John Charles
È l’estate del ١٩٥٦ e ci sono un italiano, un argentino e un gallese nell’attacco della nuova Juventus. Sembra l’inizio di una vecchia barzelletta, ma a ridere spesso e volentieri, in quegli anni, saranno più che altro i tifosi bianconeri. Risate d’entusiasmo e di gioia incontenibile per le prodezze che l’inedito tridente offensivo juventino sarà in grado di travasare sul campo a suon di gol e aneddoti memorabili.
L’italiano è Giampiero Boniperti, capitano e bandiera di lungo corso della Vecchia Signora, nonché assoluto euclideo del calcio nostrano. L’argentino è invece Omar Sivori, inebriante numero 10 dal gioco malandrino appena strappato dalla Juve al cielo sudamericano insieme a un’altra stella di prima grandezza del panorama internazionale. Il gallese è infatti il neoacquisto John William Charles, un centravanti formidabile e soprattutto gigantesco, la cui stazza imponente lasciava presagire un brillante futuro nel pugilato, poi tradito per amore del pallone. Tre giocatori di scuola calcistica diversa e per certi versi opposta, insomma, che schierati tutti insieme nell’attacco bianconero nuovo di zecca finiscono per incastrarsi alla perfezione.
Il peso massimo del football d’Oltremanica è stato prelevato dal Leeds previo esborso di cinquantamila sterline, una cifra da record che il suo ex club utilizza per ampliare la tribuna dello stadio. Quando sbarca a Torino con la moglie Peggy e i tre figlioletti al seguito, John ancora non spiccica una parola di italiano. Si offre di fargli da cicerone capitan Boniperti, che per garantirgli un posto di rilievo in campo accetta perfino di spostarsi qualche metro più indietro nello scacchiere tattico juventino, inventandosi il ruolo di mezzala e consegnando al nuovo centrattacco straniero la sua amatissima numero 9. A Charles quella maglia va decisamente corta, perché lui è un omone di un metro e novanta che sulla bilancia sfiora il quintale. Praticamente si tratta di un titano, uno che in mezzo al rettangolo di gioco svetta su tutti gli altri con potenza e concretezza, gonfiando le reti avversarie a ripetizione. Alla fine dell’esperienza con la Juve, saranno infatti ben 105 i sigilli messi a segno dal mastodontico gallese in 178 partite disputate: una media impressionante.
John Charles è affamato di gol, ma non solo. Raramente si è vista in casa Juve una forchetta migliore di lui, al punto che i suoi pasti diventano presto leggenda. Prima di una gara avrebbe potuto mangiarsi anche una bella bistecca alla valdostana, con il formaggio e tutto il resto, anzi pare l’abbia fatto davvero più di una volta, almeno stando ai racconti di chi ha giocato con lui.
A tavola non manifesta alcuna timidezza, il vorace colosso venuto dal Regno Unito, tutto l’opposto di quello che dimostra nella vita quotidiana, con quel suo modo pressoché istantaneo di arrossire in ogni occasione, che lo fa assomigliare tanto a Mammolo dei sette nani. Un paradosso tale che lo consegna alla storia come il “Gigante buono” della favola bianconera. Talmente gigante e talmente buono anche in campo che i difensori le provano tutte per arginarlo, ma proprio tutte, tanto sono tranquilli che Charles non si sognerebbe mai di reagire in malo modo.
Una volta, alla fine di un incandescente derby col Toro, John entra nello spogliatoio e si toglie la maglietta per farsi la doccia. Ha qualcosa di strano sulla spalla e osservando più da vicino si distingue chiaramente l’impronta dei denti dello stopper avversario che, non sapendo più come fermarlo, ha provato addirittura a morderlo. «Se John si fosse arrabbiato e avesse reagito in qualsiasi maniera, il difensore sarebbe semplicemente morto», racconta col sorriso Omar Sivori ricordando quell’episodio. Ma il Gigante buono, forte dell’esperienza anglosassone, è un campione anche nel fair-play, e la riprova viene garantita da una particolare statistica. Nel corso della sua intera carriera, infatti, non solo nessun arbitro ha dovuto infliggergli alcun cartellino rosso, ma il virtuoso Charles non è stato mai neppure ammonito.
