11
«Chissà quando finirà questo tempo piovoso», lamentò padre Teofilo porgendo una brocca d’acqua a Sara. «Tenete», le disse. Poco prima, invitandola a sedersi vicino al camino acceso, le aveva dato un bacile di legno in cui mettere i piedi. «Spero che non sia troppo gelida».
«No, va bene così, vi ringrazio». Sara aspettò che il prete distogliesse lo sguardo, poi si fece scivolare la sottana sulle cosce, alzò le calzebrache attillate che usava per poter cavalcare, e si lavò le estremità. Le gambe si erano sporcate di terra fino ai polpacci.
Padre Teofilo si sedette accanto a Raphael. «Cosa siete venuti a cercare?»
«Volevo controllare gli scavi».
«Intendete la fossa che quei debosciati hanno scavato in cortile?»
«A voi risulta che ci siano altri scavi oltre quello?».
Il prete scrollò la testa. «Non mi piacciono le anticaglie».
«Be’, siete uno dei pochi, a Roma».
«A ogni modo, come avrete constatato, lì sotto non c’è niente». Con un cenno del mento, il sacerdote indicò Sara. «È vostra moglie?»
«Non ancora», disse lei.
«È figlia di un mio caro amico», precisò Raphael.
L’uomo di Chiesa era confuso, ma non commentò. «E così state investigando sulla congiura sventata».
«Sì».
«Posso sapere per quale motivo? So che ormai sono stati arrestati tutti».
«Purtroppo alcuni dei congiurati sono ancora in libertà».
«Qui non c’è nessuno».
«Capire», disse Raphael, «voglio solo capire». Lo guardò negli occhi, cercando oltre la superficie arrossata, al di là dei colori verdastri delle iridi, dentro i due pozzi asciutti che erano le sue pupille. «Siete da solo in casa, padre?»
«Sì. Il cardinale mi ha chiesto di venire a controllare. Stavo per raccogliere le poche cose lasciate da quei criminali e darle alle fiamme».
«Cos’hanno lasciato?»
«Un paio di coperte, dei materassi di paglia, un fiasco vuoto…».
«Vorrei dare uno sguardo. Permettete?».
Il prete scosse la testa. «Dovrei prima domandare al cardinale».
Raphael si alzò ugualmente. «Vi autorizzo io. Fate strada».
Padre Teofilo esitò, poi gli fece fare la visita della casa, mostrandogli in quali camere avevano dormito i cospiratori, i giacigli che intendeva bruciare e indicò un sacco contenente tutti gli altri oggetti che aveva trovato nella casa: vestiti, di buona qualità e non troppo vecchi. Probabilmente, immaginò Raphael, erano stati presi in affitto da Benedetto Accolti e dai conti Manfredi e Canossa per recarsi alla fatidica udienza con il papa.
«Stavate per bruciare anche questi?»
«Certamente», disse il prete, e subito rettificò: «In verità volevo cercare i proprietari per restituirli». Protese le mani verso il sacco, ma Raphael sfoderò la spada facendolo arretrare.
Con pochi fendenti sibilanti squarciò i giacigli per verificare che nelle imbottiture di paglia non fosse stato nascosto qualcosa.
Niente.
«Questi li tengo io», disse. Chiuse il sacco con i tre vestiti e se lo mise sottobraccio. «Non vi dispiace, vero?»
«Come lo spiego al cardinale Cesi?»
«Ditegli che vi ho forzato la mano, e fategli sapere che sono a sua disposizione, qualora volesse parlarmi».
«Va bene».
Tornarono a sedere davanti al fuoco.
Sara nel frattempo aveva steso ad asciugare i piedi nudi.
«Avete mai incontrato i congiurati?», domandò Raphael, cercando di riconquistare lo sguardo del prete. «Padre, dico a voi».
«I congiurati? Alcuni li conoscevo personalmente, ma non li ho mai visti in questa casa. So che ci venivano spesso e talvolta ci trascorrevano la notte. Non so in quanti fossero».
Raphael prese i disegni da sotto la giacca e glieli consegnò. «Vi vengono in mente altre persone oltre a queste?».
Padre Teofilo osservò i ritratti con attenzione e alla fine disse di no. «Pur essendo solo dei disegni, traspare vivida la malvagità in queste facce».
«Merito della pittrice», disse Sara.
Raphael si riprese i disegni. «Allora, cosa sapete su questi individui?»
«I conti Canossa e Manfredi li conoscevo come uomini rispettabili, seppure fossero pieni di debiti e avessero difficoltà con alcune rendite. Ho sentito parlare di un mulino… di una miniera di allume… Non ricordo con esattezza. Rivendicavano dei feudi e delle rendite, ma pensavano soltanto a giocare a calcio, oltre che… a uccidere il papa. Misericordia!».
«Voi come lo avete saputo?».
Il prete sogghignò. «Il papa ha dato ordine di non divulgare la notizia, ma stanotte si chiacchierava parecchio in Vaticano».
«Di Benedetto Accolti, cosa si diceva?»
