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Per Leccacorvo, sofferente nel letto, non poteva esistere un farmaco più potente delle notizie che gli stavano dando Raphael e Sara sull’uccisione di uno dei sicari di Ghislieri, mescolate con la soddisfazione e l’orgoglio per averne a sua volta catturato e neutralizzato un altro.
L’ex bargello era dolorante e, non sapendo ancora del rapimento di Ariel, si sentiva pieno di gloria.
«Come sta?», si informò Sara.
«Gli ho cucito la ferita», disse Panvinio, che era seduto su un panchetto accanto al ferito e cercava di fargli forza parlandogli dell’infinita misericordia di Dio. «Sono sicuro che si rimetterà nel giro di pochi giorni. È un uomo forte e caparbio».
«Faccio quest’impressione?», disse Leccacorvo, che al contrario si sentiva debole e non era per niente persuaso di riuscire a guarire rapidamente; pensava che, se gli fosse andata bene, avrebbe zoppicato per il resto della vita. Con uno sforzo si mise a sedere sul materasso e chiese per l’ennesima volta di poter avere la bottiglia di grappa che teneva in cantina. «Il frate non vuole farmi bere».
«Dobbiamo stare tutti lucidi e pronti a reagire», spiegò Panvinio. «Non penso che sia il caso di farvi notare quanto sia seria la situazione per ognuno di noi».
«Hai ragione», disse Raphael, però prese la grappa e la consegnò al legittimo proprietario. Qualche minuto prima si era affacciato in cantina per controllare che il gesuita assassino fosse ancora incatenato al suo posto; gli aveva dato acqua da bere; e si era ricordato della bottiglia che Giusto gli aveva chiesto. «Soltanto un goccio».
«Posso?», fece Leccacorvo, incredulo. «Davvero?». Afferrò la bottiglia per il collo con avidità, la stappò e si bagno le labbra con il liquido trasparente e infuocato, ne mandò giù prima un sorso, poi ne ingollò quasi la metà; e alla fine si lasciò cadere all’indietro espirando, appagato. «Ci voleva proprio».
Panvinio scoccò un’occhiata perplessa a Raphael e a Sara, però si limitò a una scrollata di spalle e li invitò a seguirlo nella stanza accanto. «Devo farvi vedere una cosa». Aveva in mano una Bibbia, una scatola di legno e dei fogli. «Ho ricopiato la lettera». Posò tutto sullo scrittoio, e accanto sistemò le candele. «Il papiro…», toccò la scatola, «è ridotto male, si deteriora col passare delle ore. Non so per quanto ancora resterà leggibile. Adesso il contenuto è al sicuro». Sfogliò sotto i loro occhi una serie di carte vergate in greco, con mano sicura e ordinata.
«Ottimo lavoro», fece Raphael, ammirato. Sottopose alla sua attenzione la sequenza di lettere e numeri appuntata sul quaderno trovato al conte Canossa.
gen18,21is57,2pro16,25mc16,5mt5,39mt6,3gv1,23mt20,21at9,11mt20,23mt25,33mt25,34mt26,64pro21,2mt27,38mt27,29mc10,37mt25,41mc14,62lc22,69lc1,11lc6,6lc20,42gen13,9gv21,6sir4,181sam2,6
«Stai pensando la stessa cosa che penso io?».
Panvinio alzò le spalle, ma subito il suo sguardo si concentrò sulla pagina. «Sì», disse pizzicandosi il labbro inferiore. «Mi suona familiare: gen18,21; is57,2; pro16,25; mc16,5; mt5,39; mt6,3; gv1,23; mt20,21…». Si grattò al centro della chierica e schioccò le dita. «Sono passi della Bibbia».
Raphael annuì convinto. «Con Gen si indica il libro della Genesi; con Is, il libro di Isaia; con Pro, i Proverbi…».
«Mc è Marco», continuò Panvinio, «Mt è Matteo, Lc è Luca, At sono gli Atti degli apostoli. Non ci sono dubbi». Controllò sulla Bibbia. Trascrisse rapidamente alcune frasi e le portò a Raphael.
Gen 18,21
Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!
Is 57,2
Egli entra nella pace: riposa sul suo giaciglio chi cammina per la via diritta.
Pro 16,25
C’è una via che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di morte.
Mc 16,5
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.
Mt 5,39
Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra.
Panvinio seguiva attentamente gli occhi di Raphael che scrutavano la superficie della carta. «Ci trovi una logica?», gli chiese.
Lui non rispose e continuò a leggere.
Mt 6,3
Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra.
Gv 1,23
Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia.
Mt 20,21
Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».
At 9,11
E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando…
L’elenco continuava.