L’imponente cannoniere britannico fornisce un ulteriore assaggio della sua proverbiale correttezza durante un incontro fra Juventus e Sampdoria. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, qualsiasi sfida tra Juve e Samp significa senza dubbio John Charles contro Gaudenzio Bernasconi, il più fenomenale attaccante del campionato contro il più arcigno difensore. Un’autentica cavalleria rusticana. Quel giorno, però, un rapido contropiede bianconero fa sì che gli eterni duellanti si scontrino con ancor più vigore del solito. È una botta tremenda tra due querce e il doriano finisce a terra urlando dal dolore. John, invece, resta in piedi e può correre verso la porta. Tra lui e la rete c’è solo il portiere della Sampdoria: sarebbe un gol facile facile. Ma il gigante dai modi gentili si accorge che Bernasconi è rimasto a terra dolorante, perciò si ferma, calcia la palla fuori dal campo e va a soccorre il povero difensore blucerchiato. È un esempio di lealtà sportiva, il colosso gallese, e nessuno può metterlo in dubbio.
Un altro giorno, a Torino, vanno in campo Juventus e Arsenal. Il centromediano dei Gunners e il centrattacco bianconero portano lo stesso cognome: Charles. Nel prepartita, i giornali italiani malignano che i due consanguinei non avrebbero lottato fino in fondo. Un tipo onesto come John non può sopportare una voce del genere e così, ancora negli spogliatoi, prende di petto suo fratello Mel esclamando: «Quando scendo sul terreno, io non ho amici nella squadra avversaria». Mel, anche lui con lo stesso spirito da lottatore gallese, non batte ciglio. Per novanta minuti i fratelli Charles se le danno di santa ragione. Alla fine dei giochi, Mel conta un paio di denti vacillanti nella sua bocca, mentre John ha sulla testa due vistosi bernoccoli. E i tifosi bianconeri, increduli, applaudono l’integrità sportiva dei due fratelli-coltelli.
Quella del Gigante buono è una Juventus stellare e vincente, capace di accaparrarsi tre scudetti e due Coppe Italia in quattro anni. John Charles è il perno avanzato di quel gioco spumeggiante, tanto che nel 1957-’58 si aggiudica addirittura il titolo di capocannoniere della serie A con ben 28 reti all’attivo. Lui è d’altronde un dominatore assoluto nel finalizzare sotto rete e il suo marchio di fabbrica è senza dubbio il colpo di testa. In molti trattengono il fiato quando lo vedono saltare in mezzo all’area per sfruttare i suoi centimetri e il collo taurino da ex pugile grazie al quale riesce a imprimere al pallone una forza e una velocità inaudite, ma c’è da dire che il possente centravanti della Juve diventa preziosissimo anche laddove occorra fare da sponda per le incursioni dei compagni. Della sua provvidenziale assistenza beneficia soprattutto Omar Sivori. Il gallese e l’argentino sono la strana coppia dell’attacco bianconero, gli opposti che si attraggono, due contrari che messi vicini diventano sinonimo di gol.
I due della premiata ditta Charles & Sivori, in effetti, sono agli antipodi sia caratterialmente che nel modo di stare in campo. Il primo è il destro corretto e onesto, il secondo è il sinistro che beffa e irride. Talvolta, però, l’argentino risulta davvero esasperante e nel corso di un match di Coppa Italia fra Inter e Juve, di fronte a migliaia di spettatori, è lo stesso Charles ad accantonare per un momento la sua proverbiale bontà e a rifilare un sonoro schiaffone all’intemperante compagno di reparto affinché la smetta di fare il bambino. Il numero 10 abbassa subito la cresta e non accenna neppure una replica, anche perché il numero 9 è uno dei pochissimi che il discolo d’Argentina rispetta e stima. Sebbene siano l’uno l’antitesi dell’altro, Sivori e Charles continuano a compensarsi alla perfezione e il popolo bianconero è autorizzato a sognare in grande. Già nel 1958, col capitano della Nazionale azzurra Boniperti a fare da paciere tattico alle spalle di questo duo delle meraviglie, la Juventus diventa non a caso la prima squadra in Italia capace di cucirsi sul petto la stelletta del decimo scudetto.
Il Gigante buono segna e incanta, e sono molti quelli che si arrischiano a definirlo il più forte centravanti di sempre della storia bianconera. Di sicuro fermare John Charles è impresa impossibile. Non ci riesce neanche il palo della porta nel corso di una vibrante partita al Comunale contro la Fiorentina. E sì che i legni dell’epoca erano più spigolosi degli attuali. Nel catapultarsi sul pallone, la testa riccioluta del gallese finisce proprio contro il palo, e lui stramazza al suolo. Lo stadio ammutolisce. Il gigante è a terra disteso e tanti lillipuziani gli si fanno intorno per sincerarsi delle sue condizioni. La montagna di muscoli quasi non respira, ha gli occhi chiusi e si teme il peggio. Ma dopo qualche minuto, quella testa dura di John Charles si rialza e un po’ barcollante riprende a giocare come se nulla fosse. Ad avere la peggio è stato semmai il palo, che dopo l’impatto col caterpillar juventino appare quasi divelto e traballante.