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Il Dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg ha la sua sede centrale nel Law Enforcement Center, un blocco squadrato di cemento che incombe all'angolo tra la 4a e McDowell. Dall'altra parte dell'incrocio sorge il nuovo tribunale della contea, teatro della recente performance mediatica di Boyce Lingo.

Alle otto, tutte le unità investigative si trovano al secondo piano. Presentai il documento d'identità, oltrepassai la sicurezza e salii in ascensore, gomito a gomito con poliziotti e civili aggrappati a caffè da asporto di Starbucks o Caribou Coffee. Le conversazioni s'incentravano sul ponte imminente.

Il Columbus Day. Avevo completamente dimenticato che quel lunedì sarebbe stato festivo.

Niente picnic né barbecue, per te, perdente.

Kenneth Roseboro si presentò con novanta minuti di ritardo rispetto alla convocazione di Slidell, il che non mise il detective di ottimo umore.

La brodaglia che spacciavano per caffè alla Sezione omicidi non fu d'aiuto. Aspettando, Slidell e io ne buttammo giù un bricco intero. Rinaldi era in giro per studi fotografici a mostrare l'immagine trovata nel calderone, perciò ero sola a sopportare il disappunto del suo collega.

Il che mise me di malumore.

Alle nove e trentasette, finalmente, il telefono sulla scrivania di Slidell suonò: Roseboro attendeva nella stanza interrogatori numero tre. I sistemi video e audio erano in funzione.

Prima di entrare, il detective e io ci fermammo a osservare il nipote di Wanda Home attraverso un finto specchio.

Kenneth Roseboro sedeva dondolando i piedi calzati in sandali, le sottili dita delle mani intrecciate sul piano del tavolo. Sarà stato alto circa un metro e cinquantotto per cinquantaquattro chili, con una testa stranamente allungata, che si teneva in equilibrio sul collo come un pappagallo su un trespolo.

«Bei capelli» sbuffò Slidell.

Cerchi concentrici ricoprivano il cuoio capelluto dell'uomo, alternando creste e solchi.

«Ha un'onda a trecentosessanta gradi» dissi, «come Nelly.»

Sguardo assente del detective.

«Il rapper.»

Lo sguardo rimase identico.

«Camicia di classe» osservai io. Era verde acido, abbastanza larga da contenere un cavallo da corsa.

«Aloha.» Slidell si tirò su i pantaloni. La cintura andò ad assestarsi sopra un rotolo camuffato da girovita. «Andiamo a spremere questo cazzone.»

Quando entrammo nella stanza, Roseboro si stava giusto alzando per andarsene.

«Siedi» latrò Slidell.

Quello ricadde sulla sedia.

«Lieto che tu sia riuscito ad arrivare, Kenny.»

«C'era traffico.»

«Dovevi partire prima.» Slidell lo guardava come schiuma nello scarico.

«Non ero in alcun modo tenuto a venire qui.» Tono a metà tra l'imbronciato e l'annoiato.

«Su questo non hai torto.» Sbattendo una cartellina sul tavolo, il detective si lasciò cadere sulla sedia di fronte all'interrogato. «Ma per un cittadino irreprensibile come te, che cosa vuoi che sia un piccolo disagio, vero?»

Roseboro alzò una spalla ossuta.

Presi posto anch'io, accanto a Slidell.

Gli occhi di Kenneth si posarono su di me. «La tipa chi è?»

«La dottoressa mi ha aiutato a ripulire la tua cantina, Kenny. Hai qualcosa da dire in proposito?»

«Quanto vi devo?» Sorriso compiaciuto.

«Lo trovi divertente?»

Altra alzata di spalle.

Slidell si rivolse a me. «Hai sentito qualcosa di divertente?»

«Non ancora» risposi.

«Io non ho sentito niente di divertente.» Il detective tornò a concentrare l'attenzione sul suo uomo. «Tu hai dei problemi, Kenny.»

«Ce li hanno tutti.» Disinvolto.

«Ma non tutti sono proprietari di un edificio sulla Greenleaf.»

«L'ho già detto. L'ultima volta che ho messo piede in quella casa avevo nove anni. Quando la vecchia me l'ha lasciata, sono caduto dal pero.»

«Il nipotino prediletto.»

«L'unico.» Ancora indifferente.

«Wanda non aveva figli suoi?»

«Uno, Archie.»

«E dove sarebbe Archie, attualmente?» Slidell manteneva un tono sprezzante.

«Al cimitero.»

«Sorprendente. Io chiedo dov'è Archie e tu te ne esci con: "Al cimitero". Botta e risposta, da schiantarsi. E ci hai pensato tutto da solo.» Di nuovo, si voltò verso di me. «Non è un fenomeno, con queste battute che spara?»

«Spassoso» concordai.

