11
Benché il contatto con il terreno avesse scoraggiato la maggior parte delle mosche, alcune intrepide erano riuscite a intrufolarsi sotto il corpo. Un cerchio bianco brulicava sul pallido torace glabro, un ovale più piccolo era in fermento sul ventre.
«Che cosa diavolo...?» Voce attutita attraverso il poliestere.
Chinandomi, vidi che le uova non erano distribuite uniformemente, ma parevano raggrupparsi a formare dei motivi. Con un dito guantato, sospinsi delicatamente quelle isolate verso fasce di aggregazione più dense che sembravano delimitare e attraversare una circonferenza.
E mi sentii gelare.
Le uova formavano una stella rovesciata a cinque punte.
«Un pentacolo» dissi.
Gli altri restarono in silenzio.
Procedetti a «ripulire» col dito anche l'ovale, finché il motivo apparve chiaramente: 666.
«Non mi sembra esattamente opera degli Amici della Bibbia.» La voce di Slidell grondava disgusto.
«Come...?» La domanda di Rinaldi rimase sospesa.
«Le mosche non sono diverse da noi: tra due vie, scelgono la più facile. Orifizi, ferite aperte...»
Slidell capì dove volevo arrivare. «Gli hanno inciso quei simboli addosso.»
«Sì.»
«Prima o dopo che gli staccassero la testa?» Con rabbia.
«Non lo so.»
«Allora Lingo ha ragione.»
«Non dovremmo saltare alle...»
«Hai un'altra teoria?»
Non l'avevo.
«Andiamo.» Slidell si allontanò a grandi passi, la mascella contratta.
«Non voleva mancare di rispetto» disse Rinaldi in tono rammaricato. «Sua nipote ha avuto qualche problema, al liceo.» Esitò, considerando se fosse o meno il caso di fornire i particolari. Propendette per il no. «Comunque, è ansioso di chiudere la faccenda della Greenleaf. Siamo sulle tracce di Kenneth Roseboro, il ragazzo che ha ereditato la casa.»
«Il nipote di Wanda Horne» ricordai.
«Sì.» Di nuovo, non offrì ulteriori delucidazioni. «Vuoi che faccia battere la zona con un cane da cadavere? Magari per cercare di scovare la testa?»
Annuii.
«Inoltro la richiesta.»
Quando tornai dalla macchina con il mio kit da campo, Hawkins effettuava riprese con la videocamera e la squadra della Scientifica perlustrava l'area. La linea costiera era già punteggiata di contrassegni arancio, che indicavano la potenziale presenza di tracce dal valore probatorio: mozziconi di sigaretta, carte di caramella, kleenex. Per lo più si sarebbero rivelate inutili, ma al momento nessuno poteva dire che cosa fosse effettivamente rilevante e che cosa, invece, fosse lì solo per effetto del caso.
Aprii il kit e predisposi l'occorrente. Accanto a me, il medico legale scoperchiava un termometro da inserire nell'ano. O nell'ammasso di uova. Non ne ero sicura. Per due ore raccogliemmo ed etichettammo prove: Larabee al cadavere, Brennan agli insetti.
Innanzitutto, scattai qualche primo piano, nell'eventualità che qualcosa si trasformasse in qualcos'altro prima di arrivare dall'entomologo. Avevo già commesso quell'errore in passato.
Quindi raccolsi le uova, usando un pennellino inumidito. Ne conservai la metà circa in alcol diluito, pace all'anima loro. Le altre le volevo vive, perché l'entomologo potesse individuare la specie una volta dischiuse. Misi le fortunate in provette con pezzettini di fegato di manzo e carta assorbente inumidita.
Poi fu la volta delle larve. Poiché le poche presenti sembravano tutte della stessa specie e appena uscite dal guscio, non mi preoccupai di suddividerle per grandezza, ma unicamente per sede di provenienza: collo, ano, terreno circostante. Come nel caso delle uova, una metà finì nelle fiale con aria, cibo e un morbido posatoio, l'altra in acqua bollente e poi nella soluzione etilica.
Dopo aver preso qualche mosca adulta col retino e averla opportunamente impacchettata, raccolsi rappresentanti di ogni specie presente nel raggio di un metro intorno al corpo. Il mio inventario comprendeva due scarafaggi, una lunga cosa marrone strisciante e una manciata di formiche. Una vespa la fece franca.
Etichettati gli insetti, raccolsi campioni di terreno e annotai le caratteristiche fondamentali dell'habitat: distesa d'acqua dolce, pini e querce, natura semiacida del suolo, altitudine tra i centocinquanta e i centottanta metri, temperatura tra i diciotto e i ventisei gradi, scarsa umidità, piena esposizione al sole.
