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Seguimmo Hawkins lungo un breve corridoio, fino a una zona ristoro riservata al personale. Il lato sinistro della stanza era occupato da una mini-cucina con armadietti, lavandino, fornello e frigorifero. A un'estremità del bancone erano appoggiati un telefono e un piccolo televisore, all'altra una macchinetta del caffè e un cestello con bustine di zucchero e panna liofilizzata. Un tavolo rotondo e quattro sedie occupavano gran parte del lato destro.

Joe Hawkins trasporta cadaveri dai tempi di Eisenhower, ed è la prova vivente che veniamo forgiati dal lavoro che facciamo. Scheletrico, occhi cerchiati, sopracciglia cespugliose e capelli neri tinti leccati, è il tipico investigatore-medico legale dei film di serie B.

Con estrema serietà si avvicinò al tavolo e puntò il dito su una copia aperta del «Charlotte Observer» di martedì.

«Il giornale di ieri.»

Larabee e io ci chinammo per leggere.

Cronaca locale. Pagina cinque. Trafiletto di sette centimetri. Una foto.

 

DEMONI O DISCARICA?

 

La polizia è rimasta sconcertata lunedì sera, quando una chiamata al 911 ha richiesto il suo intervento in una casa sulla Greenleaf Avenue. Nel corso di lavori di ristrutturazione, un idraulico era incappato in qualcosa di ben più inquietante di qualche tubo arrugginito. Ore dopo, teschi, calderoni e un assortimento di strani oggetti venivano rimossi dal seminterrato dell'abitazione e trasportati all'obitorio dell'MCME e al laboratorio criminale del Dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg.

Sovrintendevano all'operazione di recupero la dottoressa Temperance Brennan, antropologa forense, e il detective della omicidi Erskine Slidell. Benché interpellata, la polizia ha rifiutato di rivelare se siano stati rinvenuti dei resti umani.

L'idraulico, Arlo Welton, ha raccontato di avere scoperto accidentalmente una misteriosa cella sotterranea, rompendo una parete. Ha descritto un altare e tutto un armamentario demoniaco che, a suo avviso, indicano chiaramente un rituale satanico.

Adoratori del diavolo o discarica sotterranea? L'indagine è in corso.

 

La foto era sgranata, troppo scura e scattata da una distanza eccessiva. Mostrava me e Slidell in piedi sul portico, accanto al dondolo sgangherato. I miei capelli ricadevano da uno chignon e indossavo la tuta integrale. Slidell era intento a levarsi qualcosa dall'orecchio. Nessuno dei due sembrava pronto ad apparire come ospite in un talk show. L'autore della foto era una certa Allison Stallings.

«Diamine» disse Larabee.

«Merda» dissi io.

«Bella pettinatura.»

Il mio dito gli indicò inequivocabilmente che cosa pensavo del suo umorismo.

Con perfetto tempismo squillò il telefono. Mentre Hawkins rispondeva, rilessi l'articolo, avvertendo la solita irritazione. Sono un'avida divoratrice di notizie, in formato elettronico e cartaceo, ma detesto avere intorno i giornalisti nel mio laboratorio, o durante un'operazione di recupero. Per come la vedo io, microfoni e macchine fotografiche non si addicono ai cadaveri. Per come la vedono loro, né il laboratorio, né la scena del crimine sono «miei» e il pubblico ha diritto di essere informato. Siamo costretti a una sorta di convivenza forzata, e cediamo terreno solo quando è strettamente indispensabile.

Allison Stallings: il nome non mi diceva niente. Forse un nuovo arrivo al giornale? Credevo di conoscere tutti i pedinatori della polizia, in città.

«La signora Flowers è sommersa dalle telefonate dei giornalisti.» Hawkins teneva il ricevitore premuto contro il petto. «Ha risposto "no comment", ma, ora che sei qui, vorrebbe istruzioni.»

«Che gli dica d'andare al diavolo» sbottai.

«"No comment" va benissimo» ingiunse Larabee.

Hawkins trasmise il messaggio. Stette in ascolto. Si premette di nuovo la cornetta sul torace.

«Dice che sono insistenti.»

«Cella misteriosa, rituali satanici...» la mia voce grondava disprezzo. «Probabilmente sperano in un neonato bollito per il notiziario delle cinque.»

«"No comment"» ripeté Larabee.

 

Trascorsi il resto della giornata a esaminare i materiali di Greenleaf Avenue.

Dopo avere fotografato il cranio umano, iniziai un'analisi dettagliata a cominciare dai denti.

