo stesso Davids a spiegarlo nelle interviste del post partita: «Ho esultato davanti alla panchina della Roma per far vedere a qualcuno che sono capace di dare sempre un contributo alla squadra, e di segnare gol importanti». Il qualcuno a cui fa riferimento il piccato centrocampista bianconero è chiaramente il nuovo mister capitolino Fabio Capello, sempre lui. L’uomo che due anni prima, ai tempi del Milan, lo aveva scaricato bollandolo come indesiderabile, ora è diventato il suo bersaglio preferito.
In quel gol a muso duro segnato alla Roma c’è tutto il coraggio di Edgar Davids. L’ambiente juventino si è rivelato il giusto valium per sedare le sue bizze, come pure la benzina ideale per aizzare il suo fuoco agonistico. Sul terreno di gioco, con la maglia numero 26 incollata addosso, il campione olandese sembra quasi il figlio segreto di Beppe Furino, tale è la gagliardia che dimostra in ogni occasione. Il suo è però un approccio tattico da universale completo, che si dipana a tutto campo, con grinta e lucidità, come insegna la scuola Ajax. Per sette stagioni le sue treccine svolazzanti saranno il moto perpetuo della mediana bianconera. Nonostante gli venga riscontrato un glaucoma che lo costringe a giocare con un paio di occhialini protettivi, il Pitbull non smette di ripagare la fiducia ricevuta. Occhiali scuri, treccine rasta e atteggiamento da duro, quando Edgar Davids compare sul rettangolo di gioco mette soggezione e incute paura a qualunque avversario. Ma il galateo juventino l’ha dovuto imparare a memoria, l’indisciplinato olandese, e l’ha messo in pratica da professionista vero, guadagnandosi il diritto di poter scrivere anche il suo nome, insieme a quello di tante altre bandiere bianconere, sul Cammino delle Stelle che conduce all’interno del nuovissimo Juventus Stadium.