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«Tutto ripulito in tempi rapidi», commentò Sara. «Come mai?». Andò a controllare fuori dalla finestra. «Non si vede neppure l’ombra di un birro».
«Hai sentito cos’ha detto il prete. A Roma non c’è pietà per chi è maledetto da Dio». Raphael stava continuando a ispezionare la casa, e in quel momento era concentrato su un punto nella parete, appena al di sopra della testiera del letto. Sembrava imbiancato di recente e c’era una lieve sporgenza, come se l’intonaco si fosse leggermente staccato a causa dell’umidità. Solo che era perfettamente asciutto.
Per quale motivo Virgilius non aveva fatto dare una mano di calce in tutto l’appartamento o, per lo meno, su tutta la parete?
Sara aveva altri pensieri: «Davvero getteranno il corpo oltre le mura cittadine?»
«È possibile», rispose Raphael, ma la sua voce fu coperta dallo stridore del letto che strisciava sul pavimento. Guardò dietro la testiera e vide che l’imperfezione nella parete si allargava. Spostò ancora un po’ il letto e sfoderò il falcetto che portava dietro la schiena. «Questo caso sarà materia di pertinenza del Santo Uffizio e del Sommo Inquisitore. Il governatore Pallantieri non potrà occuparsene». Cominciò a grattare via la calce, delicatamente.
«Perché no?»
«Per la croce che la vittima aveva sulla fronte: è un elemento religioso, e tutti i crimini legati alla sfera sacra spettano per legge al tribunale dell’Inquisizione».
Sara lo vide inginocchiato fra la testiera e il muro, ma era così attonita che continuava a guardarsi intorno scuotendo la testa. «Allora, questo assassino potrebbe agire per conto del Santo Uffizio».
«Spero di no».
«Hanno portato via il cadavere come si fa con un rifiuto. Si accontentano di sapere che è un caso di suicidio? Ma quei segni che aveva sul collo e… la croce sulla fronte… il fatto che non fosse il proprietario di casa… È tutto così strano».
Raphael era troppo occupato a spellare il muro, per continuare a parlare.
«Cosa stai facendo?»
«Quello che vedi».
Lentamente, apparve qualcosa sotto lo strato di calce più recente: intonaco asciutto, ma steso da poco.
Sara si mise a grattare la calce con le unghie, facendola cadere per terra come farina.
Alla fine del lavoro stettero a lungo in silenzio, a fissare sbigottiti quel punto della parete che era nascosto dalla testiera del letto.
Avevano scoperto una lastra rossastra di laterizio. Sopra, in un angolo, c’era l’impronta della zampa di un piccolo cane, evidentemente lasciata quando il materiale era ancora fresco e steso ad asciugare sotto il sole. Al centro campeggiava una parola, vergata, o meglio sgraffiata, con una punta sottile, forse uno stilo per la scrittura su tavolette cerate o semplicemente una punta molto aguzza, e sotto c’era una croce capovolta.
La parola e la croce erano recenti, a differenza della piccola impronta di cane:
cefa
Sara scosse la testa: «Cosa vuol dire?»
«È aramaico, significa pietra».
«Aramaico», fece lei premendosi le mani perennemente macchiate di pittura sulla chioma nera. «E tu come lo sai?»
«Me lo ha detto il papa. L’aramaico», spiegò, continuando a contemplare la lastra con al centro l’enigmatica parola e la croce capovolta, «è la lingua che si parlava in Palestina al tempo di Gesù di Nazareth. E Cefa è il soprannome che Gesù assegnò a Simone di Cafarnao. La parola fu poi tradotta in greco Petros, che divenne Pietro. Così si spiega la croce rovesciata, perché secondo la tradizione Pietro fu crocifisso a testa in giù, qui a Roma, da Nerone». Cercò di intercettare lo sguardo di Sara e lo trovò assente, perso in un sorriso serafico. «Dovresti leggere i Vangeli, mia cara».
«Lo sai che non è permesso alle persone comuni».
«Motivo in più per farlo!».
Sara era ammirata. «Non avrei mai creduto di sentirti parlare di Vangeli in questo modo».
«Ti dispiace?»
«No, anzi. Ne sono solo sorpresa».
«Cosa vuoi farci? Vivo da due anni con il papa».
Sara sorrise ed entrambi tornarono a osservare il misterioso laterizio nel muro.
«Questa lastra proviene da una catacomba», disse Raphael. «Ne ho viste parecchie uguali a questa». Vi bussò sopra con le nocche, ascoltò il suono.
