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Parcheggiai al confine tra Fourth e First Ward. Percorrendo Church Street, non potei fare a meno di pensare che il quartiere era l'immagine perfetta della zona residenziale.

La casa di Charlie sorgeva al centro di una schiera di nove abitazioni nuove di zecca. Di fronte, dalla parte opposta, c'era il McColl Center for visual art, uno studio con sala esposizioni, realizzato all'interno di una chiesa.

Oltre l'antico luogo di culto ritrasformato, si estendeva uno spazio vuoto, cumuli di macerie che attestavano una recente implosione. Superata di gran lunga la data di scadenza, il vecchio condominio Renaissance Place era stato demolito per far posto a un elegante nuovo palazzo.

Due isolati a sud-est, sapevo che altri edifici erano stati destinati alla demolizione, tra cui il Mecklenburg County Government Services Center: il nostro ex garden Sears riconvertito. Tutti, all'ufficio del medico legale, attendevano con terrore il trasloco.

C'est la vie, stile Charlotte: un nuovo paesaggio che sorge dalle ceneri del vecchio.

Suonai il campanello di Charlie alle diciannove e ventitré, i capelli umidi tirati al massimo in una coda di cavallo alta. La fine del mondo. Se non altro, ero riuscita a mettermi fard e mascara.

Al mio appello rispose un padrone di casa eccessivamente affascinante. Jeans slavati, mocassini senza lacci, niente calzini, felpa con cerniera sul davanti che lasciava intravedere giusto una piccola porzione di torace.

«Mi dispiace, sono in ritardo.»

«No hay problema.» Mi schioccò un bacio sulla guancia. Sapeva pure di buono. Burberry?

Flash della Skylark.

Annuì in segno di approvazione, notando i miei legging e la nuova tunica di Max Mara. «Visto? Tirata a lucido risplendi veramente.» Pronunciò l'avverbio con almeno cinque e.

«Questa l'hai già usata, oggi.»

«L'esperienza mi ha insegnato il valore della moderazione.»

«Moderazione?»

«Se do libero sfogo a tutta la mia arguzia, le donne arrivano a frotte da ogni angolo della città. Una sera ho piazzato tre battutine leggere e la polizia ha dovuto transennare la zona.»

«Che guaio con i vicini.»

«Ho ricevuto tre lettere di protesta dall'Associazione locatori.»

Alzai gli occhi al cielo.

«Andiamo a piedi?»

Inclinai la testa, perplessa.

«Sono quattro piani.»

«C'è l'ascensore, vero?»

Sorrise umile, come a dire: «Che ci vuoi fare?».

«Si va in cima?»

«La cucina è al secondo.»

«Posso arrivarci» conclusi.

Facendo strada, illustrò la disposizione dei locali: ufficio e garage al primo livello, zona giorno-pranzo al secondo, camere al terzo e, al quarto, terrazza e salone per i ricevimenti.

Il décor era Pottery Barn moderno nei toni del crema e del marrone. «Ecru e terra d'ombra» avrebbe detto l'arredatore.

Ma i complementi d'arredo mostravano un tocco personale: quadri prevalentemente astratti, qualcuno più tradizionale e chiaramente datato, sculture in legno e metallo, una statua africana intagliata, una maschera che mi parve indonesiana o giù di lì.

Salendo, non potei fare a meno di notare varie fotografie. Riunioni di famiglia, alcune con volti che somigliavano a un assortimento di caffè, altre con carnagioni più sul moka-olivastro.

Immagini in posa di un uomo alto di colore con la divisa dei Celtics. Charles «CC» Hunt, all'epoca dell'NBA.

Istantanee incorniciate. Una giornata sugli sci, una gita in spiaggia, un'escursione in vela. Quasi in tutte Charlie sedeva accanto a una donna dal fisico slanciato, con lunghi capelli neri e pelle color cannella. La moglie rimasta uccisa l'11 settembre? Il ritratto di nozze sulla mensola del caminetto, nel soggiorno, me lo confermò.

Distolsi lo sguardo, rattristata. In imbarazzo? Charlie stava guardando. I suoi occhi si velarono, ma non fece commenti.

La cucina era acciaio inox e legno naturale. Su un piano di lavoro in granito faceva bella mostra di sé la produzione culinaria del mio ospite.

Indicò le portate con un ampio gesto della mano. «Costolette d'agnello al rosmarino, zucchine marinate, insalata mista alla Hunt.»

«Impressionante.» Gli occhi mi corsero al tavolo. Era apparecchiato per due.

Charlie notò che lo stavo notando.

«Purtroppo, Katy aveva già un altro impegno.»

«Ah sì?» Lavarsi i capelli, senza dubbio.

«Vino? Martini?»

Evidentemente, mia figlia non l'aveva messo al corrente del mio pittoresco passato.

«Perrier, grazie.»

«Limone?»

«Perfetto.»

«Astemia?» Detto da dietro la porta aperta del frigo.

«Mmh.»

