Gianluigi Buffon
Al tempo dei suoi primi passi nel mondo del pallone, il futuro numero 1 dei numeri 1 ancora non sapeva bene che ruolo scegliersi e vagava un po’ ovunque all’interno del rettangolo di gioco, in attacco come in difesa, ramingo senza fissa dimora. Solo grazie alle Notti magiche del ’90, osservate alla tv insieme a milioni di italiani, il giovane Buffon ha la folgorazione che finisce per forgiare il suo destino. Nel corso del Mondiale casalingo, infatti, il dodicenne carrarese si innamora perdutamente del portiere camerunense Thomas N’Kono, dinoccolata pantera nera con la calzamaglia sempre indosso, al punto che molti anni dopo il suo primogenito vorrà chiamarlo proprio Thomas.
Con l’intento di emulare le gesta del suo idolo, Gigi prova a piazzarsi in mezzo ai pali e scopre con stupore che quella è la sua dimensione ideale, l’habitat dove rende al meglio. Difendendo la porta mette in mostra un talento abbagliante e precocissimo, tanto che il Parma lo vuole immediatamente nel proprio vivaio, curando la sua crescita con il riguardo e l’attenzione che merita un prospetto dal sicuro avvenire come lui. Niente di strano per uno che discende da una famiglia di atleti professionisti, con la mamma tre volte campionessa italiana nel lancio del peso, il papà azzurro della medesima disciplina e le sorelle entrambe pallavoliste di serie A1. Inoltre, quando comincia a circolare nell’ambiente calcistico il suo cognome, gli addetti ai lavori non possono fare a meno di pensare a un predestinato, essendo parente, seppur alla lontana, di quel Lorenzo Buffon che fu il portiere di Inter e Milan negli anni ’50 e ’60, oltre che della Nazionale. I più attenti vanno persino a scovare nel suo albero genealogico il nome di Armando Buffon, estremo difensore del Genoa in serie B, stagione 1971-’72. Ma il figlio d’arte non ha bisogno di numi tutelari per esibire il proprio valore, anzi la sua bravura è tale da oscurare ogni possibile paragone.
Nevio Scala non esita a scommettere molto presto su questo giovanottone della Primavera che mostra già un fisico aitante e un’affidabilità da veterano, benché non abbia ancora l’età per la patente. Il 19 novembre 1995, senza preavviso, il mister del Parma lo fa esordire in A contro il Milan stellare di Fabio Capello. Il battesimo non è dei più agevoli, ma negli occhi azzurri di Gigi non c’è traccia di paura. Anzi lo si vede in volo sbarrare la strada a Weah e Roby Baggio, con coraggio e caparbietà, preservando inviolata la sua porta.
La stagione successiva, per Buffon arriva già una maglia da titolare nei gialloblù, come pure quella della Nazionale maggiore, con la quale esordisce contro la Russia, durante una trasferta nella gelida terra natia del grande Lev Yashin, il Ragno nero dei portieri. Sono gli anni in cui Gigione si piazza alle spalle di due giovani portentosi, un atletico francese dalla pelle d’ebano e uno scugnizzo con gli occhi di ghiaccio abilissimo nella marcatura d’anticipo. Insieme formano una delle retroguardie più forti e ammirate d’Europa: Buffon-Thuram-Cannavaro, lo splendido trio di futuri juventini. Sono gli anni più vincenti di sempre per la squadra emiliana, che staziona in pianta stabile ai piani alti delle classifiche nostrane e si attesta come la sola degna competitrice della Juventus cannibale di Marcello Lippi, riuscendo addirittura a sfilare sotto al naso dei bianconeri tanto la Coppa Italia quando la Coppa uefa, e mancando il colpaccio dello scudetto solo per un soffio.
La Vecchia Signora ha capito l’antifona e così decide di accaparrarsi i servigi del numero 1 del Parma senza badare a spese. La compravendita dell’astro nascente Buffon muove un gruzzolo di tutto rispetto per l’epoca, vale a dire 75 miliardi di lire più la cessione a titolo definitivo di Jonathan Bachini, valutato 30 miliardi: in totale si parla di 105 miliardi, che al cambio attuale e calcolando l’inflazione equivarrebbero all’incirca a 52 milioni di euro. SuperGigi risultava così, nel 2001 e per i quindici anni a venire, l’acquisto più salato nella storia centenaria della società bianconera, ma col senno di poi anche l’investimento più avveduto. E non serve spiegare il perché pagare una simile cifra per un portiere ventitreenne sia stata una scommessa vinta.
