Capitolo XXXII
Riuscii a dormire un paio d’ore appena. Quando la sveglia del mio orologio suonò, sapevo già che il resto della mia squadra stava già lavorando da un pezzo. Quello che non immaginavo era che quella giornata mi avrebbe riservato una spiacevole sorpresa.
Scesi a fare colazione e effettivamente trovai Liz e Mark nel tavolo del salone, ciascuno immerso profondamente nel proprio computer.
- Com’è andata ieri? – domandai, sminuendo la mia poco tempestiva apparizione.
- Abbastanza bene. Dovremo ancora aspettare, ma ho trovato dei capelli, una gomma da masticare rinsecchita e masticata e un foglio stropicciato che sembra essere la ricevuta di un distributore di benzina. Mi piacerebbe fare un salto stamattina a dare un’altra occhiata in giro.
- Quanto ci vorrà per avere i test del DNA?
- Non ne ho idea. Ho mandato tutto al laboratorio stamattina all’alba, ma non mi assicurano nemmeno di riuscire a ottenere qualcosa. I capelli non avevano la radice e sono piuttosto deteriorati, e la gomma è stata esposta alle inclemenze atmosferiche.
- Sicuramente non hai perso tempo - dissi, compiaciuto. – E tu, Mark, sei riuscito a scoprire qualcosa?
- Non c’erano tracce di pneumatici, ma abbiamo trovato dei segni quasi impercettibili negli steli appiattiti. Le piogge non ci son state esattamente d’aiuto, diversamente da quanto sarebbe accaduto se il terreno fosse stato argilloso. Ho scattato diverse foto con una macchina ad alta risoluzione, e le manderò a un laboratorio forense specializzato in questo campo. In passato sono riusciti a identificare il modello di ruota attraverso un sofisticato software che confronta segni apparentemente insignificanti. Questo sì, richiederà del tempo; non ti aspettare risultati prima di dopodomani.
- Mi basta che siano in grado di fornirci qualche dato concreto.
- Ho anche preso le misure della larghezza e della profondità dell’area del campo di granturco schiacciata dal veicolo. Credo che la larghezza sia abbastanza significativa, per quanto potrebbe corrispondere a infiniti modelli di macchine. La profondità, invece non è altrettanto rivelatrice, perché non siamo sicuri di quale parte del veicolo sporgesse dal campo, nel caso in cui non fosse stato nascosto del tutto.
- Questo è un progresso molto importante per l’indagine. Sembra che alla fine avremo qualcosa di concreto su cui basarci. E Tom?
- È andato via una quarantina di minuti fa. Si doveva incontrare con Bowen per percorrere insieme il labirinto di strade sterrate che intersecano la strada 12, per scoprire se qualcuno ha visto qualcosa il giorno della scomparsa di Donna. Sono perlopiù piccoli contadini e agricoltori di età avanzata, motivo per cui sono soliti passare quasi tutta la giornata nei loro terreni o in casa.
- E dei proprietari del campo di granturco, i Thomson, si è scoperto qualcosa?
- Niente. Si sono avvicinati a vedere l’area calpestata del loro campo e ci hanno detto che non se n’erano nemmeno accorti. Sono una coppia davvero meravigliosa, ma credo che non ci saranno di nessun aiuto.
- Fantastico. Mi faccio un caffè bello forte e poi vado a cercare Worth, voglio rivedere con lui tutte le piste aperte che ci restano al momento – dissi, lasciando cadere l’idea pellegrina che il giorno prima avessi lavorato fino allo sfinimento.
- Quando pensi di interrogare Duane Malick? – mi chiese Liz, che non aveva dimenticato i sospetti che pendevano sul padre di Donna.
- Prima vorrei sapere se i resti biologici trovati nella cantina di Davies appartengono alla madre, come lui stesso sostiene. Avete terminato la relazione che vi ho chiesto su di lui?
Liz mi consegnò immediatamente una cartella con un mazzo di fogli al suo interno.
- Qualcosa di interessante? – domandai.
- È meglio che ti sforzi di leggere quello che ti abbiamo preparato.