«Archie è morto in un incidente a sedici anni.»

«Condoglianze. Parliamo della cantina.»

«Tutto ciò che ricordo sono ragni, topi, vecchi attrezzi arrugginiti e una vagonata di muffa.» Schioccò le dita, come per un'improvvisa intuizione. «Ecco, cos'è. Mi arrestate perché ho fatto vivere quelle bestioline in un ambiente malsano. Maltrattamenti su animali, giusto?»

«Sei davvero da urlo, Kenny-boy. Scommetto che miri a uno spazio su Comedy Channel.» Altro assist di Slidell per me. «Che dici, magari una sera siamo lì a fare zapping e ci ritroviamo Kenny con il microfono in mano.»

«Anche Seinfeld ha cominciato con il cabaret.»

«C'è solo un problema.» Slidell trapassò Roseboro con uno sguardo per nulla divertito. «Non potrai salire su un palco, né uscire per strada, né andare da nessuna parte se non cominci a collaborare, qui e adesso, stronzo.»

La faccia di Roseboro mostrava solo indifferenza.

«Château Greenleaf?» Il poliziotto schiacciò il pulsante della sua penna a sfera, tenendola sospesa su un blocco in carta legale.

«Per quel che ne so, lo scantinato veniva usato come lavanderia e dispensa. E credo ci fosse un tavolo da lavoro, laggiù.»

«Risposta errata.»

«Non ho idea di che cosa tu stia parlando, amico.»

«Sto parlando di omicidio, testa di cazzo.»

L'apatia di Roseboro diede i primi segni di cedimento.

«Che cosa?»

«Dacci un taglio, Kenny. Forse conti sulla libertà di culto.»

«Dare un taglio a cosa?»

«John Gacy, Jeffrey Dahmer. Regola numero uno, brutto asino: non nascondere i pezzi di cadavere smembrato nel tuo ripostiglio.»

«Pezzi?» Ormai Slidell aveva tutta la sua attenzione.

Il detective si limitò a fissarlo.

Con gli occhi spalancati, Kenneth si rivolse a me. «Di che cosa sta parlando?»

Slidell aprì la cartelletta e, una dopo l'altra, sbatté sul tavolo alcune istantanee della scena del crimine. Il calderone. Le statue di santa Barbara e di Elegguà. Il pollo morto. Il cranio della capra. I resti umani.

Roseboro guardò le stampe senza toccarle. Dopo dieci secondi buoni, si fregò la bocca con la mano.

«Queste sono stronzate. Io non avevo modo di sapere che cosa il mio inquilino avesse trascinato in cantina. Ve l'ho detto. Non ci ho mai messo piede.»

Slidell non replicò e, come spesso avviene, l'interrogato si sentì in dovere di riempire il silenzio.

«Guardate. Ho ricevuto una lettera da un qualche colletto bianco, diceva che la casa era mia. Ho firmato le carte, messo un annuncio. Un tizio di nome Cuervo ha chiamato. Ci siamo accordati per un anno di affitto.»

«Gli hai chiesto delle referenze?»

«Non stavo offrendo uno spazio nella Trump Tower. Abbiamo concordato la cifra. Cuervo ha versato il contante.»

«Quando è stato?»

Perlustrò il soffitto con lo sguardo, le dita di una mano che tormentavano una crosta sul dorso dell'altra. Alla fine: «Un anno fa, in marzo» disse.

«Hai una copia del contratto di locazione?»

«Non mi sono mai deciso a metterlo nero su bianco. Cuervo saldava puntualmente ogni mese, non mi ha mai chiesto nulla. Dopo un po', mi sono dimenticato delle scartoffie. Stupido da parte mia, per come sono andate le cose.»

«Come ti pagava, Cuervo?»

«L'ho già detto. Cash.»

Con un gesto della mano, Slidell lo esortò a dire di più.

«I soldi li spediva. A me non fregava niente di ricevere il denaro in banca, e certo non mi andava di guidare tutti i mesi fino a Charlotte per riscuotere.»

«Non è che l'ufficio delle imposte non sapeva nulla del vostro piccolo accordo?»

Le dita di Roseboro si muovevano freneticamente. «Io pago le tasse.»

«Ma certo.»

Lamelle di endotelio crostoso si andavano accumulando sul piano del tavolo.

«Vorresti piantarla?» disse Slidell. «Mi dà il voltastomaco.»

Kenneth lasciò cadere entrambe le mani in grembo.

«Dimmi di Cuervo.»

«Latino. Sembrava un tipo abbastanza a modo.»

«Moglie? Famiglia?»

Nuova alzata di spalle. «Non eravamo esattamente amici di penna.»

«Era un clandestino?»

«Che cosa sono, la polizia di confine?»

Slidell tirò fuori dal dossier la stampata di una foto segnaletica. Dalla mia angolazione, l'immagine appariva scura e confusa.