Sfortunatamente, dei sedici superiori originari ne restavano solo dieci. Nulla di sinistro: incisivi e canini hanno una sola radice e, quando le gengive se ne vanno, non tardano a seguirle.

Piccola premessa odontologica. Che i denti non si presentino tutti d'un colpo è un fatto ben noto: tutti sanno che, nei mammiferi, la dentizione avviene due volte - nell'infanzia e poi nell'età adulta - e che incisivi, premolari, canini e molari entrano progressivamente in scena come altrettante truppe speciali. Ma lo sviluppo dentale è più complesso di un semplice dramma in due atti, e gran parte dell'azione ha luogo dietro le quinte.

Ed ecco il copione. Prima appare una gemma dentro la gengiva, poi si ha la formazione dello smalto e una radice comincia a svilupparsi, verso l'alto o verso il basso, all'interno dell'alveolo. Emerge la gemma della corona nella gengiva. La radice si allunga, formando infine una cuspide. In altre parole, in seguito all'eruzione, il dente continua a formarsi fino al completamento della radice. Contemporaneamente, altri denti fanno la loro apparizione sul palcoscenico nel momento stabilito dalle direttive di scena.

Le radiografie del cranio mostravano un'eruzione parziale degli ultimi molari mascellari e un completamento parziale delle radici dei secondi molari. Quella combinazione, insieme alla saldatura recente della sutura basilare, suggerivano un'età compresa tra i quattordici e i diciassette anni. Il mio stomaco tendeva a favorire l'estremo superiore dell'intervallo.

Quanto a sesso e discendenza, il riesame dei tratti somatici non mutò la mia impressione iniziale. Effettuai comunque le misurazioni, e digitai i dati sul mio laptop a titolo di controllo incrociato.

Il Fordisc 3.0 è un programma antropometrico che sfrutta un procedimento statistico chiamato «analisi della funzione discriminante». L'AFD si fonda sul confronto con gruppi di riferimento composti da membri noti: in questo caso, crani di individui di sesso e razza documentati, i cui dati antropometrici erano stati immessi nel database. Soggetti sconosciuti, come il teschio della Greenleaf, vengono confrontati con soggetti noti, valutando somiglianze e differenze.

Per la determinazione del sesso vi sono vari insiemi di riferimento, ciascuno costituito da maschi e femmine di identità nota, con uno specifico profilo o retroterra razziale. Poiché gli zigomi stretti e la forma piuttosto allungata del cranio escludevano asiatici e nativi americani, lanciai il confronto con caucasoidi e negroidi.

Non ci furono sorprese. Bianco o nero che fosse, il proprietario del cranio di Greenleaf Avenue si collocava tra gli individui di sesso femminile.

La valutazione della razza è un po' più complicata. Anche in questo caso i potenziali gruppi di riferimento sono composti da neri, bianchi, nativi americani e giapponesi noti d'ambo i sessi e, in più, da maschi guatemaltechi, ispanici, cinesi e vietnamiti. Questo passa il convento.

Lanciai un duplice confronto con donne di ascendenza caucasica e negroide.

La mia sconosciuta si classificava nel secondo insieme. O quasi.

Verificai le statistiche interpretative.

La «probabilità posteriore», PP, è la probabilità di appartenenza a un gruppo del soggetto sconosciuto sulla base della sua prossimità relativa a tutti i gruppi. Si presuppone che la variazione sia grosso modo la stessa all'interno di ogni gruppo, che medie e valori differiscano tra un gruppo e l'altro e che lo sconosciuto rientri effettivamente in uno dei gruppi di riferimento in uso. Il che non è necessariamente vero. L'AFD classificherebbe qualunque insieme di misurazioni, persino se appartenessero in realtà a uno scimpanzé o a una iena.

La «probabilità tipica», PT, è un indicatore migliore della reale appartenenza a un gruppo. Rappresenta la probabilità di appartenenza a un gruppo del soggetto sconosciuto sulla base della variabilità media di tutti i gruppi analizzati. La PT valuta distanze assolute, la PP distanze relative.

Mettiamola così. Se dobbiamo far entrare uno sconosciuto in uno degli insiemi di riferimento del programma, la PP ci dice qual è la scelta migliore, la PT se quella scelta è realistica.

La PP che appariva sul mio schermo indicava che, per la mia sconosciuta, il ceppo negroide costituiva una scelta più probabile di quello caucasoide. La PT suggeriva, però, che la sua testa non era conformata come quella delle donne di colore presenti nella banca dati.