Annuii senza fiatare e me la svignai come potei verso la cucina, prima che Liz avesse la possibilità di avanzare un altro rimprovero. Inoltre, per quanto mi fossi lavato minuziosamente, avevo la strana sensazione di avere ancora addosso l’odore d’incenso e del profumo intenso che pervadeva la pelle di Vera Taylor. Per qualche strana ragione, guardare la mia collega negli occhi mi faceva sentire in colpa.
Avevo appena finito la tazza di caffè e una ciambella alla cannella, quando sentii la vibrazione insistente del mio cellulare. Pensai si trattasse di mia madre, invece era Jim a chiamarmi.
- Ethan, vorrei che venissi il più presto possibile.
- Che è successo?
- C’è un gruppo di giornalisti sulla porta dell’ufficio. Qualcuno deve aver vuotato il sacco. Ci sono giornalisti dello Star, dell’Eagle, del Globe, di alcune emittenti nazionali e, si tenga forte, perfino un furgone della CBS.
- Cosa? Non mi prenda per il culo Jim! Gli ha detto qualcosa?
- Assolutamente niente. Si sbrighi, per favore.
Uscii di corsa dalla cucina, andando confuso verso il salone e maledicendo la mia sorte. Cosa speravano di trovare quegli scribacchini in una città piccola come Oskaloosa? Se avessi trovato la talpa l’avrei fatta a pezzi con le mie mani.
- Mark, ti prego di scoprire che diavolo stanno scrivendo i media su internet riguardo ai crimini su cui stiamo indagando.
- Dannazione! Finora li avevamo tenuti alla larga.
- La situazione è cambiata. A quanto pare Jim ne ha un bel gruppetto davanti alla porta dell’ufficio dello sceriffo.
Mark ci mise appena 5 minuti per dare un rapido sguardo a diverse fonti di notizie ed emettere un primo giudizio.
- Commentano la questione di Davies e sanno della gabbia che ha in casa. Parlano dei delitti di Donna e Clara, e sostengono che gli omicidi abbiano un chiaro movente sessuale; inoltre, li relazionano a quello di Sharon Nichols, che la polizia non è stata in grado di risolvere 17 anni fa. Dicono che c’è una squadra di agenti venuti da Washington che finora si è dimostrata abbastanza inefficace – commentò, con il suo solito tono neutro.
- Fanculo! – gridai con tutto me stesso.
- Coraggio, Ethan, a Detroit hai dovuto sopportare una pressione di gran lunga maggiore – disse Liz cercando di calmarmi.
- Stronzate! Era molto diverso. Questi sono venuti qui a cercare dello sporco, e la cosa peggiore è che ne troveranno in abbondanza. Mark, vado in ufficio. Ti prego di farmi un riassunto delle stronzate che scrivono e mandamelo via mail il prima possibile.
- Buona fortuna!
Stavo già varcando la soglia con le chiavi della Spark in mano quando mi voltai per aggiungere un’ultima osservazione:
- Non una parola con nessuno, come potete immaginare. E vediamo se riuscite a farmi un bel regalo: il nome del chiacchierone che ci ha messi in questo casino. Voglio strozzare quel bastardo.
Arrivai nell’ufficio dello sceriffo in un batter d’occhio. Vicino all’entrata si ammassavano diversi veicoli parcheggiati e il maledetto furgone della CBS. Feci il giro dell’edificio e riuscii ad entrare da una porta secondaria. Mi incontrai subito con Worth.
- Deve essere stato uno degli agenti di questo ufficio! – sbraitai non appena lo vidi.
- I nostri ragazzi non sono quel genere di persone – cercò di difendersi Jim.
- Sanno tutto della cantina di Davies! Chi se non loro possono aver divulgato quell’informazione?
Worth si grattò il viso, e con un gesto della mano mi chiese di lasciargli qualche minuto per pensare.
- Credo di sapere cosa è potuto succedere. Uno dei ragazzi ha raccontato di Davies a qualcuno che passava davanti alla casa. Era delimitata dal nastro della polizia, e questo ha attirato l’attenzione di mezza contea. Poi questa persona, in cerca di notorietà, denaro o che so io, si è messa in contatto con la stampa.