«È lui?»

Roseboro diede un'occhiata rapida al soggetto e annuì.

«Va' avanti.» Il detective riprese la penna. Sospettai che quel suo scrivere appunti fosse tutta scena.

L'uomo si strinse nuovamente nelle spalle, una mossa che, evidentemente, gli veniva facile.

«Dopo giugno, il tizio ha smesso di pagare e di rispondere al cellulare. A settembre ero ormai incazzato nero e sono venuto qui per sbatterlo fuori.» Scosse la testa, deluso da quell'ennesima caduta del genere umano. «Lo stronzo se n'era andato. Me l'ha davvero messo in quel posto.»

«Mi vengono le lacrime agli occhi, Kenny, un bravo ragazzo onesto come te. Cuervo ha portato via la sua roba?»

Scosse la testa. «Ha lasciato tutto. Solo cianfrusaglie.»

«Hai il suo telefono?»

Roseboro sganciò il cellulare dalla cintura, lo accese e scorse la rubrica.

Slidell scarabocchiò il numero. «Continua.»

«Non c'è altro da dire. Ho assunto un agente immobiliare e venduto il posto. Fine della storia.»

«Non proprio.» Dopo aver racimolato malamente le foto, Slidell tirò fuori uno scatto del cranio umano. «Chi è?»

Kenneth abbassò gli occhi sulla stampa e subito li rialzò. «Gesù Cristo. Come faccio a saperlo?»

Slidell tolse dalla cartella una copia del ritratto scolastico e gliela sollevò davanti. «E questa?»

Roseboro aveva l'aria di un uomo il cui cervello sta girando a mille. In cerca di una spiegazione? Di autocontrollo? Di una via d'uscita?

«Mai vista quella ragazza in vita mia. Sentite, posso aver tentato di evadere un pochino il fisco, ma, lo giuro davanti a Dio, non so niente di tutta questa storia.» Il suo sguardo correva da me a Slidell. «Vivo a Wilmington. Sono lì da cinque anni. Controllate.»

«Contaci» disse il detective.

«Se volete, mi sottoporrò alla macchina della verità. Adesso. Facciamolo adesso.»

Senza una parola, Slidell raccolse le stampe, sbatté la cartelletta sul blocco e si rimise pesantemente in piedi.

Mi alzai anch'io.

Insieme, ci avviammo verso la porta.

«E io?» piagnucolò Roseboro alle nostre spalle. «Che cosa mi succederà?»

Slidell parlò senza voltarsi.

«Non programmare audizioni nei prossimi giorni.»

 

«Impressioni?» gli domandai quando ci ritrovammo nel suo ufficio.

«È un piagnone cacasotto, ma l'istinto mi dice che è sincero.»

«Stai pensando a Cuervo?»

«O alla zietta.»

Scossi la testa. «Wanda è morta un anno e mezzo fa. Sono praticamente certa che il pollo sia stato ucciso negli ultimi mesi. Chiamerò l'entomologo per vedere se azzarda un parere preliminare.»

«Se Wanda è fuori, non mi resta che Cuervo. Sempre che Roseboro non ci stia prendendo per i fondelli.»

«Posso vedere la foto segnaletica?»

Tirò fuori la stampata dalla cartelletta.

In effetti, la qualità era pessima. L'uomo era tutto denti e rughe, con folti capelli grigi scostati dal volto.

«L'origine latina di Cuervo collima con l'ipotesi della santería» commentò Slidell. «O di quell'altro.»

«Il palo mayombe.» Speravo che non fosse quello e, se lo era, che non si trattasse della varietà in stile Adolfo de Jesus Constanzo. «E Roseboro?»

«Lo lascio un po' di là a frollare, poi tenterò un altro faccia a faccia. La paura, a volte, stimola le cellule grigie.»

«Dopodiché?»

«Lo rimando a casa e mi metto in cerca di Cuervo. Comincerò dal suo cellulare.»

«E dal Servizio immigrazione e naturalizzazione. Il tizio potrebbe non avere i documenti.»

All'udire quell'espressione, Slidell alzò gli occhi al cielo. «Il fatto che sia un clandestino spiegherebbe solo perché Roseboro volesse essere pagato in contanti e senza scartoffie di mezzo.»

«Notizie di Rinaldi?»

Controllò la sua segreteria e il cellulare, scosse la testa.

«Se si fa sentire, avvertimi» conclusi. «Io sarò all'ufficio del medico legale. In mancanza di novità, sarà forse il caso di divulgare l'immagine della ragazza. Ti chiamo dopo che Larabee e io avremo finito con il torso del lago Wylie.»

«Abbiamo un piano, pare.»

Ma non sapevamo che un altro era già stato allestito e sarebbe andato a ostacolare il nostro.