Infine, presi qualche appunto sulle condizioni del corpo. Nudo, prono, natiche sollevate, braccia lungo i fianchi. Decapitazione. Assenza di sangue o fluidi corporei sulla scena. Testa mancante. Lesioni incise su torace e addome. Decomposizione minima. Non si rileva l'azione di necrofagi acquatici, né terrestri. Aggregati di uova in corrispondenza di collo e ano, con temperature interne di 36,1 e 36,7 gradi, rispettivamente. Causa della morte: sconosciuta.
Erano le quattro e mezza quando finii. Raggiunsi Larabee e Hawkins, intenti a bere acqua, appoggiati al retro del furgone.
«Sete?» domandò l'investigatore.
Annuii.
Aprì un frigo portatile e mi lanciò una bottiglietta da centottanta millilitri.
«Grazie.»
Ce ne restammo lì, bevendo, a fissare il lago. Larabee fu il primo a rompere il silenzio.
«A sentire Slidell, gli adoratori del diavolo sono tra noi.»
«Giornata campale per il commissario Lingo.» Non riuscii a celare il disprezzo nella mia voce.
Hawkins scosse la testa. «Il vecchio Boyce stava già tuonando meno di ventiquattr'ore dopo che tu e Skinny avevate finito in quella cantina.»
«Non lo sapete? Ha una linea diretta con Dio.»
Larabee sbuffò.
«Ricordi quell'accoltellamento dalle parti di Archdale?» Hawkins puntò la sua bottiglietta in direzione di Larabee. «La signora lesbica che aveva avuto un alterco con la partner, beccata a rimorchiare? Avevamo a malapena chiuso la zip del sacco per cadaveri, che lui già pontificava sui mali dell'omosessualità.»
«Nemmeno un commento, però, la settimana scorsa» osservò Larabee, «quando quel camionista ha fatto fuori l'uomo della sua ex moglie. Un legittimo omicidio eterosessuale. Movente biblico: "Se non posso averla io, non può averla nessuno".»
«Se Lingo viene a sapere del ritrovamento di oggi, ne farà il tormentone del momento.» Hawkins gettò la bottiglietta vuota su una borsa dei supermercati Winn-Dixie, accanto al frigo portatile.
«E prenderà un granchio colossale.»
«A te questa storia non sa di satanismo?» mi domandò il medico legale.
«Questa sì, ma non quella dello scantinato.»
Descrissi ciò che avevo trovato.
«Non mi sembra roba da battisti» disse Hawkins.
Citai a grandi linee quel che avevo spiegato a Slidell e Rinaldi in fatto di religioni sincretiche, santería, vudù e palo mayombe.
«Chi tra questi compie sacrifici animali?»
«Tutti.»
«E i satanisti?»
«Anche.»
«Tu su chi scommetti?» La bottiglietta di Larabee andò a raggiungere quella di Hawkins.
«Perline colorate, monete e la statuetta di santa Barbara sembrano indicare la santería. I paletti di legno e la nganga incatenata suggeriscono il palo mayombe.»
«I resti umani?»
Sollevai i palmi, frustrata. «Scegliete voi: vudù, santería, palo mayombe, satanismo. Ma nella cantina non c'erano stelle a cinque punte o croci rovesciate, niente sei sei sei, né candele nere o incenso. Nessun elemento tipico dell'adorazione del diavolo.»
«E niente che ricordi quel povero ragazzo.» Larabee piegò la testa in direzione del lago.
«No.»
«Credi ci sia un collegamento?»
Rividi mentalmente il corpo mutilato sulla spiaggia.
Il cranio e le ossa lunghe nel calderone.
Non avevo una risposta.
Mentre mi dirigevo verso l'autostrada, incrociai due auto che procedevano nel senso contrario. La prima fu una vista gradita, la seconda, decisamente no.
Il SUV trasportava il cane promesso da Rinaldi: gli augurai miglior fortuna di me con la ricerca della testa.
Alla guida della Honda Accord c'era, invece, la stessa donna che avevamo scoperto a fare foto, il lunedì, fuori dalla casa in Greenleaf Avenue. Mi sforzai di ricordare il nome riportato sull'«Observer». Allison Stallings.
«Davvero grandioso.» Battei il palmo sul volante. «Chi diavolo sei, Allison Stallings?»
Annotai il numero di targa e augurai buona fortuna anche a Radke, che avrebbe dovuto tenerla lontana dal cadavere.
Il cellulare squillò mentre mi immettevo sulla I-77, al termine della rampa. Il traffico procedeva a rilento, ma non era ancora l'immobile ingorgo che sarebbe diventato di lì a poco.