- Non è del tutto assurdo, e mi piacerebbe crederle. Ad ogni modo, voglio che più tardi riunisca tutti insieme a Bowen e li avvisi che, se qualcuno dovesse aprire la bocca, se la vedrà con me.
- D’accordo. Faremo come dice, ma ora dobbiamo vedercela con il branco di rompipalle che ci aspetta qui fuori.
- Dobbiamo fare attenzione. Uscirò io e ci metterò la faccia, con lei al mio fianco. Lasci parlare me.
- Cosa gli dirà? Ci vada piano, alcuni di loro conoscono molto bene lo sceriffo Stevens e si chiederanno perché non sia lui a fare una conferenza stampa.
- È indisposto. Tutto qui. Jim, questa gente non può stare un passo avanti a noi, e ci proveranno, vedrà. Voglio solo abbassare la tensione, annoiarli un po’. Ci sono troppi crimini per concentrarsi su questo, a meno che non intuiscano di poterci tirar fuori qualcosa di succulento, capisce cosa voglio dire?
- Sì, la seguo.
- Magari si fermeranno qui uno o due giorni, per poi raccogliere le loro cose a andarsene in cerca di qualcosa di più scabroso da qualche altra parte.
- D’accordo.
- E non dimentichi una cosa: dobbiamo mantenere il maggior numero possibile di informazioni per noi, o finiranno per contaminare l’indagine. Pensano che il movente sia sessuale, per esempio, quando noi non crediamo sia così. Collegano i crimini all’omicidio di Sharon Nichols, quando noi sappiamo che è molto probabile che i delitti siano stati opera di soggetti diversi. E di certo non hanno la minima idea di un sacco di dettagli: chi ha trovato i cadaveri, che sono stati accuratamente lavati, le tracce di bicicletta, la questione del campo di granturco…
- È sicuro che siano così fuori strada?
In realtà non ne avevo la più pallida idea. Ma se la fuoriuscita di notizie, come immaginavo, era partita da un agente, era impossibile che i media sapessero molto di più. L’informazione più importante era in mano mia, di Jim, Ryan, Tom, Liz e Mark. E la verità era che nemmeno tutti loro erano al corrente al 100% delle mie scoperte. Di fatto non volevo nemmeno pensare che uno di loro potesse aver commesso l’idiozia di parlare con un giornalista.
- Me lo auguro, Jim. Me lo auguro…
Andai a metterci la faccia, rilasciando una breve conferenza stampa, accompagnato da Worth, che praticamente fece da manichino alla mia destra. I media nazionali si concentravano su questioni legate alla presenza dell’FBI nella contea e si chiedevano se i suoi cittadini avessero qualcosa da temere. Cercai di tranquillizzarli. Tuttavia, la giornalista inviata dalla CBS concentrò le sue domande sugli aspetti scabrosi del caso, come avevo ben immaginato, e dovetti gestire la situazione con delicatezza. Non volevo che gli altri canali nazionali invadessero Oskaloosa con i loro furgoni, e si dedicassero a speculare un giorno sì e l’altro pure, mettendosi in competizione tra loro per dimostrare chi fosse più aggiornato sulle ultime novità.
Una volta considerata chiusa la riunione, ricevetti la chiamata di Peter Wharton. Ricordo di aver premuto il tasto di risposta con mano tremante.
- Che cazzo sta succedendo, Ethan?
- Non lo so. Qualcuno ha parlato troppo e ora abbiamo un mucchio di giornalisti in città. Spero di annoiarli presto e che se ne tornino nelle loro maledette redazioni così come sono venuti.
- Ma non sia lei a metterci la faccia, cazzo. In ballo c’è la sua carriera e l’immagine dell’FBI. Lasci che massacrino lo sceriffo della contea.
- Peter, lo sceriffo Stevens è allontanato dal caso per una malattia passeggera, l’ha dimenticato?
Wharton tardò a rispondere alla mia domanda dall’altro capo della linea. Per lui questa era solo una faccenda in più tra l’infinità di questioni importanti che gestiva contemporaneamente.
- Mi dispiace, ha ragione. Allora si coordini con il vice sceriffo, ma che spacchino il muso a lui, d’accordo?
- Ricevuto.