«Allora?», lo interruppe Panvinio, ansioso di trarre le conclusioni, di vedere se quelle di Raphael coincidevano con le sue.
«Mi sembra chiaro», disse lui.
«Anche a me», disse Sara.
«Già da queste prime citazioni si capisce che si tratta di un percorso da seguire. Contengono tutte una parola che indica una direzione: diritta, sinistra, destra… Credo proprio che siano le indicazioni per entrare e uscire dal labirinto, forse perfino per trovare le tombe contenenti i manoscritti».
«A meno che…», disse, cauto, Panvinio, «quel pazzo di un mago non abbia soltanto preparato queste frasi tratte dalla Bibbia, prevedendo di usarle. Potrebbe non averlo mai fatto. E in tal caso la successione di queste frasi non avrebbe un significato preciso, non indicherebbe proprio un bel niente».
«Però», osservò Raphael, «il Vangelo di Marco è il primo a comparire, non quello di Matteo: non segue l’ordine della Bibbia». Guardò il frate, perplesso. «Virgilius non ha sfogliato le Sacre Scritture con ordine; è andato alla ricerca dei brani che gli servivano, contenenti le parole che indicassero una direzione da seguire».
«Sì, è vero. In effetti l’ordine delle citazioni non è esattamente quello di apparizione nella Bibbia. Qui, ad esempio, e qui e qui… sembra che Virgilius abbia seguito uno schema diverso».
«Nella citazione At 9,11 si parla di Paolo di Tarso», fece notare Sara. «Dice: “Cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso”. Può darsi che Virgilius non l’abbia scelta a caso e che indichi un punto della catacomba in cui sono custoditi dei testi riguardanti l’apostolo».
Panvinio si fregò le mani come una mosca sullo zucchero. «Abbiamo il punto di accesso alla catacomba, abbiamo il percorso sotterraneo: dobbiamo solo andarci e scoprirlo».
Per fargli capire quanto lo desiderasse e che cosa rappresentassero adesso per lui quella catacomba e i manoscritti che forse conteneva, Raphael lo mise al corrente di ciò che era accaduto ad Ariel e alle guardie svizzere che sorvegliavano casa sua. Guardandolo sbiancare gli mostrò il messaggio che gli era stato mandato dai rapitori.
Panvinio lo lesse diventando ancora più esangue, le mani scosse da tremiti che facevano sibilare la carta.
«Non noti niente?», gli chiese Raphael.
«Hai voglia di scherzare?»
«Leggi quello che non c’è scritto, Onofrio. Non mi viene chiesto di restituire il manoscritto che ho trovato a casa di Virgilius. Sembra che non lo sappiano. Non sanno neppure dove si trova la catacomba, non possiedono le istruzioni per trovare i manoscritti all’interno del labirinto sotterraneo».
«In effetti», rifletté Panvinio, «è possibile che Virgilius non abbia fatto in tempo a comunicarle ai suoi compari».
«Agli altri adepti. Più precisamente: al loro capo».
«Come dici?»
«Non compari, ma confratelli della setta. Altri Cainiti».
«Cainiti? Ma cosa dici?»
«Il cardinale Ghislieri, senza saperlo, era in combutta con degli eretici, nemici della Chiesa fin dai primordi. I Cainiti esistono ancora, Onofrio».
«Può darsi che siano dei matti convinti di essere Cainiti, di averne riesumato la dottrina, ma i Cainiti veri e propri non esistono più da secoli e secoli, Raphael. Nessuno oggi sarebbe in grado di reinventare una dottrina complessa come tutte le eresie gnostiche, perché…».
«Perché la Chiesa di Roma ha bruciato tutti i loro testi?»
«Sì, è così, per fortuna. È stata fatta un po’ di pulizia».
«E se la Chiesa non fosse riuscita a cancellare l’eresia fino in fondo?».
Panvinio ci pensò con lo sguardo rivolto al soffitto e dopo un po’ cominciò ad annuire. «Se quel che dici è vero… Be’, in effetti, ogni tanto lo gnosticismo è riemerso nel corso della storia. Penso ai Bogomili e ai Catari. E inoltre la pulizia contro l’eresia gnostica è stata fatta all’esterno della Chiesa, non all’interno. Purtroppo, una caratteristica degli antichi cristiani gnostici era proprio quella di infiltrarsi nelle altre Chiese, negli altri gruppi cristiani, camuffando la propria vera natura. Non di rado ne prendevano il controllo e cominciavano a convertire i fedeli. Si consideravano talmente superiori da riuscire a fingere, a vivere nel segreto perpetuo, interpretando le parole dei Vangeli a modo loro».
«Non ti seguo».
