nota dell’autore

Molte delle cose narrate in questo romanzo corrispondono a fatti storici. Sarebbero troppe da esporre in una nota, ma vorrei condividere con il lettore almeno le più rilevanti, così da fare un po’ di chiarezza su quel che in questa storia è reale e quel che invece è frutto dell’immaginazione dell’autore.

Ciò che si è letto circa la congiura contro il papa è in buona parte vero. Ad esempio: la notte del 14 dicembre 1564 il cavalier Gian Giacomo Pelliccione si recò in Vaticano per denunciare una congiura contro Pio iv; il conte Antonio Canossa e il conte Taddeo Manfredi erano cavatori di tesori e pieni di debiti; ed effettivamente stavano effettuando uno scavo nel cortile del palazzo Cesi proprio mentre pianificavano l’attentato al papa; lì furono arrestati; avevano noleggiato dei vestiti per recarsi all’udienza, e davvero nelle tasche di uno di questi abiti c’erano delle polizze scritte dal Canossa; realmente i congiurati erano capeggiati dal predicatore Benedetto Accolti e consideravano Pio iv un falso pontefice, un usurpatore eretico da eliminare a tutti i costi.

Quanto alla presenza fra i cospiratori del mago Virgilius, del tombarolo Zuanne e dell’Antiquario con la maschera, questa è finzione. Tuttavia sono tre figure tratte dalla realtà dell’epoca. I tanti cavatori di tesori che operavano a Roma si affidavano spesso a maghi, che erano veri e propri specialisti nel cercare i punti in cui scavare. E risulta dagli atti processuali che il cavalier Pelliccione conoscesse e frequentasse parecchi stregoni, astrologi e indovini.

A proposito di Pelliccione: costui era davvero amico dell’archiatra Pompeo Della Barba e di suo fratello Simone, ed ebbe in prestito dal secondo un pugnale, proprio nei giorni in cui, con i suoi complici, stava pianificando l’omicidio del pontefice. Naturalmente, i fratelli Della Barba non uccisero mai delle guardie svizzere con dei biscotti avvelenati, per lo meno non le guardie che compaiono in questo romanzo, e che sono del tutto immaginarie.

Per quanto concerne il coinvolgimento del Sommo Inquisitore Ghislieri nella congiura contro il papa del 1564, questo non è dimostrabile. Però gli indizi citati nel romanzo sulla sua colpevolezza sono tratti dalle deposizioni dei congiurati, che furono sottoposti a interrogatorio nel carcere di Tor di Nona.

Corrispondono al vero l’inimicizia profonda fra Ghislieri e Pio iv, e anche che il Sommo Inquisitore accusasse pubblicamente il papa di essere un eretico, non degno di sedere sul soglio di Pietro.

La contessa Elisabetta Manfredi, moglie del conte Taddeo, è esistita davvero. Idem il governatore Pallantieri. Così anche il sommo cuoco delle cucine vaticane, Bartolomeo Scappi, che però in vita sua non gettò mai nessuno tra le fiamme.

E corrisponde a realtà la figura di Onofrio Panvinio, frate agostiniano, pioniere dell’archeologia, primo riscopritore e studioso delle catacombe cristiane di Roma. Panvinio era amico del papa e, fatta salva l’avventura con Raphael, Sara e Leccacorvo, quasi tutto quel che viene detto su di lui corrisponde al vero.

Il novellante Gaspare Momo non è mai esistito, ma uno che gli somigliava moltissimo e a cui è ispirato il suo personaggio, sì: si chiamava Giovanni Poli. Come gli altri novellanti italiani della seconda metà del ’500, era un nuovo tipo di scrivano, che raccoglieva notizie e poi le vendeva a chi sottoscriveva il costoso abbonamento. Poli fu il migliore dei novellanti, e la sua traversata del centro di Roma con in mano il plico di Avvisi da spedire a mezzo mondo era molto famosa e folcloristica, una vera e propria attrazione.

Un altro elemento che non è frutto dell’immaginazione dell’autore è la Lettera di Pietro a Giacomo: fa parte degli scritti pseudoclementini ed è posta all’inizio di una serie di venti omelie. Questi scritti sono attribuiti a un certo Clemente, forse una delle prime autorità della Chiesa di Roma, che avrebbe conosciuto personalmente l’apostolo Pietro. Nel romanzo si fa riferimento anche ad altre lettere scritte da Pietro, che però sono frutto di immaginazione.

Anche i Vangeli citati, come quello degli Ebioniti e quello di Giuda, esistono realmente. Alcuni sono stati ritrovati e scoperti solo di recente, suscitando molto clamore nell’opinione pubblica e fra gli studiosi. Ho immaginato cosa sarebbe accaduto se fossero stati riportati alla luce nel xvi secolo.

Gian Angelo Medici, papa Pio iv, fu veramente un pirata sul lago di Como in gioventù, insieme al fratello maggiore Gian Giacomo, e davvero studiò e diventò cardinale grazie ai proventi della pirateria. È un fatto storico anche che Pio iv abbia subito alcuni attentati e che siano apparse scritte di minaccia contro di lui sui muri della città.

Il vicolo dell’Inferno lo si cercherebbe invano sulle mappe dello smartphone: fu soppresso dopo il 1870. Non si sa con assoluta certezza se il toponimo fosse dovuto all’estrema povertà di chi lo abitava e «alle pestifere esalazioni che emanava per la sporcizia», oppure all’insegna di un’osteria.

Infine, dopo aver sinceramente ammesso che la giovane Barbara Manfredi, Sara Colorni, Raphael Dardo, il piccolo Ariel e Giusto Leccacorvo sono personaggi di finzione, sento il dovere di dire due parole sul sicario della croce di sangue e l’Entità. “Dovere”, perché nel romanzo si afferma che gli agenti assassini dell’Entità operavano agli ordini del Sommo Inquisitore Michele Ghislieri, un uomo che diventerà papa un anno dopo i fatti qui narrati, col nome di Pio v, e poi diventerà perfino santo. L’Entità esistette davvero e fu creata da Ghislieri quando era papa. I suoi agenti segreti, dei religiosi, compirono omicidi “politici” seguendo la lista del Rapporto Rosso che veniva consegnato loro. Uno di questi agenti, padre Maggi, ha ispirato i sicari di questa storia: Maggi cancellava i nomi sulla pergamena col sangue delle sue vittime, e poi con lo stesso sangue disegnava una croce sulla loro fronte.

Il lettore a questo punto potrebbe domandarsi quanto spazio rimanga alla finzione letteraria.

Moltissimo. Però so di essermi comportato come un antico cavatore di tesori, andando alla ricerca di punti in cui scavare nella storia, col desiderio di estrarre qualcosa di inaudito dalle profondità dimenticate del tempo.