- Se andrà tutto per il meglio di sicuro ci sarà tempo per farsi un sacco di foto con quella gente. Ma fino ad allora sia il più discreto possibile. E come ha giustamente detto lei, cerchi di elaborare una strategia per stancare quelle bestiacce e farle andare a montare il circo da un’altra parte.
Mi avevano insegnato a odiare la stampa. Sapevo quanto poteva essere dannosa nel corso di un’indagine. Per l’FBI era uno strumento di cui servirsi all’occorrenza, ma era così incontrollabile che la maggior parte delle volte ne entravamo in contatto solo perché rendesse pubblico il nostro magnifico lavoro nella risoluzione di un caso di enorme complessità.
- Va tutto bene? – mi domandò Jim, non appena misi via il cellulare.
- No. Spero che questa faccenda non ci sfugga di mano.
- Lei ha già esperienza con la stampa, non è vero?
- Meno di quanto vorrei. Sono imprevedibili, questo sì che me l’hanno insegnato a Quantico. A volte ti aiutano a risolvere un caso e molte altre servono solo a complicarlo ancora di più. È come lanciare in aria una moneta, e a me non piace scommettere nemmeno un soldo bucato, neanche con i miei migliori amici.
Un’ora dopo non c’era traccia dei giornalisti. Volli pensare che avevo fatto bene il mio lavoro, e che grazie alla mia dichiarazione avrebbero smesso di dare fastidio, almeno per un po’.
Già più tranquillo, decisi di dare un’occhiata alla relazione su Duane Malick che mi avevano preparato Liz e Mark. Così scoprii che i Malick si erano conosciuti all’università, anche se in facoltà diverse. Duane aveva studiato agraria, specializzandosi in sostenibilità, mentre Susan studiava commercio estero. Nonostante fossero entrambi californiani, decisero di sposarsi e trasferirsi in una contea tranquilla del centro degli Stati Uniti, in cui i loro futuri figli potessero crescere in un ambiente salutare e senza lo stress di una grande città. Trovarono la casa dei loro sogni nella piccola città di Perry, nel sud della contea di Jefferson, e all’inizio del 1995 vi si trasferirono. Duane aveva lavoro in abbondanza, consigliando gli agricoltori della zona sulle tecniche di irrigazione efficiente e concime ecologico, mentre sua moglie si dedicava alla consulenza da casa. Donna fu la prima di due figli; sette anni più tardi sarebbe arrivato il maschietto, Ron. Tutto sembrava filare liscio come la seta: una famiglia solida, stipendi stabili e alti, un bambino e una bambina, una bella casa… Ma nel 2012 Susan decise, all’improvviso, di porre fine a una relazione di diciassette anni. Cercò un lavoro il più lontano possibile, a Seattle, Washington, a quasi duemila miglia di distanza. Riprese il suo cognome da nubile, Sturm, rinunciò alla patria potestà dei figli per evitare un lungo procedimento legale e iniziò una nuova vita. Nessuno, né la sua famiglia, né i suoi amici più stretti, riuscirono a capire che diavolo fosse successo. Susan non rese le cose più semplici, rifiutandosi categoricamente di parlare del tema. Faceva visita ai suoi figli un paio di volte all’anno: d’estate e per Natale. Alloggiava a Topeka e non scambiava mezza parola con il suo ex marito. Liz era riuscita sorprendentemente a strapparle la verità. O almeno, la sua verità: nella primavera del 2012, mentre faceva ordine nella cantina della casa, intenzionata a eseguire una pulizia accurata e a disfarsi di vecchi ricordi inutili, si imbatté in una scatola di scarpe nel fondo di una cassapanca. La aprì senza esitare, pensando che al suo interno avrebbe trovato delle scarpe distrutte, conchiglie di qualche spiaggia di Long Beach o bandiere delle squadre della NFL. Ma non fu così, con suo orrore lì c’erano diverse fotografie di suo marito insieme a Sharon Nichols, in qualche zona montuosa che non riuscì a riconoscere; scontrini di ristoranti, tovagliolini, un fazzoletto profumato, dei capelli lunghi custoditi in una busta e un cellulare. Cercò un caricatore e fortunatamente riuscì a farlo funzionare. Era antico, di quelli con