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«Da quante ore è qui?», domandò Raphael alla suora che li aveva fatti entrare nell’ospedale.

«Dal primo pomeriggio».

Markus gemeva con la febbre alta su uno dei tanti letti addossati al muro, con la testata sormontata da un baldacchino di raso a parete. Era in uno stato di semi incoscienza e respirava a fatica, con un rantolo continuo che non faceva presagire niente di buono.

«Voleva parlare a tutti i costi con un certo messer Raphael Dardo», disse la suora. «E anche con il papa». Congiunse le mani e sospirò addolorata. «Poverino, sta così male. Voi siete un parente, sapete come si chiama?»

«È una guardia svizzera», rispose Raphael osservando mestamente il delirio febbricitante del ragazzo. Markus non sembrava in grado di parlare, ma bisognava fare un tentativo.

«Allora quel che diceva era vero?»

«Sì, sorella».

«Ah, quanto mi dispiace! Se avessi solo immaginato…».

Raphael provò a chiamarlo toccandogli delicatamente una spalla. «Markus?».

Nessuna reazione apprezzabile.

«Parlami, ti prego».

Gli occhi di Markus scivolavano lenti sotto le palpebre. Dalla sua bocca arida e screpolata esalò il suono: «Raphael».

«Sì, sono qui». Gli accarezzò la fronte. Bruciava. «Va tutto bene, ragazzo mio».

Sara, dall’altra parte del letto, gli strinse una mano. «Fatti forza, Markus».

E lui aprì gli occhi, ma riuscì solo a muoverli nel nulla per qualche istante prima di richiuderli. Era esausto. Deglutì, ma la saliva non gli affluiva più nella bocca.

«Dov’è Ariel?», gli domandò Raphael, cercando di domare l’urgenza feroce che gli stava ribollendo nella testa.

«Non lo so».

«Ha mangiato anche lui i biscotti?».

Markus mosse impercettibilmente la testa sul guanciale: «No».

«Ne sei sicuro?», chiese Sara.

«Ha detto che suo padre non voleva che accettasse cibo dagli estranei».

Dita di fuoco strinsero la gola di Raphael, acqua salata colò lungo le sue guance. «Dov’è Ariel?».

Markus sembrava in procinto di sprofondare.

«Dov’è Ariel, Markus? Si è allontanato da solo da casa? È con qualcuno?»

«Lui…».

«Dov’è?». Raphael gli ripeté ancora e ancora le stesse domande, senza avere la certezza che lui lo stesse ascoltando. «Chi lo ha preso?».

Sembrava che Markus stesse lentamente scivolando verso l’abisso del sonno eterno.

«Deve riposare», disse la suora. «Che Dio lo aiuti».

Stavano per rassegnarsi e andare via quando lui espulse un debole soffio dai polmoni: «Un prete».

«Ariel è stato preso da un prete?»

«Sì».

«Lo stesso che ha portato i biscotti?»

«Un altro».

«Basta così», intervenne risoluta la suora, come se stesse separando due litiganti. «Adesso deve riposare. È nelle mani di Dio».