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Puntuale come sempre, Gaspare Momo uscì dalla chiesetta in cui ascoltava la messa insieme a sua moglie, ogni sera alla stessa ora. I due salutarono con molto ossequio gli altri fedeli e si incamminarono verso casa.

Raphael lasciò il cavallo vicino al sagrato e li seguì a piedi.

Momo non era credente, a differenza della moglie, ma per quelli come lui la reputazione valeva parecchio denaro. Adesso, col sole che tramontava, si stavano dirigendo a casa per la cena, come tutte le brave persone, che stanno alla larga dalle strade oscure della notte.

Raphael non aveva mai potuto permettersi quel lusso.

Continuò a pedinare la coppia, facendo attenzione a non essere seguito a sua volta: non voleva portare il sicario a casa di Momo. Mantenne una distanza più che sicura: in fondo, non c’era bisogno di affrettarsi; Momo non si sarebbe messo a correre per le strade di Roma neppure se lo avessero pagato in sonanti scudi d’oro veneziani. Lui camminava con un passo da orologio, a testa alta, mentre la moglie gli stringeva il braccio, a testa bassa. Fine della storia.

Era un novellante, un nuovo genere di scrivano: raccoglieva notizie per rivenderle ai suoi importantissimi e ricchissimi clienti. Essendo il migliore informatore di Roma, uno dei più autorevoli d’Italia, quasi tutti i sovrani avevano stipulato un contratto con lui, per assicurarsi di ricevere regolarmente i suoi avvisi, bollettini manoscritti redatti in gran numero di copie da spedire agli abbonati.

Momo era al servizio di chi se lo poteva permettere.

Ogni mattina si alzava presto, sedeva allo scrittoio e vergava le relazioni. Poi, una volta alla settimana, si recava personalmente alla stazione di posta per spedire i plichi, così da essere certo che nessuno potesse manometterli.

Di Momo si diceva che fosse capace di cavare l’uovo ancora dentro a una gallina, figuriamoci i segreti dalla bocca degli altri.

Si diceva, per l’appunto.

Perché erano pochi coloro che avevano l’opportunità di avvicinarlo, essendo ossessionato dalla riservatezza e dalla reputazione.

Ma qualcuno che accoglieva sempre a braccia aperte e lo faceva illuminare di gioia c’era.

«Che piacere!», esclamò aprendo la porta di casa. «Il cavalier Dardo!».

«Lieto di rivederti, Gaspare», gli disse Raphael afferrando la mano più magra che gli fosse mai capitato di stringere. «Come te la passi?»

«Bene. Ma, ti prego…». Controllò che non ci fossero ficcanaso in strada. «Vieni dentro».

Raphael sperava di sentirselo dire e lo seguì su per le scale.

«Porti qualche buon affare?», chiese Momo affrontando i gradini senza fretta. «Dimmi che hai importanti notizie dal palazzo apostolico».

«Dipende».

«Dipende?». Momo raggiunse il caposcala e lo invitò a entrare nell’appartamento in cui abitava, al primo piano. Al piano terreno, invece, c’erano due grandi sale con i banchi per gli scrivani addetti alla produzione delle tante copie degli avvisi. «Dipende da che cosa?»

«Sono venuto per scambiare notizie con altre notizie; stavolta niente denaro».

«Interessante». Momo si fermò a guardarlo, accarezzandosi le guance perfettamente rasate, poi lisciandosi i capelli chiari e pettinati alla perfezione gli indicò una poltrona vicino al caminetto.

Una serva anziana si avvicinò per ravvivare il fuoco.

Raphael si guardò attorno. «Come sta tua moglie?». La casa era ingombra di oggetti esotici provenienti da chissà dove, forse portati dai numerosi viaggiatori che passavano da Momo per vendere notizie.

«Sta bene. È di là che ricama, in attesa che la cena sia pronta».

«Quasi pronto, signor Momo», disse la vecchietta. Le sue ginocchia crocchiarono quando si rimise in piedi. «Vi porto qualcosa da bere?», domandò pulendosi le mani sulla veste.

«No», disse Raphael, «vado via tra poco».

«Neanche per me», si associò Momo. «Di’ a Luisa che arrivo».

«Subito, signore».

Raphael si sedette davanti al fuoco scoppiettante e andò dritto al punto: «Hai conoscenze nel mondo dei cavatori di tesori e degli antiquari?».

Anche Momo stava per sedersi, ma rimase in piedi. «Che domanda è?»

«Sto cercando un paio di persone».

«Nomi?»

«Un certo Virgilius».

«Si è impiccato ieri», disse Momo, algido. «Chi altri?»

«Uno che chiamano l’Antiquario. Organizza vendite segrete di oggetti antichi».

«C’entrano forse delle maschere?», sondò Momo, cauto.

«Non saprei».

«Forse posso aiutarti. Ma in cambio di cosa?»

«Roba grossa, credimi».

«Se lo dice uno che dorme nell’anticamera del papa, deve essere parecchio grossa». Si sedette. «Sentiamo».

