19

Prima del tramonto, Raphael si stava aggirando per Campo de’ Fiori in sella al suo splendido cavallo arabo candido come il latte.

L’aria umida odorava di verza e agrumi, di pellame e foglie marce. C’era ancora un discreto viavai di gente e le botteghe erano aperte.

Si aspettava di poter comprare notizie fresche, essendo quella la merce più scambiata nei mercati di tutto il mondo. Però nessuno sapeva indicargli l’abitazione di un certo Zuanne, che avrebbe dovuto essere noto nel rione come esperto cavatore di tesori e saccheggiatore di tombe antiche.

«No», gli rispose una donna alta e magra, che vendeva uova, «io conosco solo mio marito e non porta quel nome».

«Mai sentito», gli disse uno scrivano da dietro il banchetto coperto; il suo ultimo cliente era appena andato via, la luce fra le case cominciava a scarseggiare e lui era impegnato ad appuntire le penne d’oca per il giorno dopo; non lo guardò neppure in faccia. «Spiacente di non potervi aiutare».

«Zuanne?», fece un altro, con lo sguardo assente. «Che aspetto ha?».

Raphael non ne aveva idea. E per quanto ne sapeva lui, Zuanne poteva essere un’invenzione di messer Pelliccione. Tuttavia, il cavaliere aveva fatto anche il nome di Virgilius, il quale esisteva di sicuro e non si prestava facilmente a un caso di omonimia.

Continuò a domandare, ricevendo sempre risposte simili.

Errando per i punti più frequentati del centro urbano, si ritrovò nella Cripta Balbi, a interrogare i candelottari, che lavoravano tra casse di stoppini, vasi pieni di cera d’api e altri vasi contenenti il sego.

Provò nel portico di Ottavia, dove lavoravano i pescivendoli.

Sondò l’ambiente dei macellai, dentro il Teatro Marcello.

Domandò ai funari, cimatori e cardatori che lavoravano nel circo Flaminio.

Nessuno seppe indicargli la persona che stava cercando.

Poi, tornando verso Campo Marzio, notò delle colonne di fumo bianco. Salivano dalle fornaci e dalle calcare, dove i calcarari trasformavano il marmo in calce da rivendere.

Poteva essere un buon posto dove domandare.

La ricerca di statue antiche e grandi tesori sepolti da imperatori, e custoditi sottoterra da spiriti maligni, era un’attività che impegnava gli antiquari, gli amatori, gli artisti e gli avventurieri, ma coinvolgeva anche i calcarari.

Raphael spronò il cavallo e si avvicinò.

L’area era evidentemente dominio di alcune famiglie numerose. Maschi e femmine, adulti e bambini, tutti vestiti di bianco, si mescolavano a quella farina di pietra come presenze di un sogno; si muovevano in una densa bruma di polvere e da lontano parevano anime in un inferno di zucchero e neve; ma da vicino restava solo l’inferno: pietra accecante e aria irrespirabile.

Smontò di sella e si portò dietro l’animale tenendolo per una redine. Dovette coprirsi la bocca con un fazzoletto per non tossire, ma pian piano si abituò. Guardandosi attorno gli venne una grande tristezza nel vedere i brandelli dell’antica Roma che si dissolvevano nei forni.

Un uomo dalla corporatura enorme interruppe la serie di picconate che stava assestando su un capitello e guardò l’estraneo. «Se vi serve la calce», disse, «dovete chiedere a quella donna laggiù».

«Conoscete un certo Zuanne?»

«No, nessuno con quel nome». Il calcararo riprese a picconare il marmo.

Raphael provò a rivolgersi ad altri due, che stavano facendo rotolare un segmento scanalato di colonna romana, simile a un’enorme ruota dentata per giganteschi ingranaggi di pietra.

«L’ubriacone?», gemette uno dei due raddrizzando la schiena.

«Non saprei», gli disse Raphael. «So che è un cercatore di antichi tesori sepolti. Ho pensato che magari veniva qui a portare del marmo».

«Forse ho capito di chi sta parlando», disse l’altro.

