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Mi chiamo Temperance Deassee Brennan. Uno e sessantasette, irritabile, ultraquarantenne. Plurilaureata. Superoccupata. Sottopagata.
E sto morendo.
Tirai una riga su quell'abbozzo di incipit e ritentai.
Sono un'antropologa forense. Conosco bene la morte. Ora è sulle mie tracce. Questa è la mia storia.
Buon Dio. Nemmeno fossi Jack Webb in Dragnet.
Non ci siamo.
Una rapida occhiata all'ora: le due e trentacinque.
Abbandonata l'idea dell'autobiografia, mi rassegnai a scarabocchiare. Un cerchio dentro l'altro: il quadrante dell'orologio, la sala conferenze, il campus, Charlotte, il North Carolina, il Nordamerica, la Terra, la Via Lattea.
Intorno a me, i colleghi disquisivano animatamente di minuzie con la passione degli zeloti. Nella fattispecie, il dibattito verteva su questioni terminologiche relative a un sottoparagrafo dello statuto del dipartimento. L'aria nella stanza era soffocante, l'argomento mortalmente noioso. Eravamo in riunione da più di due ore e il tempo di certo non stava volando.
Divisi in spicchi il più esterno dei miei cerchi concentrici e cominciai a riempire gli spazi con dei puntini. Quattrocento miliardi di stelle nella galassia. Desiderai ardentemente teletrasportarmi su una di esse.
L'antropologia è una disciplina assai vasta, comprensiva di quattro sottospecialità interrelate tra loro. Antropologia fisica, culturale, archeologica, linguistica. Il nostro dipartimento le contempla tutte e quattro e i membri di ogni gruppo stavano dando libero sfogo al loro bisogno di dire la propria.
George Petrella è un linguista che indaga i miti come forma di narrazione individuale e di identità collettiva. Occasionalmente gli capita di dire cose che capisco anch'io.
Al momento stava contestando la correttezza dell'espressione «riconducibile a quattro diverse aree disciplinari» e al suo posto proponeva «suddivisibile in».
Cheresa Bickham, archeologa, e Jennifer Roberts, esperta di studi transculturali, sostenevano strenuamente «riconducibile a».
Stanca del puntinismo galattico e incapace di dissimulare la mia totale apatia, tornai a dedicarmi alla scrittura.
Temperanza: la capacità di evitare gli eccessi.
Doppia porzione, prego. Con contorno di ritegno e niente ego.
Occhiata all'orologio.
Due e cinquantotto.
E lo sproloquio continuava.
Alle quindici e dieci si tenne una votazione. «Suddivisibile in» ebbe il sopravvento.
Presiedeva l'assemblea Evander Doe, direttore del dipartimento da più di dieci anni. Benché quasi mio coetaneo, pareva uscito da un dipinto di Grant Wood: calvo, montatura rotonda da gufo, orecchie da pachiderma.
Chi lo conosce lo considera arcigno. Ma io no: io posso affermare di averlo visto sorridere almeno due volte.
Archiviato finalmente il dilemma terminologico, il direttore introdusse la seconda, scottante questione del giorno. Interruppi i miei ghirigori per prestargli ascolto.
La dichiarazione d'intenti del dipartimento doveva porre l'accento sui legami storici con teoria critica e discipline umanistiche o sottolineare piuttosto l'importanza sempre maggiore delle scienze naturali e dell'osservazione empirica?
La mia pseudobiografia aveva colpito nel segno: sarei morta sicuramente prima della fine della riunione.
Flash improvviso: i famigerati esperimenti sulla deprivazione sensoriale degli anni Cinquanta. Rividi i volontari con indosso occhiali oscurati e manicotti imbottiti, sdraiati su brande in camere acusticamente isolate.
Elencai mentalmente i loro sintomi e li confrontai con il mio stato attuale.
Ansia, depressione, comportamento antisociale, allucinazioni.
Una riga sulla quarta voce: benché indiscutibilmente stressata e irritabile, non potevo definirmi in stato allucinatorio. Almeno per il momento. Non che l'idea mi dispiacesse: una bella visione sarebbe stata un buon diversivo.