cui si potevano mandare solo brevi SMS. Ne conservava solo due, e dopo una breve ricerca su internet, rimase sconvolta dalla conferma che risalivano al giorno esatto della scomparsa di Sharon. Erano entrambi stati inviati dal marito quella mattina, cercava di fissare un appuntamento con la giovane per quella notte. Mostrò immediatamente a Duane la scatola e tutto ciò che conteneva. Lui ammise di aver avuto una relazione con la figlia dei Nichols, ma negò categoricamente di essere coinvolto nel suo omicidio. Le strappò di mano tutti i ricordi e, a quanto le disse il giorno seguente, se ne sbarazzò. Le chiese di cancellare tutto e ricominciare da zero, che quella era acqua passata, che erano trascorsi la bellezza di 14 anni e che non valeva la pena rivangare la faccenda. Susan, senza più nessuna prova in suo potere, restò in silenzio, cercò di resistere un mese insieme a suo marito, ma le fu impossibile. Ogni notte era assalita da incubi terribili; iniziò quindi a cercare lavoro a New York, Chicago, Miami… qualsiasi grande città che le permettesse di tenere la testa occupata. Alla fine arrivò l’opportunità: un buon impiego come responsabile del commercio estero per una compagnia di Seattle, una città relativamente piccola, per i suoi desideri, e con un clima arido e freddo. Ma il lavoro era perfetto, e lo stipendio altissimo. Non poté rifiutare. Preferì non dire niente, non rovinare la vita ai figli e al resto della famiglia e far finta che si trattasse di un impeto improvviso. Se aveva raccontato tutto questo a Liz era perché lei l’aveva chiamata, e perché la morte di Donna aveva risvegliato i suoi peggiori deliri. Duane, da parte sua, era stato un padre esemplare, e un lavoratore instancabile. Non c’erano lamentele sul suo comportamento nella comunità; al contrario, era sempre disposto a dare una mano da qualche parte. Addirittura a volte, quando un agricoltore passava un brutto periodo, offriva gratuitamente i suoi servizi. Per quanto si sapeva, non aveva alcuna relazione sentimentale e si concentrava su Donna e Ron.
Quando finii di leggere la relazione mi sentii esausto e confuso, come succedeva spesso dal mio arrivo a Jefferson. Ricordai il consiglio del mio capo e telefonai a Tom, per assegnargli un incarico adatto alle sue attitudini.
- Che bello ricevere la tua chiamata, capo!
- Dove sei?
- Con Ryan, mezzo sperduti in questi benedetti sentieri. Se non altro ho passato la giornata a bere caffè fatto in casa, e a mangiare torta di mele e pasticcini all’avena appena sfornati.
- Avete scoperto qualcosa?
- Non molto. Nessuno ricorda di aver visto una macchina strana il giorno della scomparsa di Donna.
- Strana? Che diavolo significa? – esclamai, nervoso, e senza voglia di perdere tempo con le sciocchezze con cui a volte si divertiva Tom.
- Secondo loro, qualsiasi veicolo che attirasse l’attenzione. Di solito notano ciò che non conoscono, i forestieri, come dicono loro. Se è di qualche abitante della zona non gli prestano troppa attenzione.
- Quindi – mormorai, quasi sospirando, - almeno sappiamo che chiunque si sia incontrato con la ragazza, se la nostra ipotesi è corretta, era di queste parti.
- Questo è certo, perché qui passa una macchina sconosciuta ogni morte di papa, e se ne sarebbero accorti tutti. Inoltre, non credo che qualcuno che non conosce bene queste strade sabbiose si azzardi a percorrerle.
- Bel lavoro, Tom. Volevo assegnarti un nuovo compito…
- Capo, non puoi vivere senza di me.
- Lo so, per questo ho chiesto a Wharton che mi lasciasse portarti con me, per quanto tu gli stia antipatico.
- Questo mi ha fatto male - rispose, sbellicandosi.
- Voglio che continui a spettegolare in giro, specialmente a Perry e a Grantville. Mi piacerebbe saperne di più su Clara e Donna. I loro gusti, le loro passioni, che tipo di amici avevano, cosa volevano fare delle loro vite, hai capito…
- Tranquillo. Certo però, quando torneremo a Washington, mi dovrai pagare sei mesi di personal trainer.
