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All'inizio la presi per un santino, una di quelle immaginette diffuse tra i fedeli cattolici. Da bambine mia sorella Harry e io li collezionavamo. Hanno all'incirca le dimensioni di una carta di credito: ognuno raffigura un santo o una scena della Bibbia e riporta una preghiera in tema. Quelli buoni promettono indulgenze o una riduzione della pena che dobbiamo scontare in Purgatorio per i casini combinati in Terra.
Ma non era un santino. Una volta estratta dal suo involucro di plastica, l'immagine risultò essere una fotografia, un ritratto di quelli che si mettono sull'annuario scolastico.
Il soggetto vi era immortalato a mezzo busto, appoggiato a un albero, il viso rivolto all'obiettivo. Indossava un maglioncino marrone a maniche lunghe che lasciava intravedere l'ombelico. Una mano premeva sul tronco, l'altra agganciava con il pollice il passante di un paio di jeans scoloriti.
I capelli della ragazza erano divisi in mezzo da una scriminatura, tirati indietro e raccolti sulla nuca. Erano neri, gli occhi color cioccolato, la pelle color noce moscata. Dimostrava circa diciassette anni.
Avvertii un senso d'oppressione al petto.
Adolescente, nera.
Lo sguardo mi corse alla lettiga. Buon Dio, poteva essere il suo cranio, quello? In tal caso, com'era finito nello scantinato? La giovane era stata uccisa?
Guardai nuovamente la fotografia.
La testa era appena un poco inclinata, le spalle leggermente sollevate, gli angoli della bocca si piegavano in un sorriso malizioso. Sembrava felice, sicura, una vita piena di promesse davanti a sé. Perché la sua immagine era finita nel calderone?
Aveva ragione Arlo Welton? Si era davvero imbattuto in un altare usato per qualche rito satanico? Per un sacrificio umano? Sappiamo dalla cronaca che, per quanto rare, simili atrocità accadono.
Trillò il telefono, troncando ulteriori congetture sulle più tetre possibilità.
«Siamo state mattiniere quest'oggi.» Come sempre, la signora Flowers sprizzava buon umore.
«Ho parecchio lavoro.»
«I media sono in fermento per quella cosa del seminterrato.»
«Sì.»
«Il telefono ha squillato tanto che il ricevitore stava per cadere dalla forcella. Be', metaforicamente parlando, si capisce: suppongo che la forcella non esista più, oggigiorno.»
Guardai l'orologio. Le dodici e quaranta.
«Comunque, presto si stancheranno e passeranno ad altro. Volevo solo avvertirla: c'è un detective in arrivo da lei a tutto vapore.»
«Slidell?»
«Sissignora. E con lui, il suo collega.»
«Ricevuto.»
Stavo riagganciando, quando la porta della sala autopsia si spalancò. Entrò Slidell, seguito da uno scheletro allampanato che reggeva una valigetta in cuoio italiano.
Skinny Slidell ed Eddie Rinaldi lavorano in coppia fin dagli anni Ottanta, con notevole sconcerto generale, visto che i due non potrebbero essere più diversi.
Rinaldi è alto uno e novantacinque e peserà poco più di settantadue chili. Slidell è uno e cinquantacinque d'altezza e si porta in giro un peso molto maggiore, per lo più distribuito a sud del punto in cui dovrebbe trovarsi il girovita. Rinaldi ha lineamenti affilati, quelli di Slidell sono molli, cascanti, sotto gli occhi due borse grandi come empanadas.
Perché, allora, lo chiamano «Skinny»? Cose da poliziotti.
Ma le differenze non si limitano al fisico. Slidell è caotico, Rinaldi ordinato. Slidell ingurgita spazzatura, Rinaldi è un consumatore di tofu. Slidell è Elvis, Sam Cooke e i Coasters. Rinaldi è Mozart, Vivaldi e Wagner. Slidell indossa abiti comprati in promozione ai grandi magazzini, Rinaldi capi firmati o realizzati su misura.
In qualche modo, quei due lavorano bene insieme, vai a sapere come.
Slidell si tolse un paio di Ray-Ban taroccati e infilò una stanghetta nel taschino della giacca. Quel giorno ne aveva una in poliestere con un motivo a scacchi degno di un campo da golf scozzese.
«Come butta, doc?» Slidell vede se stesso come il Callaghan di Charlotte, e il linguaggio da poliziotto hollywoodiano è parte del suo personaggio.