Sara capì al volo e cominciò a fremere. «C’è qualcosa lì dietro».
Lui incise il muro tutt’intorno e staccò il laterizio. Sì, sembrava proprio la metà di una delle lastre con cui si chiudevano i loculi più umili delle catacombe. La gettò sul materasso e infilò una mano nella piccola nicchia – un vano lasciato da due mattoni che erano stati rimossi. Estrasse un panno contenente un mazzetto di fogli scuri tenuti insieme da una copertina di cuoio: un piccolo codice.
Il nascondiglio non conteneva nient’altro, solo un’enorme quantità di paglia, stoffa e sale, che con tutta probabilità servivano a tenere l’umidità lontana dal manufatto.
Sara si avvicinò per guardare. «Che cos’è?»
«Sembra un libro antico. Direi antichissimo. Questo è papiro». I fogli, a occhio e croce una trentina, erano piuttosto piccoli ed estremamente fragili. Raphael evitò di maneggiarli e li posò sul letto. I suoi occhi scivolarono su parole sconosciute e attaccate l’una all’altra, senza segni di interpunzione e senza distinzioni tra maiuscole e minuscole. «È greco», disse pensando ad alta voce.
«Però è scritto in modo incomprensibile».
«Si chiama scrittura continua. I testi antichi venivano scritti e ricopiati così, anche quelli cristiani. La lettura è resa ardua dal fatto che non ci sono spazi fra le parole e manca del tutto la punteggiatura. Ma è solo questione di pratica».
«Tu riesci?»
«Un tempo me la cavavo».
Maneggiando il codice con delicatezza provò a guardare qualche altra pagina. Alcune risultavano mutile e parzialmente illeggibili, ma altre erano integre, seppure un po’ annerite e difficili da decifrare. A un certo punto il testo greco finiva, e iniziava una parte in latino. Raphael ipotizzò che si trattasse della traduzione.
Provò a leggere un passo che risultava più chiaro.
A prima vista sembrava una lettera che l’apostolo Pietro scriveva a Giacomo, fratello di Gesù e capo della primissima Chiesa di Gerusalemme. Pietro si rivolgeva a lui animatamente, lamentandosi del «nemico», «l’apostolo dei Gentili», che stravolgeva gli insegnamenti del Cristo arrivando a predicare il contrario. Ancor prima di leggere il nome, Raphael aveva già capito a chi Pietro si stava riferendo. E poco dopo ne ebbe la conferma. Il primo degli apostoli citava chiaramente Saulo di Tarso: stava parlando di san Paolo.
La concordia apostolorum, cioè la credenza dei cattolici nella perfetta armonia e nell’amicizia sincera tra Pietro e Paolo, si sgretolava sotto gli sguardi increduli di Raphael e di Sara, come il papiro millenario all’umidità di quel dicembre.
Ancora qualche giorno esposto all’aria, e di quella materia non sarebbe rimasto altro che un mucchio di brandelli anneriti, come una cenere che non aveva mai conosciuto il fuoco.
Pietro scriveva a Giacomo:
C’è chi tra i Gentili ha respinto la mia predicazione, preferendole una dottrina assurda e contraria alla legge, predicata dall’uomo che mi è nemico. C’è chi ha tentato, benché io sia ancora in vita, di travisare la mia parola con interpretazioni di ogni sorta, come se avessi insegnato la fine della legge…
Più avanti continuava:
Se Gesù gli è apparso e si è manifestato in una visione a lui che, irato, gli era nemico e gli ha parlato nelle visioni e nei sogni o per mezzo di rivelazioni, crede lui che basti una visione per autorizzare qualcuno a diffondere l’insegnamento? E se lo crede, perché il nostro maestro avrebbe trascorso un anno con noi che eravamo svegli? Come possiamo credere che gli sia apparso? Se gli fece visita per un’ora, lo istruì e lo fece diventare apostolo, che annunci allora le sue parole, che esponga il suo insegnamento, che sia amico dei suoi apostoli e non si opponga a me; poiché lui ha contrastato me, la salda roccia, la pietra fondante della Chiesa.
Il cuore di Raphael batteva all’impazzata. «Andiamo via da qui», disse.
Se quella lettera contro Paolo era stata davvero scritta dall’apostolo Pietro, magari con l’ausilio di uno scrivano, allora non era fatta di papiro, ma di polvere da sparo, di veleno, di palle di cannone.
Non era una lettera, era un abisso tenebroso.