Il numero 1 del nuovo millennio ci mette poco ad ambientarsi. La nuova maglia gli calza a pennello e lo stile Juve gli forgia la personalità. Con uno come lui là dietro, i compagni possono dormire sonni tranquilli e inizia così una serie di successi senza fine. Cambieranno i reggenti sulla panchina, prima Lippi, poi Capello, dopo Conte e infine Allegri, ma non cambierà mai la sentinella di guardia, che tante soddisfazioni regalerà ai tifosi juventini e a quelli azzurri. Ma più che nei trionfi è nella sventura che si scopre quanto la sua pelle sia davvero bianconera. Nel 2006, quando il terremoto Calciopoli spedisce la Vecchia Signora in B, Gigi non vacilla nemmeno per un attimo e decide di restare, nonostante si sia appena laureato campione del mondo e tutti i club più blasonati del pianeta gli facciano una corte spietata. La tifoseria juventina osanna il suo nome e lui, con umiltà e tanta passione, scende a purificarsi l’anima nel purgatorio della serie cadetta, là dove tutti i giocatori sperano di guadagnarsi una storia da raccontare ai nipotini che inizi con: «Una volta ho fatto gol a Buffon». La punizione dura fortunatamente lo spazio di un giro di giostra e la Juventus, sempre con Gigione tra i pali, può infine risollevare la testa e ricostruire col tempo un altro ciclo vincente.
A questo punto l’unico dubbio nel cuore e nella testa di Buffon resta il posto che occuperà nella storia del calcio, non solo italiano, alla fine della sua carriera. Un fenomeno come lui, stracciati i contemporanei, non può che confrontarsi con la storia, con gli almanacchi e con le statistiche. Nel 2006 gli è stato conferito il premio come miglior portiere dei Mondiali intitolato a Lev Yashin, l’unico portiere ad aver vinto il Pallone d’Oro nel 1963. SuperGigi ha così perfettamente raccolto l’eredità di altre due saracinesche umane, Combi e Zoff, anche loro numeri 1 juventini sul tetto del mondo. E Buffon è andato addirittura oltre, inzeppando la sua infinita carriera da primo della classe con un novero fittissimo di premi individuali. L’ultimo nel 2016, quando a Monte Carlo ha ricevuto il Golden Foot, diventando il primo portiere in assoluto a ricevere tale riconoscimento. Certo, c’è da scommetterci, ogni alloro preso singolarmente, fosse pure il Pallone d’Oro, Gigione lo scambierebbe volentieri con la gioia di poter sollevare, tenendola per le grandi orecchie, l’unica coppa che ancora manca al suo incredibile palmarès. Ma tutto non si può chiedere alla vita, e il portierone nazionale ha già abbastanza medaglie da lucidare e forzieri stracolmi di tesori con cui consolarsi.
Uno come Buffon, lo dicono gli esperti, passa una volta ogni cento anni e la sua forza risiede tanto nella mentalità quanto nei suoi numeri. “Strength in numbers” è uno slogan d’effetto che tuttavia non può essere spiegato solo con meri dati statistici. I Golden State Warriors, squadrone leader fra i giganti della nba, lo hanno come motto di franchigia, mentre Buffon e la Juventus si accontentano di averlo tatuato nella propria indole. La forza nei numeri, appunto, imperniata sull’unità di un collettivo che somma i fattori in campo moltiplicandone l’efficacia. Perché “non si è numeri 1 fuori dal gruppo”: questo il leit motiv che Gigi ama ripetere allo sfinimento, e indubbiamente c’è da credergli.
Il 13 maggio 2018, nella gremitissima cornice dell’Olimpico, capitan Buffon e compagni conquistano contro la Roma, con un turno d’anticipo, il punticino che serviva loro per laurearsi matematicamente campioni d’Italia. E si tratta di un successo storico, unico, anzi leggendario, sintomo di un’egemonia forgiata nel lavoro e nel sacrificio. Il capitano e la sua ciurma di fuoriclasse hanno dimostrato, per l’ennesima volta, qualità tecniche e mentali impressionanti, come impressionanti sono i numeri da record che ogni anno, per 7 stagioni consecutive, la Signora ha perfezionato con meticolosità da Nobel e fame da cannibale. Una fame che non accenna a placarsi.