«Mattinata interessante.» Feci un cenno di saluto a Rinaldi. «Detective.»
Rispose sollevando una mano, gli occhi fissi sul calderone e sui crani.
Eddie è così: pura concentrazione. Niente battute o frecciatine tra colleghi, niente lamentele o recriminazioni. Non condivide i suoi problemi personali, né i successi. In servizio, è immancabilmente educato, riservato e provvisto di notevole sangue freddo.
E fuori servizio? Nessuno ne sa granché, veramente. Nato in West Virginia, per un periodo ha frequentato il college, poi si è trasferito a Charlotte a un certo punto degli anni Settanta. Si è sposato, ma la moglie è morta non molto tempo dopo, di cancro. Mi è anche giunta voce di un figlio, ma non ho mai sentito lui stesso parlarne. Vive solo in una piccola casa di mattoni a Beverly Woods, un quartiere tranquillo e ben tenuto.
A parte la statura, i gusti ricercati in fatto di musica e il penchant per gli abiti costosi, Rinaldi non ha caratteristiche fisiche o stranezze caratteriali che gli altri poliziotti possano prendere in giro. A quanto mi risulta, non è mai stato oggetto di aneddoti che riguardino clamorosi buchi nell'acqua o incidenti imbarazzanti: forse per questo non gli hanno mai appioppato un soprannome.
Morale: non sarà stato il tipo d'uomo che inviterei al mio margarita party, ma, in caso di pericolo, lo vorrei a coprirmi le spalle.
Slidell mi levò davanti dita contratte ad artiglio. «Una bella messinscena di Halloween, eh? La pensata di un cretino...»
«Forse no.»
L'imitazione del mostro cessò.
Riassunsi il profilo biologico desunto dal cranio.
«Ma quella roba è vecchia come il mondo, no?»
«Ho stimato che la ragazza non è morta da meno di cinque, né da più di cinquant'anni, ma il mio istinto tende a optare per l'estremo più recente dell'intervallo.»
Slidell soffiò fuori l'aria attraverso le labbra. Il suo alito sapeva di tabacco.
«Causa del decesso?»
«Il teschio non mostra segni di lesione o patologia.»
«Vale a dire?»
«Non lo so.»
«Dov'è la mandibola?»
«Non lo so.»
«Ora sì che abbiamo una pista.»
Calma, Brennan.
«Ho trovato questo nel calderone grande. Circa dieci centimetri sotto la superficie.»
Posi sulla lettiga la fotografia scolastica. I due uomini avanzarono di qualche passo per osservarla.
«Nient'altro?» domandò Slidell, senza staccare gli occhi dall'immagine.
«Un pezzo di cervello.»
Le sopracciglia di Rinaldi ebbero un sussulto. «Umano?»
«Spero di no.»
Rinaldi e Slidell guardarono la foto, poi il cranio, poi di nuovo la foto.
Eddie fu il primo a parlare: «Credi sia la stessa ragazza?».
«Nulla nella struttura cranica o facciale autorizza a escludere questa possibilità. Età, sesso e razza corrispondono.»
«Non puoi fare una sovrapposizione fotografica?»
«Non servirebbe granché, senza la mandibola.»
«Immagino che lo stesso valga per un'approssimazione facciale.»
Annuii. «L'immagine sarebbe troppo arbitraria, rischierebbe di depistarci anziché contribuire all'identificazione.»
«Porca puttana.» Slidell scosse il capo.
«Cominceremo controllando le persone scomparse.»
«Andate indietro di una decina d'anni. Se non troviamo niente, aumenteremo l'intervallo.»
«Non ha molto senso immetterla nell'NCIC.»
Il National crime information center dell'FBI, un indice computerizzato di pregiudicati, latitanti, persone scomparse e non identificate. Confrontando i particolari inseriti dalle forze dell'ordine, il sistema è in grado di abbinare un cadavere rinvenuto in un determinato luogo a individui di cui è stata denunciata la scomparsa altrove.
Ma il database è immenso. Usando solo età, sesso e razza come identificatori, e un intervallo di tempo che poteva arrivare a cinquant'anni, la lista di corrispondenze generata sarebbe stata lunga come l'elenco telefonico.
«No» concordai. «Non senza qualche elemento in più.»
Dissi ai detective degli insetti e del pollo.
Rinaldi afferrò l'implicazione: «Quella cantina è stata usata poco tempo fa».