- Perché mai?
- Per recuperare il mio fisico atletico: le vecchiette mi stanno rimpinzando come solo la mia nonna materna faceva, pace all’anima sua.
- Tom… vai al diavolo!
Riagganciai, senza riuscire a cancellarmi un sorriso dal volto. Era incredibile che un agente sfacciato e imprevedibile come lui si rivelasse così tremendamente utile in qualsiasi indagine. Detestavo molti aspetti del suo carattere, ma se mi avessero permesso di restare nell’FBI, avrei contato su di lui per sempre.
Un po’ più sollevato, prima di abbandonare l’ufficio dello sceriffo, feci una chiamata a Patrick Nichols. Era arrivato il momento di affrontare una sfida che non mi aveva portato fino in Kansas, ma che era riuscita a trasmettermi felicità e soddisfazione.
- È libero dopodomani?
- Per andare insieme a Lawrence?
- Sì! Dimostreremo a quelli dell’ora delle tartarughe di cosa sono capace! – esclamai, euforico.
- Conservi le energie, voglio che si risparmi per la pista.
- Quindi, siamo d’accordo?
- Certo, le avevo detto che avrei aspettato la sua telefonata con le scarpe da ginnastica ai piedi. Queste 48 ore saranno lunghissime.
- Anche per me. Mi creda se le dico che ho bisogno di fuggire un po’ da questo posto.
- Ci divertiremo. Quell’impianto sportivo è magnifico, le piacerà. A dopodomani – disse Nichols prima di riagganciare.
Tornai alla casa di Oskaloosa e non trovai Liz e Mark da nessuna parte. Sulla porta della cucina c’era un post-it fucsia con un messaggio: siamo andati a mangiare alla tavola calda. Frugai nella credenza e finii per mangiare il solito menù di quando ero solo: un barattolo di fagioli al pomodoro accompagnati da del purè, il tutto scaldato al microonde. Era la mia specialità culinaria, e la mia dieta a Quantico, quando non mangiavo in qualche ristorante.
In quello stato di solitudine e relativa tranquillità, mi decisi a leggere l’ultima delle tre pagine che avevo nascosto e che erano state strappate dal diario di Sharon Nichols. Pensai che potessero contenere qualcosa di interessante, come un nesso con Duane Malick. Salii nella mia stanza e riaprii i fogli con la stessa attenzione di sempre: continuavo a considerarla un’intrusione nell’intimità di una giovane che aveva perso la vita in modo orribile. La mia crescente amicizia con Patrick, così come il fatto di tenere quell’importantissima informazione nascosta a tutte le persone coinvolte nel caso, a eccezione di un frammento condiviso con Liz, aumentavano la sensazione di violare ingiustamente i segreti di qualcuno.
Forse se fossi stato un semplice agente, o un detective, quel senso di colpa non avrebbe nemmeno sfiorato la mia mente, ma la mia formazione da psicologo a volte mi giocava brutti scherzi. L’empatia verso le vittime ha dei lati positivi e negativi, e non sempre è facile saperli gestire nel modo giusto.
Iniziai a leggere, e nel farlo il mio cervello riconobbe la scrittura di Sharon come quella di qualche parente lontano. Era strano. Riportava la data del giorno precedente alla sua scomparsa. Ancora una volta, dopo aver raccontato alcune stupidaggini su una compagna dell’Università del Kansas, arrivava alla parte più interessante. Menzionava X, dicendo che era la persona che amava davvero. Nessuno l’avrebbe capita, e per questo era giusto prendere una decisione drastica. Con il tempo tutto si sarebbe aggiustato, e probabilmente un giorno o l’altro sarebbe tornata a casa. Certo, molte persone non glielo avrebbero mai perdonato. Alcune perché si sarebbero sentite tradite, giustamente, e altre per antipatia. Una frase mi lasciò con il foglio tremante tra le mani: “Sì, dovremo lasciar passare qualche anno prima di tornare. Qualcuno sarebbe capace di uccidermi con le sue stesse mani se sapesse cosa sto per fare”.