Un attimo dopo aver mandato in archivio il 2017-’18, impreziosito anche dalla quarta Coppa Italia consecutiva, Gigione e gli altri si sono guardati alle spalle e si sono accorti di aver compiuto un’impresa epocale, oscurando qualsiasi paragone possibile ed entrando ufficialmente nel mito del calcio, non soltanto nostrano. Ebbene, all’indomani dell’ennesimo trionfo raggiunto dagli uomini di Allegri, in molti si domandano quale sia il segreto di un simile successo. Una valida risposta potrebbe essere: “Prima non prenderne”. Questo adagio d’antica saggezza, salvo sporadiche eccezioni, il calcio italiano ha sempre inteso seguirlo alla lettera. Si sta parlando ovviamente di gol da scongiurare, ossia il modo più efficace per evitare una sconfitta, ma spesso anche la scorciatoia più breve verso uno spettacolo noioso. La Juventus dei miracoli non può che ripudiare il catenaccio, eppure le statistiche sembrerebbero suggerire altro, visto che di gol ne ha subiti davvero pochissimi. Per l’ennesima volta, infatti, la Signora si è ripetuta uguale a se stessa, come fu nel 2013-’14, quando in panchina sedeva Antonio Conte, ma come è stato pure nel 2015-’16. Si vede che i 22 turni di campionato senza subire reti sono un record assoluto che i bianconeri amano tramandare di generazione in generazione. E la costante, a ben vedere, è sempre lui. Su ognuno di questi primati si staglia la sagoma imponente di Buffon, il recordman che più di tutti ha marchiato a fuoco ogni stagione, agguantando da par suo uno scudetto dietro l’altro.
È indubbio che proprio la retroguardia sia stata la pietra angolare su cui è stato edificato lo storico trionfo juventino. Il settimo tricolore di fila è partito da lontano ed è venuto in gran parte da dietro, ossia dal rendimento stellare del reparto difensivo. Chiellini & Company hanno svolto come sempre il loro compito in maniera impeccabile, facendo dormire sonni tranquilli a capitan Buffon, che per oltre due mesi non si è mai dovuto piegare a raccogliere il pallone dalla propria rete. Con catene d’acciaio e lucchetti a combinazione, la Regina del calcio italiano ha tenuto la sua porta sprangata per 10 gare di fila, dal 6 gennaio fino al 17 marzo 2018. Il che significa una cosa molto semplice: eguagliato il record della serie A stabilito in precedenza sempre dalla Juve di Allegri, precisamente nel marzo del 2016. Quella prima volta, però, SuperGigi era riuscito a fare di meglio, ottenendo un primato personale che ha dell’incredibile.
Buffon ha riscritto la storia al minuto 4 del Derby della Mole numero 191, quando con le braccia al cielo ha sorpassato di 60 secondi l’inossidabile Sebastiano Rossi, il milanista che da 22 anni deteneva il record di inviolabilità per un portiere di serie A. Contro il Toro, quel pomeriggio del 21 marzo, il capitano bianconero ha dunque fatto in tempo a staccare Rossi, prima che il superfluo rigore trasformato da Belotti fermasse a 974 minuti la sua striscia di imbattibilità in campionato. Poco male, le oltre 16 ore durante le quali Buffon ha abbassato la saracinesca senza mai subire gol restano comunque un primato assoluto, che difficilmente qualcun altro riuscirà a intaccare. Perché Gigi è sempre Gigi e la riprova, non che ce ne fosse bisogno, si è avuta anche nello strabiliante 2017-’18: un anno d’oro che è stato anche e soprattutto l’anno della sua definitiva apoteosi. A macchiare una stagione memorabile, proprio all’ultimo, solo qualche parola di troppo nel post-partita del quarto di finale di Champions contro il Real, parole di fuoco che gli sono valse 3 giornate di squalifica ma non il biasimo dei suoi tifosi. Il popolo juventino, semmai, ha sussultato di dolore per altre parole, quelle di un annuncio in parte atteso e in parte insopportabile.
Un attimo prima di salpare verso la nuova avventura parigina, senza far trapelare indiscrezioni o sterili polemiche, capitan Buffon ha scelto di fare un passo indietro nel modo migliore possibile, diventando cioè il primo giocatore nella storia del campionato italiano a vincere 9 titoli nazionali in carriera. SuperGigi è così riuscito a staccare altri due monumenti juventini, vale a dire Giovanni Ferrari e Giuseppe Furino, fermi a quota 8 nella speciale classifica dei calciatori più “scudettati” della serie A. La cosa che più stupisce è che Buffon ne avrebbe messi in cascina addirittura 11 di tricolori, se solo l’uragano Calciopoli non avesse spazzato via i trionfi dell’era Capello.