«Voglio dire che, se davvero i Cainiti esistono ancora, come tu sostieni, il loro cuore e la loro mente potrebbero trovarsi dentro la Chiesa di Roma. Da sempre».
«Non lo sostengo: è la verità».
«Mio Dio!».
«Il Vangelo di Giuda venerato dai Cainiti era fra i testi trovati da Virgilius e Canossa. E se qualcuno avesse scoperto un documento antichissimo che attesta l’esistenza di una catacomba gnostica con al suo interno dei Vangeli proibiti?»
«Un documento? No, è molto improbabile. Se una fonte come questa esistesse, io la conoscerei. Certo è, però, che per gli adepti di questa setta i vangeli rinvenuti da Virgilius rappresentano la possibilità di rinascere, di rimettersi in contatto con i padri antichi della Chiesa gnostica; le lettere di Pietro nelle loro mani sarebbero armi formidabili contro la Chiesa cattolica, per una vendetta, una resa dei conti, dopo così tanto tempo. Gli antichi Cainiti potrebbero aver conservato dei testi avversi alla Chiesa di Roma, in attesa che qualche loro fratello di un lontano futuro li riesumasse». Il frate guardava lontano adesso, all’interno della sua mente, nere distese di devastazione e fiamme.
«Devo trovare i manoscritti. Sperando di poterli davvero scambiare con la vita di Ariel. Non ho alternative».
«E il papa?»
«Sa del rapimento. Ma non mi permetterebbe per nessun motivo di consegnare i papiri a chicchessia, figuriamoci al suo nemico giurato Ghislieri. Li vuole per sé a tutti i costi. Mi ha detto chiaro e tondo che non devo cercare Ariel, che di lui si sarebbe occupato il governatore».
«Ma è assurdo!».
«Direi folle».
«Il Santo Padre, Gian Angelo Medici, è un mio caro amico. Mi stupisce che si comporti in questo modo crudele. Tu hai pienamente ragione ad agire così. Anch’io al posto tuo ignorerei i suoi ordini. Solo un mostro non lo farebbe».
«Se davvero Ariel è stato rapito dal cardinale Ghislieri, forse c’è qualche speranza. Ma se lo avessero preso i membri della setta di cui faceva parte mio fratello Leonardo…». Nella mente di Raphael ribollivano immagini di un passato che non sarebbe mai potuto diventare remoto. Il tempo non era in grado neanche di scalfire quel che si era impresso nella sua memoria.
Erano trascorsi nove anni, e neppure un frammento di ricordo era andato perduto.
Davanti agli occhi aveva ancora la bellissima cortigiana Elena, in piedi su un altare, pronta per il sacrificio, con il collo candido offerto al pugnale fremente del sacerdote.
Aver salvato quella donna incantevole, così piena di talenti, così avvenente, era l’unico ricordo buono a cui Raphael poteva aggrapparsi per non sprofondare in un baratro di malinconia.
Si era illuso che con la morte di Leonardo e del capo della sua setta fosse tutto finito, ma adesso…
Se le parole dei due sicari di Ghislieri erano attendibili, forse la realtà era un’altra. I Cainiti erano in tanti. Leonardo e tutti gli altri con cui Raphael aveva avuto a che fare durante la primavera del 1555 non facevano parte di un cenacolo di pochi stravaganti eretici: la loro congrega doveva appartenere a qualcosa di più vasto, la cui mente si trovava in Vaticano.
“Spero che lo abbia fatto rapire Ghislieri”, pensò serrando la mandibola con uno stridore di denti; in caso contrario, Ariel correva un pericolo più grande di quanto si potesse immaginare.
Perché i Cainiti sapevano perfettamente chi era Raphael Dardo e, forse, non aspettavano altro, da allora, che arrivasse il giorno della resa dei conti.
Raphael era il responsabile della morte del loro capo, di Leonardo e di tanti altri loro confratelli; aveva condotto gli inquisitori del Santo Uffizio nel loro luogo di ritrovo e lo aveva distrutto con le fiamme.
Se Raphael non poteva dimenticare fatti tanto gravi, neppure i Cainiti potevano.
Loro non avrebbero mai e poi mai liberato il bambino.
Vedendo Panvinio che aspettava spiegazioni, gli disse: «Praticano sacrifici umani, Onofrio. Ne sono stato testimone».
A Panvinio bastò guardarlo negli occhi per capire che non mentiva. «Cosa sai dei Cainiti?», gli chiese.
«Non molto», sospirò Raphael.
«Però sapevi che possedevano e seguivano il Vangelo di Giuda».
«Dopo la morte di Leonardo, dopo quello che scoprii, provai a documentarmi, con una certa riluttanza, e riuscii solo a capire che si sa ben poco su di loro».