«Lo conoscete?».

Fecero di no con la testa. «Chiedete a lui».

Cinquanta passi più avanti, fra i grigi bagliori del tramonto, un uomo stava riempiendo i sacchi di iuta con la calce appena prodotta.

«Buonasera», gli disse Raphael.

«Uhm», fece quello.

«Andate avanti fino a tardi, vedo».

«Finché c’è luce», rispose il calcararo continuando a lavorare.

Raphael gli domandò di Zuanne e, vedendolo annuire, aggiunse: «Mi sapete dire dove posso trovarlo?»

«No, mi spiace».

«Frequenta un posto, magari una taverna in particolare, che voi sappiate?»

«Le taverne gli piacciono tutte».

«Quando è stata l’ultima volta che lo avete visto?».

L’uomo smise di insaccare, sospirò asciugandosi il sudore impastato di calce e indicò con un’occhiata un altro operaio, un’ingannevole figura di panettiere davanti alle fornaci. «Parlate con lui. Lo conosce bene».

Raphael fece ancora una volta come gli veniva suggerito e andò verso le fornaci.

Sguardi curiosi e occhiate poco amichevoli lo seguivano.

L’ultimo calcararo che gli era stato indicato, di altezza normale e molto magro, stava cuocendo pezzi bianchi che, da lontano, potevano essere scambiati per pasta cruda.

«Perdonate il disturbo», gli disse Raphael.

Continuando a lavorare, l’uomo lanciò uno sguardo interrogativo attraverso il fumo. Non disse nulla.

«So che conoscete un tale che risponde al nome di Zuanne».

«No».

«Siete sicuro?»

«Uhm-mm».

«È un cavatore di tesori e, a quanto pare, un ubriacone. Mi è stato detto che siete amici».

Quello fece un cenno affermativo, poi un altro cenno per chiedergli di aspettare qualche istante. Si spolverò le mani con calma, e si spostò sul lato del grosso forno sibilante, come se dovesse prendere qualcosa, magari da bere, prima di potersi dedicare a lui.

Invece, scomparve dalla vista di Raphael.

Un attimo dopo, sbucò da dietro la calcara correndo a più non posso nella polvere eburnea.

Il tempo di pensarci, e Raphael era già all’inseguimento.

Quello conosceva il posto alla perfezione, lui no; era bianco come tutti gli altri, lui era nero come un intruso.

Raphael pensò che non ce l’avrebbe mai potuta fare.

Per fortuna si sbagliava. Il calcararo non doveva essere abituato alla corsa, e probabilmente aveva i polmoni avvizziti dal fuoco e dalla polvere di marmo, perché perdeva terreno a ogni falcata.

Raphael stava cercando di intuire il percorso che avrebbe fatto, per immaginare una scorciatoia, ma si accorse che non era necessario: il fuggiasco rallentò vistosamente e dopo qualche passo si fermò a rifiatare, curvo, con le mani premute sul fegato.

«Basta», boccheggiò, «basta così».

Resistendo alla tentazione di gettarlo a terra e prenderlo a calci – gli amici e i parenti osservavano da lontano domandandosi se intervenire a dargli manforte –, Raphael gli disse: «Perché vi siete fermato?»

«Spiritoso», ansimò.

«Ditemi almeno perché stavate scappando».

«Io…», prese grosse boccate d’aria, «io non c’entro niente con quello… che ha fatto Zuanne».

«Che cosa ha fatto?».

Si tolse lo straccio dalla testa scoprendo una calvizie simile a una tonsura, e pian piano riassunse la posizione eretta. «Non lo so e non voglio saperlo. Lo conosco da molto tempo, viene qui di tanto in tanto a portare qualche marmo da lavorare, mi offre un bicchierino…».

«Cos’ha fatto Zuanne?», insisté Raphael.

L’uomo corrugò la fronte e lo studiò dalla testa ai piedi. «Siete venuto a uccidermi?»

«Per questo scappavate? Pensavate che fossi un assassino?»