Poco male, Gigione resta comunque saldamente al comando in questa particolare graduatoria e il suo addio per vestire nuovi colori, anche alla luce di ciò, è sembrato quasi uno schiaffo alla nostalgia. Ma lo show doveva andare avanti, dal 2018-’19 senza di lui, il recordman della squadra dei record, l’unico in grado di contendere a Boniperti e Del Piero il primato assoluto di identità juventina.
Sabato 19 maggio, contro l’Hellas Verona, va in scena l’ultima volta di Buffon in bianconero. Nel secondo tempo, al minuto 17 e dopo 17 anni di Juve, il condottiero di mille battaglie lascia il campo, sostituito dal terzo portiere Pinsoglio. Il degno saluto, prima di vederlo partire alla volta di Parigi, sono le ovazioni incessanti dello Stadium e poi l’abbraccio di tutti i compagni. Al grido di “C’è un solo numero 1”, due generazioni di juventini affidano il proprio grazie a uno striscione emblematico: “Solo chi tenta l’assurdo raggiunge l’impossibile”. È l’ultima dedica dei tifosi al loro capitano, l’uomo che meglio di chiunque altro ha saputo custodire e tramandare l’immarcescibile leggenda bianconera. Poi solo frasi commosse e lettere intrise di malinconia, prima che il trambusto dell’estate di calciomercato più emozionante degli ultimi anni obbligasse a parlare nuovamente di futuro. Orfano del numero 1 per antonomasia, il popolo juventino non può far altro che riporre in Cristiano Ronaldo le speranze di nuovi allori, perché il ciclo più vincente della storia bianconera non poteva interrompersi così bruscamente.
La storia, in effetti, è andata avanti sulla falsariga tracciata dall’ex capitano, che dalla Francia non ha mancato di testimoniare un amore mai sopito inviando i suoi più sinceri rallegramenti per l’ultimo traguardo raggiunto dai suoi ex compagni, a dimostrazione del fatto che un vero juventino lo è per sempre. Ma un vero juventino può anche tornare sui suoi passi? Più di qualcuno comincia a suggerire che sia possibile e alla fine arriva anche il comunicato ufficiale.
Il 4 luglio del 2019 è una data storica. Dopo un anno di lontananza, Buffon annuncia il suo ritorno alla Juventus siglando un accordo sino al 30 giugno 2020. Probabilmente ogni bianconero sperava, e in fondo sapeva, che il filo non era destinato a spezzarsi. E così è stato. Nell’unica stagione al Paris Saint-Germain, l’ex capitano ha fatto registrare una percentuale di parate del 73,5%, vincendo 13 delle 17 partite giocate in Ligue 1 e aggiungendo al suo incredibile palmarès un campionato e una Supercoppa francesi. Niente male per un vecchietto sul viale del tramonto, ma la stella di Gigi non poteva spegnersi lontano dalla sua Juve. Alla fine lui è tornato a casa. E il suo, va sottolineato, è stato un rientro in punta di piedi.
Dimostrando un’umiltà davvero encomiabile, Buffon ha rifiutato il ruolo di capitano e ha scelto di buon grado la maglia numero 77, già indossata tantissimi anni fa ai tempi del Parma. Questo nonostante Szczęsny gli abbia offerto spontaneamente la sua numero 1 e nonostante Chiellini, per non essere da meno, gli abbia proposto la sua fascia di capitano.
Le parole con cui il quarantunenne più arzillo d’Italia ha spiegato questo suo rifiuto sono d’altronde quelle di un vero juventino, di un autentico numero uno: «L’obiettivo è farmi trovare sempre pronto, non sono qui per fare minutaggio o contare i secondi in campo. Alla Juve ci sono gerarchie: il titolare è Tek, poi ci sono io che devo farmi trovare preparato. Sono sereno, so che lo sarò se necessario. La verità è che voglio giocare un altro anno e provare emozioni forti. Riabbracciare certi compagni, che sono come fratelli, festeggiare con il presidente, Pavel, Fabio, il preparatore dei portieri, Fabris, tutto questo è il senso della questione di quest’anno».
Il suo inizio di stagione da vice-Szczęsny, nemmeno a dirlo, offre momenti memorabili: su tutti la partita del 18 dicembre contro la Sampdoria, quando il numero 77 bianconero tocca quota 647 presenze in A, eguagliando il primatista Maldini.
Il suo finale di stagione è ancora più storico con la conquista del decimo scudetto in serie A. Il primo giocatore di ogni tempo a conquistare da solo una stella sul petto, privilegio che possono avere la Juventus, il Milan, l’Inter e Buffon.