Benché sapesse che, al liceo, non mi ero fatta mancare la mia buona dose di birre, Charlie non fece domande circa il mio mutato rapporto con l'alcol, e ciò mi piacque.

«Mi fai compagnia in terrazza? La vista non è male.»

Non sono mai stata un'amante dell'autunno: lo trovo una stagione dal sapore dolceamaro, l'ultimo ansito della natura prima che arrivi il momento di rimettere indietro gli orologi, prima che la vita vada a rannicchiarsi per affrontare il lungo, cupo inverno.

Altro che Foglie d'autunno, come cantava Johnny Mercer: per me era giusto il titolo originale francese, Les feuilles mortes.

Sarà per il mio lavoro - per la mia quotidiana intimità con la morte, chi lo sa? -, ma io preferisco crochi e narcisi e pulcini appena nati.

E tuttavia il «non male» di Charlie era un eufemismo. La serata era così sfavillante che pareva quasi viva, di quelle che si vedono quando il polline estivo s'è ormai posato e la produzione in massa di fogliame autunnale non ha ancora avuto inizio. Il cielo era trapunto di un miliardo di stelle. Palazzi e grattacieli illuminati facevano sembrare il centro una creazione Disney. Alice nel Paese dei dollari.

Mentre Charlie grigliava le costolette, chiacchierammo, saggiando vari percorsi di conversazione. Naturalmente, il primo conduceva lungo il sentiero delle rimembranze.

Le feste all'autodromo, lo Spring break a Myrtle Beach. Ridemmo fino alle lacrime, ripensando al nostro carro per la parata dell'ultimo anno: un raiforme in carta velina e rete metallica appeso all'esterno di una porta chiusa con il numero della nostra aula. Razza (di) Fuori Classe. All'epoca ci era sembrato un gioco di parole degno di Groucho Marx.

Rabbrividimmo al ricordo del periodo in assoluto più buio nella storia della moda. Giacche di velluto sgualcito, cappelli a uncinetto, borse in macramè, décolleté.

Non facemmo alcun riferimento alla Skylark.

Quando carne e verdure furono pronte, scendemmo in sala da pranzo. Via via che il livello di confidenza aumentava, la conversazione si volse ad argomenti più seri.

Charlie parlò di un adolescente di cui stava curando la difesa. Lievemente ritardato, era stato accusato dell'omicidio dei nonni.

Io raccontai delle ossa nel calderone, di Anson Tyler e dell'ultima esibizione di Boyce Lingo. Perché no? Ormai, tra il reverendo e la signora Stallings, avevano spiattellato tutto.

«Lingo sostiene che i due casi sono collegati?» domandò Charlie.

«Lo lascia intendere, ma si sbaglia. Prima di tutto, Anson Tyler non è stato decapitato; secondo, anche se ammetto che la mutilazione del lago Wylie fa pensare al satanismo, non c'è alcuna traccia di adorazione del diavolo nello scantinato della Greenleaf. Gli animali da cortile, la statua di santa Barbara, l'immagine del dio Elegguà, i calderoni conducono tutti a una qualche forma di santería.»

«Ignoralo. Vuole candidarsi per un seggio al senato e ha bisogno di pubblicità.»

«Chi può votare per quella testa di cavolo?»

Considerò retorica la domanda. «Dessert?»

«Sicuro.»

Scomparve, ritornò con fette di crostata delle dimensioni di una portaerei.

«Ti prego, dimmi che non l'hai fatta tu.»

«Crema di banana. Comprata da Edible Art. Purtroppo, benché galattici, i miei poteri hanno dei limiti.» Si sedette.

«Grazie a Dio.»

Due bocconi e tornai a Lingo. Ormai ero senza freni.

«Le sue tirate isteriche su satanismo e bambini uccisi spaventeranno a morte l'opinione pubblica. Peggio, potrebbero indurre qualche frangia isolata di estrema destra a bruciare croci sul prato di casa di ashkenazim e atabaschi. L'ho visto succedere. Qualche zuccone fanatico religioso finisce in TV e un attimo dopo la gente è lì che si organizza davanti al minimarket per andare in giro a menar le mani.» Pugnalai l'aria con la forchetta per dare maggiore enfasi alla frase. «Statue? Perline? Noci di cocco? Se lo scordi: Satana non era l'ospite d'onore in quello scantinato.»

Charlie alzò le mani. «Metti giù quell'arma e ce ne andiamo.»

Posai la forchetta sul piatto, ci ripensai, la presi e mi avventai sulla crostata. Poi me ne sarei pentita amaramente, però.

«Lingo ti fa davvero incazzare.»

«È una delle cose che gli riescono meglio.» Biascicato tra pasta frolla e crema di banana.

«Ora ti sei sfogata?»

Feci per protestare, esitai, imbarazzata.

«Scusa. Hai ragione.»

Mangiammo in silenzio, poi: «Atabaschi?».

Alzai gli occhi. Stava sorridendo.