Intendiamoci, non sono cinica nei confronti dell'insegnamento. Adoro stare con i ragazzi e mi dispiace non riuscire a dedicare più tempo alle ore di lezione. Ogni anno, i miei spazi d'interazione con gli studenti sembrano restringersi sempre di più.
Perché? Torniamo alla faccenda della classificazione sottodisciplinare.
Avete mai tentato di andare da un semplice medico? Impossibile. Cardiologo, dermatologo, endocrinologo, gastroenterologo: è un mondo di specializzazioni e il mio settore non fa eccezione.
Antropologia: lo studio della specie umana. Antropologia fisica: lo studio di biologia, variabilità ed evoluzione dell'organismo umano. Osteologia: lo studio delle ossa presenti nell'organismo umano. Antropologia forense: lo studio delle ossa umane a scopo legale.
Ed eccomi lì, al termine delle varie sottodiramazioni. Benché abbia compiuto gli studi nel campo della bioarcheologia e dato inizio alla mia carriera dissotterrando e analizzando resti antichi, sono passata anni fa all'antropologia forense. «Al lato oscuro» mi prendono ancora in giro i miei compagni di università. «Attratta dalla fama e dai lauti guadagni.» Come no! Avrò forse ottenuto un briciolo di notorietà, ma di lauti guadagni, nemmeno l'ombra.
Noi antropologi forensi lavoriamo sui morti recenti. Collaboriamo con forze dell'ordine, coroner, medici legali, pubblici ministeri, avvocati difensori, reparti dell'esercito, organizzazioni per la difesa dei diritti umani e squadre di recupero in caso di eventi catastrofici. Attingendo alle nostre conoscenze di biomeccanica, genetica e anatomia dello scheletro, tentiamo di risolvere problematiche relative a identificazione, causa del decesso, intervallo postmortem e alterazioni postume del cadavere. Esaminiamo spoglie carbonizzate, decomposte, mummificate, mutilate, smembrate e, letteralmente, ridotte all'osso. Spesso, quando arrivano a noi, i resti sono ormai troppo compromessi perché l'autopsia possa ricavarne dati di una qualche utilità.
Nello Stato del North Carolina, sono alle dipendenze della University of North Carolina di Charlotte e dell'ufficio del medico legale, con sedi a Charlotte e Chapel Hill. Inoltre, collaboro come consulente con l'LSJML, il Laboratoire de Sciences Judiciaires et de Médecine Légale di Montréal.
North Carolina e Québec? Accoppiata singolare. Ne riparleremo più avanti.
A causa dei miei ripetuti spostamenti oltre confine e della mia duplice mansione entro il territorio dello Stato, all'università riesco a tenere un unico corso a cadenza biennale, un seminario in antropologia forense di livello avanzato. E adesso ero nel pieno del mio semestre di lezioni.
E di riunioni in sala conferenze.
Adoro insegnare. Sono le assemblee interminabili che detesto. E le questioni di politica interna della facoltà.
Qualcuno propose di inoltrare nuovamente la dichiarazione d'intenti alla commissione responsabile per un attento riesame. Diverse mani si alzarono, tra cui la mia: per me potevano anche spedirla nello Zimbabwe.
Doe lesse il punto successivo all'ordine del giorno: la formazione di un comitato per l'etica e la deontologia professionale.
Gemendo interiormente, cominciai un elenco mentale di incombenze che richiedevano la mia attenzione.
1. Campioni ad Alex.
Alex è la mia assistente, in laboratorio e in aula. Usando la selezione di reperti ossei che dovevo preparare, avrebbe stilato un questionario di verifica per gli studenti.
2. Rapporto a LaManche.
Pierre LaManche è il patologo a capo della divisione medico-legale dell'LSJML. Prima di lasciare Montréal, la settimana precedente, mi ero occupata di uno dei suoi casi: la vittima dell'incendio di un'auto. Secondo la mia analisi, il cadavere carbonizzato apparteneva a un maschio bianco sulla trentina.