«Prima le informazioni sull’Antiquario e su Virgilius».

«Il mago si è impiccato, te l’ho appena detto».

«Non era suo quel corpo. L’ho visto con i miei occhi».

«Caspita!». Forse si poteva vendere una notizia come quella, a patto che ci fosse qualche elemento interessante per la sua clientela. Se fosse stato un cardinale…

«Aveva una croce sulla fronte», aggiunse Raphael, «ed è stato strangolato prima di essere appeso alla trave per simularne il suicidio».

«Caspita!», ripeté Momo con un sussurro; il denaro che stava immaginando gli brillava negli occhi. «E cos’altro?»

«La croce sulla fronte… era fatta col sangue».

Momo annuì da dietro un sogghigno astuto.

«Ne ha uccisi altri allo stesso modo. Uno si chiamava Zuanne. E potrebbe aver ucciso anche l’Antiquario. Sai dirmi dove abita? Conosci qualcuno che frequentava le sue vendite?»

«Su cosa stai investigando esattamente, Raphael?»

«Cerco il motivo per cui l’assassino della croce di sangue sta mietendo vittime tra i cavatori di tesori».

Momo valutava, imperturbabile, perfettamente a proprio agio nei vicoli oscuri e intricati della prudenza. «La roba grossa di cui mi parlavi sarebbe questa?»

«No».

«Allora ci sto. Compro il tuo grano senza guardare dentro il sacco, sento che non mi deluderai. Del resto non lo hai mai fatto». Trasse un lungo respiro e si adagiò contro lo schienale della poltrona. «Dunque. Mi hai appena detto che non era Virgilius il morto impiccato».

«Esattamente».

«Ebbene, neppure l’Antiquario era l’Antiquario».

Raphael sgranò gli occhi e si sporse in avanti con i gomiti sulle ginocchia. «Spiegati meglio».

«Devi sapere che a quelle vendite segrete si partecipa rigorosamente con la maschera veneziana, la bautta. La indossa anche il venditore. E tu sai che la bautta camuffa la voce… Insomma, l’uomo che è stato ucciso era suo cugino. Lui è ancora vivo. Si chiama Iacomo Barbieri».

«Descrivimelo».

«Un bel giovane, alto e snello, occhi cerulei e capelli scuri. È un mercante di antichità in contatto con molti antiquari, in Italia e non solo. Quando non è impegnato a vendere tutto quello che gli capita fra le mani, riservando per sé un cospicuo margine di guadagno, fa da mediatore per acquirenti danarosi ed è in grado di comprare perfino in Oriente, dal Cairo alla Cina. Ma soprattutto, tramite la sua vasta rete di conoscenze, fa arrivare sui mercati delle grandi città d’Europa gli oggetti antichi che vengono trovati a Roma, ricavando un ulteriore e rilevante profitto. Iacomo Barbieri non è uno colto e raffinato, non conosce il latino e non frequenta le corti cardinalizie, ma ha fama di essere un grande intenditore, e a Roma chiunque voglia acquistare antichità preziose o desideri piazzarle sul mercato dei collezionisti e degli studiosi passa prima da lui. Nell’ambiente degli antiquari, non si vende e non si compra nulla senza che lui lo venga a sapere».

«Dove posso trovarlo?»

«Vicino a una bella donna, immagino. O a un buon bicchiere di vino. È fatto così. Possiede una casa in una traversa di via Giulia. Non ci abita, ci si rifugia, e credo che adesso possa essere lì».

«Ha moglie, figli, dei domestici?»

«No, sua moglie è impazzita tre anni fa ed è rinchiusa in un convento. Avevano due figli, ma sono morti entrambi, ancora in fasce. Lui vive da solo».

Raphael annuì, registrando mentalmente le informazioni. «Virgilius, invece?»

«Dopo quello che mi hai raccontato, posso immaginare che si stia nascondendo. Al posto tuo, proverei a cercarlo dai suoi familiari. Allevano vacche fuori dalla Porta del Popolo. La casa si trova un miglio dopo la fontana della lupa. Ha delle colonne romane che sostengono il terrazzo loggiato, e ci sono delle statue davanti. Non sono molti i pastori che hanno abitazioni come quella; lo vedrai. E ora… sono curioso di ascoltare la tua notizia strabiliante».

Raphael gli raccontò della fallita congiura contro il papa, fornendogli pochi dettagli, solo quelli strettamente necessari alla scrittura di un rapporto per il suo prossimo bollettino: i nomi degli arrestati e del conte fuggiasco, il motivo del fallimento, nient’altro.

Ciò nonostante Momo si prese la testa fra le mani e restò a lungo in quella posizione, con gli occhi sbarrati, finché esplose esultante e lo abbracciò riempiendogli le guance di baci. «Con questa notizia», gli disse, esaltato come Raphael non lo aveva mai visto, «ti sei guadagnato la mia collaborazione gratuita per i prossimi vent’anni!».

«Se ne avrò bisogno, tornerò a trovarti».

«Per te la porta è sempre aperta».