«Che frequentava i salotti di cardinali e ambasciatori. Mi è capitato di incontrarlo in un paio di occasioni. È un predicatore pazzo, e non ha mai nascosto la sua antipatia per questo papa».
«Perché i congiurati avevano il permesso di stare qui, lo sapete?»
«Il cardinale Cesi è mortificato. Non poteva immaginare che il conte Canossa, il conte Manfredi e Benedetto Accolti potessero attentare alla vita del papa. Tanto più che Accolti è cugino del cardinale di Ravenna».
«Ma per quale motivo ha messo questa casa a loro disposizione?»
«Sua eccellenza reverendissima ha dato loro licenza di scavare, con delle condizioni scritte».
«Scritte?»
«Sì. Ha offerto ospitalità a delle persone per bene che volevano solo cercare oggetti di valore sottoterra. Vedete, messer Dardo, di questi tempi mezza Roma è impegnata nel cavar tesori, facendo la gioia di molti cardinali e di nobili che amano circondarsi di manufatti antichi. L’Inquisizione non se ne interessa. Perciò c’è piena libertà».
Sara, con le calze e le pianelle di nuovo ai piedi, uscì a gettare via l’acqua sporca e a strizzare il canovaccio con cui si era asciugata, poi tornò dentro e sedette davanti al fuoco. «Non fate caso a me», disse.
Il prete si sforzò di guardare Raphael. «Cosa stavo dicendo?»
«Quali erano queste condizioni scritte per gli scavi nel cortile?»
«Dovrei averle qui». Teofilo si alzò e attraversò la stanza. Aveva lasciato una borsa su una cassapanca addossata alla parete; ne estrasse dei fogli e li lesse rapidamente condensandone il contenuto: «Il contratto prevedeva che, cito testualmente i punti salienti: al conte Antonio Canossa viene dato il permesso di scavare nel cortile della proprietà suddetta, per cercare pietra minuta, scaglia, selce, tufi, travertini, marmi, metalli, figure, colonne, oro, argento, piombo, a patto che non scavi grotte o gallerie che possano compromettere la statica del palazzo e della chiesa adiacente […]. Oro, argento e metalli resteranno al cardinale proprietario del terreno; il piombo, i marmi, i tufi e i travertini dovranno essere divisi a metà; figure e colonne di ogni sorte toccheranno al proprietario del terreno, che però si impegna a pagare al Canossa e ai suoi aiutanti le giornate di lavoro […]. Il conte Canossa può tenere per sé scaglia e pietra minuta in quantità minore di mezza carrettata al giorno… E così via».
«Il governatore è stato informato dell’esistenza di quel contratto?»
«A me non lo ha chiesto».
«Vorrei che lo portaste in tribunale».
«Sì, certo, lo farò».
Raphael verificò che il documento fosse autentico. Lo era. Stava per restituirlo quando gli cadde l’occhio sulla parola catacomba, in quella parte di testo che Teofilo aveva tralasciato di leggere.
Il contratto si riferiva anche a un secondo scavo, in un’altra proprietà del cardinale, fuori le mura, non distante da Porta Pia. Il che dava un senso a tutte quelle clausole, dato che non potevano riferirsi al finto scavo nel cortile. Restituì il documento. «Il cardinale Cesi ha una tenuta vicino a Porta Pia?»
«Sì».
«Dove esattamente?»
«Mezzo miglio prima della basilica di Sant’Agnese».
«Dunque, voi non sapete cos’hanno trovato durante gli scavi?»
«Mah, quei debosciati si erano entusiasmati per qualche oggetto. Non saprei dirvi di cosa si trattasse. Tuttavia, dal fatto che il cardinale non ha condiviso il loro entusiasmo, deduco che avessero rinvenuto roba di poco conto».
«Non ha condiviso il loro entusiasmo?».
Padre Teofilo si strinse nelle spalle. «Be’, me ne avrebbe parlato».
«E se non fosse stato messo al corrente del ritrovamento?»
«Sì, è possibile. L’avidità e la slealtà non mancano a certe persone».
«Vi risulta che siano stati interpellati degli esperti per valutare gli oggetti?»
«Come posso saperlo? Immagino di sì: quei disperati non distinguerebbero un piatto antico da quello in cui mangiano ogni giorno. E la città è piena di intenditori di anticaglie provenienti da ogni parte d’Europa. In molti si guadagnano da vivere valutando, vendendo e comprando oggetti antichi».
In effetti, era proprio così, pensò Raphael alzandosi in piedi. «Vi chiedo di venire a riferirmi qualunque cosa scopriate o vi torni in mente».
«Farò come ordinate, messer Dardo».
«Ve ne sono grato».
«Ra¯fa¯’ significa “guarire”».
«Come dite?»
«Parlo del vostro nome: e¯l vuol dire Dio. Raphael significa “Dio guarisce” o “medicina di Dio”, e l’arcangelo Raffaele è colui che guarisce in nome di Dio».
«Purtroppo, padre, sembra che io sia destinato a vedermela con chi, invece, in nome di Dio uccide». Fece un piccolo e ossequioso inchino, e raccolse il sacco contenente i vestiti. «Vi ringrazio dell’ospitalità e della collaborazione».