Purtroppo per LaManche, il guidatore avrebbe dovuto essere una donna asiatica di cinquantanove anni. Purtroppo per la vittima, qualcuno le aveva piazzato due proiettili nel parietale sinistro. Purtroppo per me, era un caso di omicidio e avrebbe probabilmente richiesto la mia presenza in tribunale.
3. Rapporto a Larabee.
Tim Larabee è il medico legale della contea di Mecklenburg e il direttore dell'ufficio di Charlotte, che conta tre patologi. Il suo caso era stato il primo di cui mi ero occupata al rientro in North Carolina: la parte inferiore rigonfia e decomposta di un tronco umano, lasciato dalle acque sulla riva del fiume Catawaba. La struttura pelvica aveva indicato che la vittima era di sesso maschile, lo sviluppo scheletrico aveva collocato l'età tra i dodici e i quattordici anni. Fratture guarite del quarto e del quinto osso metatarsale destro avevano suggerito la possibilità di identificare il defunto tramite cartelle ospedaliere e lastre radiografiche antemortem.
4. Telefonare a Larabee.
Quel giorno, arrivando al campus, avevo trovato un messaggio vocale proveniente dall'ufficio del medico legale. Un'unica parola: «Chiamami». Stavo giusto facendo il numero, quando Petrella era sorto dagli Inferi per trascinarmi alla riunione.
L'ultima volta che ci eravamo sentiti, Larabee non aveva reperito alcuna denuncia di persona scomparsa che corrispondesse al profilo della vittima del Catawaba. Forse ora ne aveva trovata una. Lo speravo per la famiglia. E per il ragazzino.
Pensai alla conversazione che attendeva il patologo con i genitori della vittima. Ne avevo sostenute anch'io di simili, avevo pronunciato anch'io frasi in grado di distruggere una vita per sempre. È la parte peggiore del mio lavoro. Non esiste un modo facile per dire a una madre e a un padre che il loro figlio è morto. Che sono state ritrovate le sue gambe, ma che della testa non c'è alcuna traccia.
5. Raccomandazione Sorenstein.
Rudy Sorenstein era un laureando che sperava di proseguire gli studi a Harvard o a Berkley. Certo una mia lettera non avrebbe compiuto il miracolo, però Rudy si impegnava al massimo e dimostrava spirito di corpo: avrei dato alla sua media piuttosto scarsa tutto l'aiuto possibile.
6. Shopping con Katy.
Kathleen Brennan Petersons è mia figlia. Da quell'autunno risiedeva a Charlotte, impiegata come ricercatrice nell'ufficio della difesa pubblica. Avendo trascorso i sei anni precedenti alla University of Virginia, aveva un disperato bisogno di abiti nuovi che non fossero in jeans. E di soldi per comprarli. Io mi ero offerta come consulente moda (in senso ironico). Pete, il mio ex marito, avrebbe fornito i liquidi.
7. Lettiera Birdie.
Birdie è il mio gatto. È piuttosto esigente in materia di toilette felina ed esprime la sua insoddisfazione in modi che cerco di prevenire. Sfortunatamente, la sua sabbietta preferita è disponibile solo negli ambulatori veterinari.
8. Check-up dentistico.
L'avviso era arrivato con la posta del giorno prima. Sicuro! Sarebbe stata la mia priorità assoluta.
9. Lavanderia.
10. Revisione auto.
11. Maniglia della cabina doccia.
Percepii, più che sentirlo, uno strano suono nella stanza. Il silenzio.
Alzando gli occhi, mi resi conto che l'attenzione generale era concentrata su di me.
«Chiedo scusa?» Spostai con disinvoltura una mano a coprire il blocco.
«La sua preferenza, dottoressa Brennan?»
«Se vuol essere così gentile da rileggere...»
Doe elencò quelle che supposi essere le tre possibili denominazioni, accanitamente dibattute, del nascente organo deontologico.
«Comitato per la condotta e la responsabilità professionale. Comitato di valutazione delle procedure etiche. Comitato per le norme e le pratiche etiche.»
«Quest'ultima implica l'imposizione di regole formulate da un organismo esterno o da una commissione di regolamentazione.» Petrella faceva il petulante.