«Senza offesa, messere, ma ne avete l’aria». Fece un cenno distensivo agli altri fabbricanti di calce, che nel frattempo si erano avvicinati grattandosi le mani. «Nessun problema», disse.

«Parlate, non ho tempo da perdere».

«Va bene, va bene, anche se non so neppure chi siete». Si sedette su una pietra e annuì. «Zuanne è stato chiamato a prendere parte a uno scavo nel palazzo di un cardinale, alcune settimane fa». Ruotò la testa a destra e a sinistra, come stesse fiutando un pericolo. «Mi ha parlato di un uomo, un assassino che stava ammazzando le persone impegnate in quello scavo. Lui si sentiva minacciato. Era convinto che fosse stato violato un luogo maledetto, sottoterra. Una tomba o qualcosa del genere».

Mentre il calcararo smetteva di ansimare, Raphael rifletté: Pelliccione era stato ingannato dai conti Canossa e Manfredi, i quali forse volevano tenere per sé gli oggetti rinvenuti, e Virgilius aveva fregato tutti. Il sicario non si stava interessando ai congiurati, come credeva Pelliccione, ma voleva ciò che era stato trovato nello scavo.

Questo spiegava come mai li avesse lasciati tutti in vita fino alla vigilia dell’omicidio, concentrandosi invece su coloro che avevano visionato e forse messo in vendita gli oggetti antichi.

«Vi ha detto cosa hanno trovato scavando? Di quale luogo maledetto parlava?»

«Zuanne…». L’uomo si grattò la faccia polverosa. «Zuanne raccontava un sacco di frottole. Non davo troppo peso a quel che diceva. Mi ricordo che una volta si è messo a parlare di un vangelo blasfemo e di un labirinto sotterraneo… Mah, non riesco a rammentare, eravamo ubriachi».

«Da quanto non vedete Zuanne?»

«Un paio di giorni».

«Cos’altro vi ha detto?»

«Io all’inizio pensavo che avesse inventato una delle sue storie strabilianti. Perché lui aveva la tendenza a esagerare, specialmente quando beveva, vale a dire sempre. Poi, però, stanotte ho saputo che nel palazzo dove lui era andato, per fare quello scavo che vi ho detto, sono stati arrestati degli uomini. Allora ho pensato che stavolta Zuanne non mi aveva raccontato frottole. Si era davvero infilato in un enorme guaio. Questa mattina, prima di venire qui, sono andato a cercarlo. Siccome non l’ho trovato, ho provato a domandare a Flora».

«Chi sarebbe?»

«Flora è… è una che gli piace. Una puttana, per la verità. Lei mi ha detto che era con lui ieri sera; che Zuanne era molto in apprensione; che nel cuore della notte è arrivato un uomo; che lei e scappata; e dopo circa un’ora, non riuscendo a prendere sonno, è tornata da Zuanne per controllare e…».

«E?»

«Lo ha trovato steso per terra, morto, trafitto con uno spiedo e… aveva una croce sulla fronte».

L’assassino della croce di sangue, pensò Raphael annuendo.

«Posso andare adesso o mi volete arrestare?»

«Ancora una domanda: la donna, Flora, ha denunciato quel che ha visto?».

Mestamente, il calcararo annuì. «Credo di sì».

«Lo credete o lo sapete?»

«Deve averlo fatto, perché prima che facesse giorno avevano già portato via il corpo. Quando sono arrivato io, di Zuanne era rimasto solo il sangue per terra». Si tappò una narice col dito e soffiò dall’altra. «Posso andare?»

«La casa di Zuanne dove si trova?».

Le indicazioni – una strada stretta che dal serraglio dei giudei conduce in Campo de’ Fiori, tre abitazioni dopo la taverna – erano scarse, ma potevano bastare. «Vi ringrazio per la collaborazione».

«Non mi avete ancora detto chi siete».

Raphael non rispose e si rimise in cammino.

«Arresterete quel maledetto che ha ucciso il mio amico?», gridò il calcararo.

«Ci proverò», gli rispose senza voltarsi indietro.