«A giudicare dalle condizioni del volatile, direi nel corso degli ultimi mesi. Forse in epoca persino più recente.»
«Stai dicendo che un qualche stregone si è portato una ragazzina là sotto e le ha tagliato la testa?»
«No.» Gelida. «Ma giurerei che al pollo è accaduto esattamente questo.»
«Allora ha ragione quell'idraulico svitato?»
«Sto solo suggerendo che c'è una possibilità...»
«Stregoni? Sacrifici umani?» Roteando gli occhi, Slidell canticchiò il motivo conduttore della colonna sonora di Ai confini della realtà.
Per quanto relativamente poche, esistono persone sul pianeta che hanno la prerogativa di irritarmi, portandomi a dire cose che altrimenti non direi. Slidell è una di queste anime elette. Detesto perdere il controllo e, ogni volta, giuro a me stessa che sarà l'ultima, ma con Skinny ho infranto il giuramento più di una volta.
Accadde anche allora.
«Chiedilo a Mark Kilroy.» Il commento mi scappò prima che avessi il tempo di riflettere.
Seguì un istante di silenzio. Poi Rinaldi mi puntò addosso un dito lungo e ossuto.
«Il ragazzo di Brownsville, Texas. Scomparso a Matamoros, Messico, nell'89.»
«Kilroy fu sodomizzato, torturato e infine ucciso da Adolfo de Jesus Constanzo e i suoi seguaci. Gli inquirenti trovarono il suo cervello a galla in un calderone.»
Gli occhi di Slidell si abbassarono di colpo. «Che cosa diavolo...?»
«Gli organi della vittima erano stati prelevati a uso rituale.»
«E tu dici che qui è accaduto lo stesso?»
Rimpiangevo già di avere eccitato la sua fantasia menzionando il caso Kilroy.
«Devo finire con i calderoni. E sentire che cos'ha da offrirmi il laboratorio.»
Slidell raccolse la foto e la passò al collega.
«A giudicare dalla foggia degli abiti e dei capelli, l'immagine non sembrerebbe molto vecchia» osservò Rinaldi. «Potremmo diffonderla, vedere se qualcuno la riconosce.»
«Rallenta, amico» lo ammonì il collega. «Se cominciamo a mandare in onda la foto di ogni ragazzino che non riusciamo a trovare, va a finire che il signore e la signora Teleutente spengono la TV.»
«Sono d'accordo» dissi io, «non sappiamo nemmeno se sia scomparsa.»
«Non possono esserci troppi studi fotografici in città che fanno ritratti scolastici.» Slidell intascò la fotografia. «Cominceremo da quelli.»
Annuii. «Ma la ragazza potrebbe non essere di qui. Che avete saputo della proprietà di Greenleaf Avenue?»
Rinaldi tirò fuori un piccolo bloc notes rilegato in pelle, dalla tasca interna di una giacca che era in stridente contrasto con quella del suo partner. Blu marine, doppio petto, molto «quartieri alti».
Una mano con tanto di manicure sfogliò qualche pagina.
«La proprietà ha cambiato raramente intestatario dopo l'acquisto da parte di una famiglia di nome Horne, nel dopoguerra, e sempre all'interno della loro cerchia di parenti. Stiamo parlando della Seconda guerra mondiale.» Alzò lo sguardo dagli appunti. «Se le circostanze dovessero richiederlo, potremmo controllare anche più indietro.»
Annuii.
«Roscoe Washington Home ha posseduto l'abitazione dal 1947 al 1972, Lydia Louise Tillman Home fino al 1994, Wanda Belle Sarasota Home fino al suo decesso, diciotto mesi fa.»
«La cara vecchia dimora di famiglia» sbuffò Slidell.
Rinaldi seguitò a leggere.
«Alla morte di Wanda, la proprietà è andata a un pronipote, Kenneth Alois Roseboro.»
«E Roseboro viveva in quella casa?»
«Sto cercando di appurarlo. Ha venduto a Polly e Ross Whitner, entrambi newyorkesi trapiantati. Lei insegna, lui è un account manager della Bank of America. Il passaggio di proprietà è avvenuto il 20 settembre di quest'anno. Attualmente gli Whitner risiedono in un appartamento in affitto a Scaleybark. Sembra che abbiano in programma una drastica ristrutturazione dell'edificio.»
Ci fu un momento di silenzio, rotto da Slidell.
«Abbiamo fatto notizia.»