Rifeci le misurazioni e i calcoli.

Stesso risultato.

I numeri vanno in una direzione e il giudizio deduttivo generale in un'altra? Non è insolito. Io mi attengo all'esperienza e, siccome i geni non badano alle statistiche, sapevo che c'era la possibilità di un'ascendenza mista.

Richiudendo il mio formulario alla pagina iniziale, compilai alcuni campi.

Sesso: femminile.

Ascendenza: negroide (possibile commistione caucasoide).

Età: tra i quattordici e i diciassette anni.

Buon Dio, solo una ragazzina.

Fissando le orbite vuote della vittima, cercai di visualizzare la giovane donna che era stata e avvertii un senso di tristezza per la mia incapacità di evocarla. La mia mente arrivava a concepire solo immagini vaghe del suo aspetto, un miscuglio delle fisionomie di ragazze che vedevo intorno a me. Amiche di Katy, studenti del mio corso, adolescenti che gironzolavano per il parco dall'altra parte di College Street. Riuscivo a figurarmi capelli e occhi scuri, pelle color cioccolato, ma... quali erano i suoi pensieri, i suoi sentimenti? Quale espressione modellava quei tratti ogni sera, quando si addormentava, ogni mattina, quando riapriva gli occhi?

Tra i quattordici e i diciassette anni: mezza donna, mezza bambina. Le piaceva leggere o bighellonare al centro commerciale? Andava in bicicletta o, magari, guidava una Harley? Aveva un ragazzo, che ora sentiva la sua mancanza?

O veniva da un tempo in cui i centri commerciali non esistevano ancora? Quando era morta? Dove?

Fa' il tuo lavoro, Brennan, scopri chi era, che cosa le è successo.

Misi da parte i sentimentalismi e tornai a concentrarmi sulla scienza.

I successivi campi da compilare, sul modulo, richiedevano IPM e MD: intervallo postmortem, modalità del decesso.

Ma con l'osso nudo e crudo, del tutto privo di carne e componenti organici, il tempo trascorso dal momento della morte può essere ancor più difficile da stabilire della razza.

Sollevai delicatamente il cranio nel palmo, soppesandolo. Sembrava compatto e, in effetti, non appariva poroso o degradato come i reperti archeologici e i resti degli antichi cimiteri. Tutte le superfici visibili presentavano chiazze brune di un uniforme color tè.

Cercai alterazioni di matrice culturale, come otturazioni, pratiche di legatura per l'allungamento cranico, appiattimento occipitale e trapanazione chirurgica. Zero.

Verificai la presenza di indicatori che rivelassero la sepoltura in una tomba. Il cranio, però, non presentava tracce della presenza di articoli funerari, come cere modellanti, stiletti o coppelle oculari, né filamenti o brandelli di stoffa. Niente tessuti imbalsamati, niente sfaldamento dell'osso corticale, niente peluria facciale o capelli.

Illuminai con una pila tascabile il grande foro occipitale, l'apertura attraverso la quale il midollo spinale arriva al cervello. A parte i residui di terra, l'interno della volta cranica era vuoto.

Usando uno specillo dentistico, grattai via i depositi intracranici, che formarono una montagnetta conica sulla lettiga. Benché leggermente più lucido, il terreno appariva simile a quello contenuto nel calderone. Vi trovai un porcellino di terra, un pupario, nessuna inclusione vegetale.

Sempre con lo specillo, ribaltai il cranio e sondai le aperture nasale e auricolare. Altra terra ricadde sulla montagnetta.

Raccolsi terra, pupario e onisco in una bustina, scrivendo all'esterno il codice del caso, la data e il mio nome. Forse quel campione non sarebbe mai stato esaminato, ma meglio peccare per eccesso di prudenza.

Con uno scalpello feci saltar via alcuni frammenti dalla cera di candela che ricopriva la superficie esterna della volta cranica e li sigillai in una seconda bustina, mentre in una terza inserii il materiale che ero riuscita a raschiare dalla presunta macchia di sangue.

Poi tornai alle radiografie. Esaminai con attenzione le lastre con veduta frontale, laterale, posteriore, superiore e basilare che Hawkins mi aveva fornito.