Panvinio abbassò lo sguardo e si fece il segno della croce. Sospirò. «I Cainiti sono i peggiori ribelli che la storia abbia mai conosciuto», disse. «Secondo loro Gesù è stato mandato dal vero Dio per insegnare a noi uomini come liberarci dal ciclo delle reincarnazioni a cui ci ha costretto il Creatore».
«E come?»
«Peccando a più non posso. Credevano di dover compiere tutte le azioni possibili, in modo da pagare il prezzo prestabilito per avere la libertà definitiva dal mondo materiale e poter tornare finalmente a riunirsi con la luce del vero Dio. Secondo l’assurda teologia dei Cainiti, il Dio della Bibbia è soltanto un mostro cosmico, è il nemico. Per questo, tutti i personaggi negativi che si trovano nelle Sacre Scritture, a cominciare dal serpente che tentò Eva, sono per loro buoni. Anche Caino, ovviamente. Quel che è bene è male, e viceversa. Mi capisci, Raphael? Erano persone terribili. Dei pazzi. Quindi, non stento a credere che tu abbia assistito a un sacrificio umano».
Per Raphael, costretto a immaginare un fratello imbevuto di dottrine così stravaganti e pericolose, non era facile ascoltare con distacco; avvertiva una stretta alla bocca dello stomaco, un profondo disgusto. «Basta così», disse.
«I Cainiti compivano azioni innominabili, Raphael».
«Ho capito».
«Sperimentavano ogni cosa possibile. Specialmente se si opponeva a quel che insegna la Bibbia: negare il Creatore, uccidere, rubare…».
«Posso immaginare il seguito».
«Devi sapere con chi abbiamo a che fare».
Raphael aveva sentito fin troppo, era stanco delle parole, bramava di scendere in quella maledetta catacomba a cercare i manoscritti per il riscatto.
Ora la pioggia batteva con meno insistenza sulle tegole e sui vetri, e il vento sembrava essersi chetato, tuttavia non era consigliabile avventurarsi di notte in aperta campagna alla ricerca di pertugi in cui calarsi. E c’era anche da mettere insieme un po’ di attrezzatura, prima: sarebbero servite molte luci, pennelli e pittura per marcare i cunicoli della catacomba, parecchie braccia di corde, cibo e acqua, e a pensarci bene chissà cos’altro.
Panvinio, intanto, lo fissava con un’espressione addolorata e un mezzo sorriso di compassione. «Ordina, e io eseguo, Raphael. Qualsiasi cosa».
«Credi che sia il caso di chiamare un medico per Giusto?», gli chiese Sara.
«No, sta bene. Il sangue fuoriusciva copioso dalla ferita, ma non a fiotti. L’ho cucito come si deve. E a quest’ora si sarà già scolato tutta la bottiglia di grappa. Domattina ce ne occuperemo. Adesso dobbiamo pensare a riposare. Raphael, tu sei esausto. Non ti farebbe male dormire un paio d’ore. Sei un essere umano, non puoi ammalarti, non adesso. Ariel ha bisogno del miglior Raphael Dardo che si sia mai visto».
A lui, sentendo quelle parole così enfatiche, venne da ridere e non si trattenne. O meglio: pensava di ridere, e rimase sorpreso quando vide che, invece, stava piangendo.
«Va’ a letto, Raphael». Panvinio gli fece sentire il calore della propria mano sulla spalla e lo scosse. «Coraggio, mio nobile amico».
Uscirono dallo studio di Leccacorvo.
Nella camera da letto, lui stava dormendo con la bottiglia vuota sul petto. La fasciatura della ferita sembrava asciutta.
Guardandolo, Raphael chiese a Panvinio: «Tu sai chi c’è in cantina?»
«Sì, lo so. Giusto mi ha raccontato quel che è successo».
«Quel farabutto deve restare dov’è».
«Posso portargli da bere?»
«Ho già provveduto io», disse Raphael, «e gli ho dato anche una coperta», aggiunse mentendo, per sgravarlo da qualsiasi senso di colpa e, soprattutto, per evitare che la pietà lo spingesse a commettere qualche imprudenza. «Ora andiamo a riposare. Domattina prenderemo l’occorrente e andremo a cercare questa maledetta catacomba».
«Posso farlo io da solo. Tu occupati di cercare Ariel».
«All’alba ci andremo insieme, Onofrio. Trovare quei papiri potrebbe essere l’unico modo per salvare Ariel».
Sara sbatté le palpebre. «E io non vengo?»
«Tu dovrai fare una cosa altrettanto importante qui a Roma».
«Come vuoi, conta su di me».
Panvinio fece un solenne cenno di assenso e posò una mano sulla spalla di entrambi. «Amici miei», disse, «abbiate fede».