«Ho visto l'articolo. La Stallings collabora regolarmente con l'"Observer"?»
«Non che ci risulti» rispose Rinaldi.
I Ray-Ban taroccati di Slidell scivolarono al loro posto sul suo naso.
«Con gente come quella, bisognerebbe sparare a vista.»
Il pranzo fu rappresentato da una barretta di muesli, ingurgitata in fretta e furia insieme a una Diet Coke. Dopo mangiato, trovai Larabee nella sala autopsia principale, intento a sezionare il cadavere del cassonetto.
Lo ragguagliai circa i miei progressi e gli riferii la conversazione con Slidell e Rinaldi. Ascoltò, le sopracciglia aggrottate, tenendo le mani sanguinanti lontano dal proprio corpo.
Descrissi il cervello e lui promise di dargli un'occhiata più tardi, quel pomeriggio. Alle due ero di ritorno accanto ai calderoni.
Stavo setacciando da una ventina di minuti, quando il mio cellulare squillò. L'identificatore del chiamante mostrò il numero dell'ufficio di Katy.
Mi tolsi un guanto e premetti il tasto di ricezione.
«Ciao, tesorino.»
«Dove sei?»
«Nell'ufficio del medico legale.»
«Come?»
Abbassai la mascherina e ripetei ciò che avevo appena detto.
«Sono davvero satanisti?»
«Hai visto il giornale?»
«Bella foto.»
«Così mi han detto.»
«Per me è una bravata di qualche confraternita. Questa città è troooppo rispettabile per gli adoratori del diavolo. Satanismo vuol pur sempre dire eccentricità, anticonformismo. A te sembra lo stile della noiosa, vecchia Charlotte?»
«Che c'è?» domandai, cogliendo la sfumatura polemica.
Da alcuni mesi, Katy aveva finalmente conseguito la laurea in psicologia, un traguardo conquistato dopo sei lunghi anni. Alla fine, le minacce parentali di un taglio dei fondi erano riuscite là dove l'ardore accademico aveva fallito. Uno dei pochi argomenti sui quali io e Pete ci eravamo trovati d'accordo: sei al capolinea, baby.
Perché gingillarsi così a lungo a far la vita da studente? Non per carenze intellettuali: mia figlia ha sempre avuto ottimi voti.
No, la scarsità di risorse cerebrali non c'entra, Katy è brillante e piena d'immaginazione. Il problema è che è dannatamente irrequieta.
«Sto pensando di lasciare» disse.
«Ma guarda...»
«Questo lavoro è stupido.»
«Hai scelto di collaborare con l'ufficio della difesa pubblica.»
«Credevo di fare...» Buttò fuori l'aria. «Non so, roba interessante. Come te.»
«Io, al momento, sto setacciando della terra.»
«Lo sai che cosa intendo.»
«Setacciare è noioso.»
«Che terra?»
«Dei calderoni.»
«Sempre meglio che scartabellare scartoffie.»
«Dipende dalle scartoffie.»
«Trovato niente?»
«Alcune cose.» Non avrei mai accennato alla fotografia e al cervello.
«Quanti sono i calderoni?»
«Due.»
«E a che punto sei?»
«Ancora sul primo.»
«Se ti accorgi di non concludere nulla, passa all'altro.»
Tipico di Katy: se ti annoi, cambia.
«Non ha senso.»
«Gesù, che scarsa elasticità. Perché diavolo non farlo?»
«Il protocollo.»
«Passare dall'uno all'altro non cambierà quello che c'è dentro.»
Su questo non potevo darle torto.
«Come sta Billy?»
«È una testa di cazzo.»
Okay.
«Facciamo a cena?» domandai.
«Dove?»
«Il Volare alle sette.»
«Posso ordinare la sogliola?»
«Sì.»
«Ci sarò, sempre che prima non muoia di noia.»
Ripresi a setacciare.
Chiocciole, pietre, pupari, blatte, uno o due dermestidi, un millepiedi. Eccitante.
Alle tre sbadigliavo senza freni e la mia mente vagava.
Mi cadde l'occhio sull'altro calderone.
Avevo già scattato le foto ed etichettato le bustine per le prove. Il cambiamento mi avrebbe risvegliato, mi dissi. Avrebbe acuito le mie capacità di osservazione.
Penosamente scarse.
Perché diavolo non tentare?
Dopo aver pulito le due palette e il setaccio, cominciai a scavare.
E subito trovai la vena madre.