«Ashkenazim?»

«Sai che cosa voglio dire: minoranze incomprese.»

«Aleutini?» suggerì.

«Bravo.»

Ridemmo. Charlie allungò una mano, poi indugiò come sorpreso dal suo stesso gesto e, goffamente, si limitò a indicare la mia bocca.

«Hai della crema sul labbro.»

Vi passai il tovagliolo.

«Bene» dissi.

«Bene» disse lui.

«È stato bello.»

«Lo è stato.» I suoi tratti si fissarono in un'espressione che non riuscii a interpretare.

Pausa imbarazzata.

Mi alzai e cominciai a raccogliere i piatti.

«Neanche per sogno.» Schizzando in piedi, Charlie mi prese le stoviglie di mano. «A casa mia comando io.»

«Che dispotico» replicai.

«Sì.»

 

Un'ora dopo ero rannicchiata nel mio letto. Da sola. Forse per l'incidente con le mutandine, Birdie teneva le distanze. Poco male.

La stanza era silenziosa. Schegge di luce lunare trafiggevano l'armadio.

La quiete e il peso della giornata avrebbero dovuto conciliarmi un rapido sonno, invece i miei pensieri vorticavano come pale di una girandola.

La compagnia di Charlie era stata piacevole, la conversazione spontanea, non tesa come avevo temuto.

D'improvviso, mi resi conto che avevo parlato quasi sempre io. Era un bene? Forse Charlie era un tipo silenzioso, riflessivo? Acque chete che ribollivano in profondità o acque ferme che non scorrevano affatto?

Sembrava comprendere la mia frustrazione nei confronti di Lingo, e anche se, in effetti, mi ero sfogata con lui, non mi aveva trattato come una bambinetta stizzosa.

Il nostro dialogo era stato rigorosamente declinato al presente: nessun cenno a matrimoni passati, amori perduti, spose decedute, nessun riferimento agli anni trascorsi tra la Skylark e l'oggi.

Ripensai alla foto di nozze e all'espressione del mio ospite. Che cosa avevo colto nei suoi occhi? Risentimento? Senso di colpa? Dolore per una vita stroncata da un branco di fanatici?

Non che volessi condividere dei segreti con Charlie Hunt. Non avevo menzionato Pete e la sua fidanzata meno che trentenne. O Ryan, con il suo vecchio amore e la figlia nei guai. Tra noi c'era stata una muta, reciproca intesa: ciascuno aveva girato intorno al suo passato senza mai valicarne il limite. Era meglio così.

Ryan.

Non mi aspettavo che chiamasse, eppure, rientrando a casa, avevo avvertito ancora una volta la speranza di veder lampeggiare la spia rossa.

Tre messaggi in segreteria. Katy, Pete e qualcuno che aveva riappeso.

Mia figlia voleva accordarsi per lo shopping di sabato. Certo, e nient'altro.

Il mio ex marito sperava di organizzare una cena per presentarmi Summer. Facile come portar braciole di maiale sulla tavola dello Shabbat.

Le pale della girandola mulinavano freneticamente.

Ryan.

Si era felicemente riunito a Lutetia? Era davvero finita tra noi? Me ne importava?

Questa era facile.

Doveva importarmene?

Pete.

Lascia perdere.

Charlie.

Basta per oggi.

Il cadavere del lago Wylie.

Che cosa mi disturbava in quel corpo? La scarsità di larve, considerate le dichiarazioni di Funderburke? L'assenza di odore e di qualche segno evidente di necrofagia? La testa mancante? I simboli intagliati nella carne?

Ma va'?

Il caso del lago Wylie era in qualche modo legato allo scantinato della Greenleaf? Se sì, come? Il primo faceva pensare al satanismo, il secondo alla santería, o a qualche variante del palo mayombe.

Che ne era stato della testa del ragazzo in riva allo Wylie?

Un'immagine improvvisa: il pezzo di cervello trovato nel calderone.

Era umano? Appunto mentale: chiedere conferma a Larabee.

Le mie cellule cerebrali pessimiste buttarono lì un pensiero.

Il cervello di Mark Kilroy fu trovato a galla in un calderone.

Adolfo de Jesus Constanzo e i suoi seguaci non erano satanisti, erano un'aberrazione dei paleros.

Kenneth Roseboro.

Aveva detto la verità sulla casa di Greenleaf Avenue? E il suo inquilino? Dov'era T-Bird Cuervo?

Cuervo. Non era il termine spagnolo per «corvo»? Thomas Corvo, T-Bird. Nome carino.

Che storia ci avrebbe propinato Roseboro l'indomani?

Il ragazzo mutilato del lago Wylie.

Le ossa nel calderone.

La fotografia scolastica.

Boyce Lingo.

Charlie Hunt.

Le nozze di Pete.

La tregua tra Ryan e Lutetia.

E così via.

Così via.

Immagini alla rinfusa. Rimuginare confuso.

Ma non confuso quanto stava per diventare.