La Bickham gettò la penna sul piano del tavolo. «Non è affatto così. È semplicemente...»
«Il dipartimento ha deciso di istituire un comitato etico, giusto?» riepilogai.
«È fondamentale che la denominazione dell'organismo ne rifletta adeguatamente le premesse filosofiche...»
«Sì.» La risposta di Doe alla mia domanda zittì Petrella.
«Perché non chiamarlo "Comitato etico"?»
Dieci paia di occhi mi fissarono. Alcuni esprimevano confusione, altri sorpresa, altri costernazione.
Petrella sprofondò nella poltrona.
La Bickham tossì.
La Roberts abbassò lo sguardo.
Doe si schiarì la gola. Prima che arrivasse a proferir parola, qualcuno bussò discretamente, rompendo il silenzio.
«Sì?» Doe.
La porta si dischiuse appena e un volto apparve nello spiraglio. Tondo, lentigginoso, preoccupato. Ventidue occhi curiosi si spostarono nella sua direzione.
«Scusate l'interruzione.» Naomi Gilder era l'ultima arrivata tra le segretarie del dipartimento. E la più timida. «Non mi sarei permessa, naturalmente. Solo che...»
Lo sguardo di Naomi si posò su di me.
«Il dottor Larabee mi ha riferito che si tratta di un'emergenza: deve parlare immediatamente con la dottoressa Brennan.»
Il mio primo impulso fu quello di gridare «Sììì!» sferrando un gancio all'aria. Invece, sollevai palmi e sopracciglia in segno di rassegnata sottomissione. Che ci potevo fare? Quando il dovere chiama...
Raccolsi le mie carte, lasciai la stanza e imboccai praticamente a passo di danza il corridoio fiancheggiato dagli uffici della facoltà. Tutte le porte erano chiuse. Per forza: gli occupanti erano confinati in una sala conferenze senza finestre a discutere di quisquilie amministrative.
Mi sentivo euforica, libera.
Entrai nel mio ufficio e digitai il numero di Larabee. Lo sguardo mi corse alla finestra. Alcuni piani più in basso, fiumi di studenti si riversavano dentro e fuori le aule per le ultime lezioni pomeridiane. Raggi obliqui brunivano alberi e felci nel Van Landingham Glen. Quando la riunione era iniziata il sole era alto.
«Larabee.» La voce era piuttosto acuta, con un morbido accento meridionale.
«Sono Tempe.»
«Ti ho strappato a qualcosa di importante?»
«Pretenziose pomposità.»
«Prego?»
«Lasciamo perdere. È per la vittima del fiume Catawaba?»
«Dodicenne di Mount Holly che risponde al nome di Anson Tyler. I genitori avevano fatto una capatina a Las Vegas per giocare. Sono rientrati l'altro ieri e hanno scoperto che il ragazzo mancava da una settimana.»
«Come hanno stabilito il numero di giorni?»
«Contando le Pop-tart avanzate.»
«Hai avuto le cartelle cliniche?»
«Naturalmente vorrò sentire la tua opinione, ma sono pronto a scommettere che le dita fratturate sulle radiografie di Tyler corrispondono a quelle della vittima.»
Pensai al piccolo Anson, solo in casa a guardare la TV, che si faceva sandwich al burro di arachidi e tostava Pop-tart. Al piccolo Anson che dormiva con la luce accesa.
La mia euforia cominciò a scemare.
«Che razza di idiota se ne va lasciando a casa da solo un ragazzino di dodici anni?»
«I Tyler non sono esattamente in lizza per il premio Genitori dell'anno.»
«Li incrimineranno per abbandono di minore?»
«Difficile.»
«Mi hai chiamato per dirmi di Anson Tyler?» Naomi aveva detto che si trattava di un'emergenza, e un'identificazione da confermare non rientrava in questa categoria.
«Stamattina sì, ma ora c'è dell'altro. Ho appena sentito i ragazzi della Omicidi. Potrebbero avere per le mani un brutto affare.»
Lo ascoltai attentamente.
La trepidazione spazzò via le ultime tracce di euforia.