Il display visualizzò un numero sconosciuto, con prefisso 704.
Incuriosita, premetti il tasto di ricezione.
«Forza Mustang!» esclamò una voce maschile.
Ero stanca, preoccupata e, a essere onesta, delusa che la chiamata fosse locale, pertanto non di Ryan. La mia replica non fu esattamente cortese.
«Chi è?»
In risposta mi spettò il primo verso dell'inno di battaglia della Myers Park High School.
«Ciao, Charlie.»
«Pronta per quel caffè?»
«Non è un buon momento.»
«Alle sei? Alle sette? Scegli tu.»
«Ho lavorato tutto il giorno in esterni. Sono esausta e lurida dalla testa ai piedi.»
«Se ben ricordo, ti basta una lucidata per risplendere.» Vecchia espressione del Sud.
Sono competitiva: gioco duro, lavoro sodo. C'è gente che riesce a dare il massimo rimanendo impeccabile. Non posso dire lo stesso di me. Alla fine dei nostri tornei di tennis, Charlie sembrava un modello di «GQ», io somigliavo più a uno shitzu con una brutta permanente.
«Grazie. Credo.»
«Katy mi dice che ti piacciono le costolette d'agnello.»
Quel brusco cambio di argomento mi colse alla sprovvista.
«Io...»
«Sono la mia specialità. Sentì qua. Tu ti fai una doccia, io faccio un salto al supermercato. Ci troviamo da me alle sette. Tu ti rilassi, io giro l'insalata e butto le costolette sulla griglia.»
Piano, amico!
«È invitata anche Katy, naturalmente. L'agguanto io prima che esca dall'ufficio, qui.»
Sospettai che la cospiratrice fosse proprio lì accanto.
«È stata una lunga giornata» ribadii.
«Una doccia e ti sentirai un'altra.»
«Sì, ma un'altra che dovrà comunque lavorare, domattina presto.» Questa suonò scarsa anche a me.
«Sentì. A te piacciono le costolette d'agnello, a me piacciono le costolette d'agnello. Tu non hai voglia di cucinare, io sì.»
Mi aveva nel sacco.
«Devo passare all'ufficio del medico legale per spedire alcuni insetti.»
«Cadaveri di formiche?»
«Per lo più mosche.» Non potei fare a meno di sorridere.
Accennò un motivo di Curtis Mayfield.
«Superfly» indovinai.
«Bravissima» disse Charlie.
«Non potrò fare troppo tardi.»
«A una cert'ora, giuro che ti caccio via.»
Un'auto si portò sulla mia corsia, costringendomi a frenare bruscamente. Il telefono mi cadde in grembo. Lo cercai a tentoni, guidando con una mano, e lo riaccostai all'orecchio.
«Sei ancora lì?»
«Credevo che mi avessi sbattuto il telefono in faccia.»
A ripensarci ora, probabilmente avrei dovuto.
I miei abiti finirono direttamente nella cesta del bucato. Il mio corpo finì direttamente sotto la doccia.
Uscendo, trovai Birdie che giocherellava con una mosca sul pavimento del bagno. La inghiottì, prima che facessi in tempo a intervenire.
«Bird! Porcello!»
Il gatto pareva orgoglioso. O compiaciuto. O introspettivo: intento a meditare sull'insetto nelle sue varie sfaccettature.
Sorridendo mi spalmai la crema per il corpo ai fiori d'arancio sulla pelle.
Charlie aveva ragione: mi sentivo rigenerata, allegra persino. Uscire era una buona idea. Stringere nuove amicizie, una mossa salutare.
Un gruppo di cellule della memoria mi offrì un collage di immagini flou, come fotografie dimenticate sotto la pioggia.
La Skylark.
Charlie con un paio di shorts. E nient'altro.
Io in pantaloncini e canottiera, un vistoso ciondolo sul davanti - una farfalla di brillantini... o era un uccello? - i capelli con quel tipico taglio scalato e scomposto degli anni Settanta.
Il rivestimento dei sedili che mi faceva prudere la schiena abbronzata.
Forse quello non era un ricordo così fantastico.
Riallacciare vecchie amicizie, mi corressi. Amici. Solo amici.
Sicuro!, dissero le cellule della memoria.
Andai in camera e accesi il televisore per vedere il notiziario, accostandomi alla cassettiera.
«"Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna." Queste parole dell'Apocalisse non mi sono mai sembrate così vere. Lucifero è proprio qui, alle porte della nostra città.»
Restai impietrita, gli slip mezzi fuori dal cassetto.