50

In lontananza videro il carretto. Era ancora al suo posto, sul ciglio della strada di terra battuta. Dopo un po’, Raphael e Panvinio avvistarono anche le lunghe orecchie del mulo, che non si era spostato di molto da dove loro lo avevano lasciato e stava ancora brucando l’erba in tutta tranquillità.

Due uomini armati di archibugi cercavano di non farsi notare, ma le canne delle loro armi spuntavano maldestramente dalla pietra che avevano scelto come nascondiglio.

«Ci stanno aspettando», disse Panvinio.

Raphael annuì. Ipotizzò che potessero essere delle guardie svizzere, probabilmente senza uniforme. Poi, però, vide il governatore Pallantieri che sbucava dal terreno e dava ordini, e capì che dovevano essere tutti suoi birri.

Le parole del governatore non erano udibili da quella distanza. Tuttavia si capiva dai gesti che stava chiedendo ad alcuni suoi uomini di sparpagliarsi per il campo e cercare i fuggiaschi. Indicava tutt’intorno, come stesse dicendo che dovevano essere riemersi da un buco nel terreno, da qualche parte.

Due birri imbracciarono le armi da fuoco, montarono in sella e cominciarono la ricognizione. Procedevano lentamente, ispezionando l’area circostante con gli sguardi.

«Oh oh», fece Panvinio schiacciandosi a terra, «vengono proprio da questa parte… Arrivano».

«Resta qui e non ti muovere», gli ordinò Raphael. «E prega».

«Sì, sì, sta’ attento per favore».

Raphael balzò in piedi e cominciò a correre lontano dai birri, puntando verso un gruppo di querce da ghianda.

I birri lo videro, lanciarono versi di incitamento ai cavalli e lo seguirono al trotto.

Per fortuna, l’azzardo di Raphael stava funzionando: i due gendarmi si sentivano sicuri di poter portare al loro capo la preda richiesta, e come previsto non chiamarono aiuto. Anzi: fecero in modo che gli altri non si accorgessero di nulla. Preferivano prendersi tutto il merito della cattura.

Però Raphael zoppicava malamente, ogni passo era come una coltellata sotto il piede sinistro. Strinse i denti e cercò di andare più svelto. I papiri non erano molto pesanti, ma seminare due cavalli correndo quasi su un piede solo e con le mani impegnate a tenere i sacchi era un’impresa impossibile.

“Non devi seminarli, devi solo raggiungere l’ombra nera sotto quegli alberi e fare il tuo lavoro”.

Dopo le prime fitte lancinanti, posare il piede divenne via via sempre meno doloroso. Adesso si poteva dire che stesse correndo.

I cavalli si avvicinavano veloci. Non erano ancora a distanza di tiro. Ma mancava poco.

L’ingresso di Raphael nel sottobosco fece allertare una famiglia di maiali che stava grufolando in santa pace, scalzando e frugando la terra con il muso alla ricerca di ghiande.

Lui si fermò dietro il primo tronco, il più grande, che però non era abbastanza largo da nascondere anche i due sacchi. Fece del suo meglio per tenerli davanti a sé e non farli sporgere. Poi i maiali scapparono, i cavalli irruppero nella penombra sbuffando dalle froge e nitrendo.

«Eccolo!», urlò un birro.

Si avvicinava dalla parte destra. Raphael non lo vedeva ma lo sentiva. Afferrò un sacco con entrambe le mani, poi si sporse di scatto oltre il tronco ruotando di novanta gradi sul piede sano e glielo scagliò contro.

Il cavallo, spaventato, si impennò sulle zampe posteriori disarcionando il cavaliere, al quale partì un colpo d’archibugio.

L’altro birro smontò di sella e prese la mira. «Vieni fuori», disse. «Tu stai bene?», chiese all’amico.

Il birro caduto a terra non gli rispose. Era immobile. A Raphael bastava ruotare un poco gli occhi per vederlo. Sembrava fosse morto sul colpo, forse battendo la testa su una pietra. Ma non si poteva escludere che fosse soltanto svenuto e che potesse rialzarsi da un momento all’altro. Il suo cavallo si era fermato sul limitare del boschetto.

Forse non era visibile ai birri che piantonavano l’ingresso al labirinto e magari lo sparo era stato attutito dalla fitta chioma delle querce, sperò Raphael.

Aveva bisogno che la realtà fosse quella, gli serviva quel cavallo.

Il secondo birro di Pallantieri si avvicinava cauto, alle sue spalle. Da sinistra, stavolta.

Raphael non poteva rischiare che anche quel cavallo scappasse.

Tenne il sacco in posizione verticale, pronto a lanciarlo lungo una traiettoria orizzontale nel tentativo di farlo sembrare una persona in fuga, con la speranza che il birro scaricasse l’archibugio contro il finto bersaglio.

Fece volare il sacco.

Non ci fu neppure il tempo di dire uno che arrivò lo sparo.

Raphael sgusciò da dietro l’albero con il falcetto in pugno. La sua faccia indemoniata, i suoi muscoli tesi dalla disperazione, gli occhi che rigurgitavano una luce di lava, dovettero risultare una visione troppo spaventosa per il birro, che invece di provare a sfoderare la spada alzò le mani e si lasciò cadere sulle ginocchia.

«Non voglio morire», supplicò.

«Finché restate in ginocchio non morirete», gli disse Raphael. Prese le redini del cavallo, lo portò a mano verso un sacco, poi andò a raccogliere l’altro e montò in sella.

Sperare non era servito a nulla: i due spari avevano eccome richiamato l’attenzione degli altri birri.

Ne stavano arrivando tre o quattro.

Raphael spronò il cavallo e galoppò fuori dal boschetto in direzione di Panvinio.

I birri erano ancora abbastanza lontani.

Il frate non si era mosso.

«Onofrio!», urlò.

Un colpo secco attraversò l’aria, e dopo un istante una pallottola ronzò come un calabrone dietro la testa di Raphael.

Il frate lo vide arrivare e si alzò. Battendo i piedi per terra, aspettò il momento di poter saltare in sella dietro di lui.

Un altro sparo. Poi un terzo.

Raphael fermò il cavallo, tese la mano libera a Panvinio, lo issò in groppa e gli diede in consegna i sacchi, quindi ripartì incitando l’animale con la voce e con l’unico tacco che aveva. Però non si diresse verso la strada. Tornò al bosco per recuperare il cavallo scosso: in due su una cavalcatura non sarebbero andati molto lontano.

I birri – Raphael non aveva fatto in tempo a contarli – ormai si trovavano quasi a distanza di tiro.

Il cavallo del primo birro disarcionato nel bosco era tranquillo, adesso, brucava l’erba con indifferenza. L’altro birro, invece, se l’era data a gambe per evitare di dover dare scomode spiegazioni al governatore.

Panvinio passò da una sella all’altra senza toccare terra, prese in consegna uno dei due sacchi e partì in testa cavalcando con sicurezza. «Conosco una strada alternativa», disse.

E Raphael, proprio come aveva fatto nel labirinto, si lasciò guidare.