Carlo Bigatto
Nella Torino fumosa dei primi del Novecento, un ragazzino segaligno esce tutti i giorni dalla sua casa in Piazza d’Armi per andare a giocare nel cortile del Collegio San Giuseppe, dove ai fanciulli si insegna il football, una nuova disciplina sportiva giunta da poco in Italia da Oltremanica. Il suo nome è Carlo Bigatto e il suo destino, fin da subito, si lega inscindibilmente alla Juventus, il club calcistico torinese fondato nel 1887, quando Carletto aveva appena compiuto due anni. Il San Giuseppe, infatti, è una sorta di depéndance juventina. Da qui il giovane Bigatto entra in contatto con l’ambiente che da poco ha assunto il bianconero per effigie, visto che le casacche da gioco, originariamente rosa, dal 1903 hanno assunto i colori del Notts County.
Il ragazzino tutto grinta e cuore inizia un percorso agonistico simile a tanti altri pionieri del pallone: la gavetta in un club di terza categoria, l’apprendistato nella Junior e infine l’approdo alla prima squadra. Il suo debutto con la maglia della Juve avviene il 12 ottobre del 1913 contro la Libertas Milano e il diciottenne Bigatto scende in campo nel ruolo di centravanti. Quel giorno, tra i marcatori dell’incontro, spicca anche il suo nome. Il futuro capitano di lungo corso firma il gol del definitivo 3-0 e quella resterà per sempre la prima e unica rete della sua infinita carriera in bianconero. È infatti nel mezzo del campo che le qualità di Carlo Bigatto si esprimono al meglio, ma affinché possa mostrarle c’è da attendere la conclusione della Grande guerra.
Abile e arruolato, anche il giocatore juventino finisce sotto le armi e con la brigata di fanteria Pinerolo è costretto a combattere su tutti i fronti fino a quando, un bel giorno di novembre, arriva l’annuncio del tanto sospirato armistizio. Solo a quel punto si può tornare a giocare a pallone e Bigatto si ripresenta nella nuova veste di mediano, diventando ben presto il perno inamovibile del gioco bianconero. Inizia così la sua leggenda: una leggenda che lo tramanda ai posteri come il primissimo uomo-bandiera della Juventus e che lo vede per ben 7 stagioni nel ruolo di capitano. Il merito di tanto onore è delle sue indiscutibili qualità tecniche e forse anche di un look decisamente stravagante che lo fa assomigliare a un arcigno bucaniere.
Ogni volta che si palesa sul rettangolo di gioco, Carlo Bigatto ha il vezzo di calzare sempre una curiosa calotta di tela in testa: un copricapo con due alette laterali che dovrebbero essere allacciate sotto al mento, ma che lui porta immancabilmente scese all’altezza delle orecchie. A completare la sua immagine da pirata, insieme al bizzarro accessorio che gli è utile altresì per celare la precoce calvizie, si stagliano un naso adunco e due baffoni feroci che gli conferiscono un aspetto minaccioso e truce. Quando scende in campo così conciato è facile che gli avversari si lascino intimorire, anche perché capitan Bigatto ha imparato sin da giovane tutte le malizie del mestiere e con queste annienta i nemici, li ridicolizza, li scippa del pallone, li induce alla fuga. I più ingenui sono destinati a fare una brutta figura contro questo ex soldato della prima guerra mondiale. Quelle che dissemina per il campo sono autentiche trappole che il pirata bianconero sfrutta con astuzia per attrarre i malcapitati attaccanti rivali e poi farne scempio. La sua specialità è lo sgambetto-fantasma: una scorrettezza, si direbbe oggi, ma a quel tempo un innocuo trucco per disarcionare furtivamente gli avversari senza che gli arbitri se ne avvedano. Raccontano le cronache dell’epoca: «Altri sanno fare miracoli con l’agilità invisibile delle mani; egli è invece una specie di manipolatore coi piedi».
Malizie di un calcio epico, quando la Vecchia Signora era ancora giovanissima. Ereditata la squadra direttamente dai fondatori Donna e Collino, Carlo Bigatto traghetta la Juve di Hirzer e Munerati allo scudetto del 1926 fino ad affacciarsi alla formazione imbattibile del Quinquennio d’oro, quella di Combi, Orsi, Monti e Cesarini. L’uomo-bandiera spiega il calcio a tre generazioni di juventini, poi i suoi tendini non riescono più a sorreggerlo e nel 1930, a trentacinque anni compiuti, gloriosamente si ritira. L’ex capitano rimane comunque legato all’ambiente bianconero e nel 1935 è in panchina da allenatore, dopo il controverso allontanamento di mister Carcano, deus ex machina del Quinquennio.
Personaggio romantico e fuori da ogni schema, Carlo Bigatto giocava per diletto e nel frattempo lavorava. A Torino aveva un deposito di legnami e il pallone, a dirla tutta, gli serviva per soddisfare la sete di gloria ma anche per fare pubblicità alla sua ditta. L’eroico mediano dal baffo appuntito e il caschetto di tela ben piantato in testa non ha mai preso una lira dalla Juventus, anzi ha sempre mantenuto e difeso il suo status da dilettante. Lui non avrebbe mai accettato di mischiare l’amore per la sua squadra del cuore con una transazione monetaria, anche perché quella di non professionista era una condizione in un certo senso privilegiata, che gli consentiva di fare ciò che voleva. Per esempio nessuno poteva azzardarsi a dire niente se lui aveva voglia di fumare, e infatti il capitano lo faceva continuamente. La leggenda, e di leggenda per forza si tratta, narra che Carlo Bigatto arrivasse alla cifra spropositata di centoquaranta sigarette in una sola giornata.