Il cranio non mostrava segni di trauma o di malattia. Non vi era alcun residuo metallico che indicasse una ferita d'arma da fuoco. Niente fratture, fori d'entrata o uscita di un proiettile, tagli prodotti da un oggetto affilato. Niente lesioni, anomalie congenite, difetti. Niente protesi dentarie o impianti, né indicatori di chirurgia correttiva o estetica. Non un indizio riguardo alla storia odontoiatrica o clinica della ragazza. Non una traccia circa la causa della sua morte.

Frustrata, riesaminai cranio e radiografie sotto ingrandimento.

Nada. L'unico segno particolare era l'assenza di segni particolari.

Ero scoraggiata. Passai mentalmente in rassegna vari sistemi per la stima dell'IPM sull'osso secco. Fluorescenza all'ultravioletto, metodo al blu indofenolo e al blu nilo, conduttività supersonica, analisi istologica o radiografica, valutazione del contenuto in azoto o amminoacidi, test del carbonio C14 artificiale, calcolo della perdita di lipidi e di carbonati, o dei livelli sierici di proteine, reazione alla benzidina o al siero antiumano.

Pur inoltrando il porcellino di terra e il pupario all'entomologo, dubitavo che l'uno o l'altro sarebbero stati di qualche utilità: potevano esser penetrati nel cranio con la terra, anche anni dopo che la ragazza era morta.

Il C14 artificiale era una possibilità: avrebbe mostrato se il decesso era avvenuto, approssimativamente, prima o dopo il 1963, data in cui erano cessati i test nucleari nell'atmosfera. Ma a giudicare dalla qualità dell'osso, dubitavo che avesse più di cinquant'anni. Inoltre, considerati i limiti di budget, Larabee non avrebbe mai potuto raggranellare i fondi per compiere l'esame.

Azionando una Stryker a lama vibrante, rimossi un quadratino d'osso dal parietale destro e lo chiusi in una bustina. Poi estrassi un secondo molare e lo aggiunsi al frammento osseo: anche se non potevamo permetterci il test al carbonio 14, avrebbero potuto servirci dei campioni per la sequenziazione del DNA.

Imbustati i reperti, terminai di riempire il formulario con le mie osservazioni.

IPM: tra i cinque e i cinquant'anni.

MD: sconosciuta.

Immaginai l'espressione di Slidell quando gli avrei sottoposto quei risultati, un momento che, certo, non attendevo con ansia.

Scoraggiata, mi dedicai ai non umani.

Già, la capra e il pollo.

Entrambi i crani conservavano residui di carne essiccata. Trovai alcune larve e pupari dentro la volta e i condotti uditivi dell'ovino.

Avevo già prelevato dei campioni dal pollo il martedì, e sapevo che lì si trovava il filone principale: mosche adulte, larve, persino alcuni coleotteri e un certo numero di enormi blatte. Avrei atteso il verdetto dell'entomologo, ma era evidente che Chicken Little era passato a miglior vita negli ultimi mesi.

Rivolsi l'attenzione al più grande dei due calderoni.

Prima scattai qualche fotografia, poi sistemai una tinozza di acciaio inox nel lavandino, vi posi sopra il setaccio, indossai la mascherina e cominciai a scavare con una paletta. Il contenuto del pentolone filtrava con un sibilo sommesso attraverso le maglie e un odore terroso cominciò a diffondersi intorno a me.

Una palata, tre, cinque: sassolini, gusci di chiocciola e parti di insetti cominciarono ad accumularsi sul vaglio.

Quando conficcai la paletta nel calderone per la dodicesima volta, avvertii una certa resistenza. Lasciai l'attrezzo e passai a scavare con le mani. Nel giro di pochi secondi, liberai una massa rinsecchita del diametro di circa cinque centimetri.

Posata la mia scoperta sulla lettiga, la esplorai cautamente con le dita.

Era rattrappita e tuttavia spugnosa.

L'apprensione cominciò a bussare alla mia mente: stavo maneggiando qualcosa di organico.

Man mano che grattavo via la terra, emersero dei dettagli. Circonvoluzioni. Solchi.

E capii.

Stavo punzecchiando un pezzo di materia grigia mummificata.

I miei neuroni spararono un nome. Mark Kilroy.

Lo ricacciai in un recesso della memoria.

Il nostro cervello misura circa millequattrocento centimetri cubi. Quella cosa aveva un volume nettamente inferiore.

La capra? Il pollo?

Mi colse un pensiero tremendo: un lobo umano? Ecco una buona domanda per Larabee. Impacchettato ed etichettato il reperto, continuai a setacciare il contenuto del calderone.

E feci la seconda, agghiacciante scoperta della giornata.