Capitolo XXIV

 

Quando arrivai alla casa che ci aveva fornito la contea, trovai Liz e Mark nel salone, sembrava stessero aspettando da un po’. Di ritorno dalla tavola calda avevo avuto il tempo di schiarirmi la mente e riordinare le idee. Nonostante tutto, sentivo che ci eravamo appena infilati in un vicolo cieco di quelli da cui non è facile uscire indenni.

- Avete divorato tutti gli hamburger che c’erano nel ristorante? – domandò Liz, appena mi vide attraversare la porta.

- La chiacchierata è durata più del previsto. Come immaginavo, Stevens era l’oggetto dei sospetti di Worth. A voi com’è andata?

- Le libellule sono identiche. Confermato – rispose prontamente Mark.

Mi sedetti, o meglio, stramazzai su una delle comode poltrone. A volte il mio lavoro sembrava l’avventura più appassionante che potessi vivere, ma altre, il peggior incubo che potessi immaginare.

- Come ha reagito?

- Era stupito. Non gli abbiamo portato le libellule che ha trovato Nolan, solo una loro fotografia su un foglio bianco. Abbiamo raccolto altri insetti nei pressi del lago, li abbiamo fotografati allo stesso modo e gli abbiamo chiesto una mano. Mark gli ha detto che era necessario, che anche in altre indagini avevamo schede con gli insetti della zona – disse Liz.

- Accidenti, e si è bevuto questa stronzata?

- Non lo so, ma ci ha offerto la sua collaborazione senza fare storie. Ethan, sembrava molto rilassato, anche quando ha dovuto confrontare le foto delle libellule.

- Non l’ha sorpreso il fatto che vi siate rivolti a lui?

- In un certo senso sì – rispose Mark. – Gli ho spiegato che, cercando un entomologo su Internet, avevo trovato il suo nome. Ci ha detto di conoscere un tizio a Lawrence che ci sarebbe di maggior aiuto, ma gli abbiamo risposto che preferivamo non aspettare e avevamo fiducia in lui. Non era una questione importante, ma se in futuro avessimo avuto bisogno di un entomologo vero ci saremmo recati con lui all’Università del Kansas.

- Quindi bisogna andare a parlare con Vera Taylor. Dobbiamo scoprire dove è stata scattata quella fotografia.

- Concordo pienamente. Inoltre, Ethan, ho l’impressione che lo sceriffo non abbia niente a che fare con le libellule. Era troppo a suo agio mentre le confrontava.

- Forse ho dato troppa importanza alle maledette libellule. Magari sono cadute a un’altra persona, o si trovavano lì da chissà quanto – farfugliai, infastidito, perché in parte desideravo che Stevens fosse rimasto perplesso nel vedere che stavamo studiando le libellule.

- Le libellule sono importanti, di sicuro – disse Liz categorica. – In primo luogo perché visto lo stato in cui le ha trovate Nolan, non potevano trovarsi lì da troppo tempo. E in secondo luogo perché, e qui mi baso sulle tue teorie sulle casualità, è una coincidenza troppo grande che gli stessi insetti che compaiono su una fotografia di 17 anni fa vengano ritrovati oggi nello stesso posto dove è stato trovato il cadavere di Donna. Le probabilità che non esista alcun nesso sono minime.

- Ma questo ci porta a pensare che, come sostiene Stevens dall’inizio, tutto ciò sia opera di uno stesso assassino. E per noi, nello specifico, il principale sospettato secondo questa teoria… è lui! – esclamai, esasperato.

- La verità è che se i crimini sono stati commessi dallo stesso soggetto stiamo scartando un bel mucchio di persone, come ad esempio Liam Moore. È anche possibile che le libellule non siano state perse da Stevens, ma da un’altra persona.

- Non rompere, Mark! Quale altra persona?

- Qualcuno che faceva un giro in bici in quella strada, ha pensato di vedere qualcosa di strano, si è avvicinato fino al fossato e scoprendo il corpo di Donna è scappato terrorizzato perdendo le libellule nel trambusto – mormorò Mark, che notava quanto fossi stanco e non ragionassi con la solita agilità.

- E chi diavolo si porta appresso in bicicletta due libellule che si trovano in una foto che delle amiche si sono fatte quasi vent’anni fa?

- Vera Taylor.

Guardai Liz, che annuiva debolmente. Sebbene del tutto assurda, era comunque una possibilità.

- Quindi Stevens ha ucciso Sharon, e non ne sappiamo il motivo; magari aveva una relazione anche con lei. All’epoca era già sposato, aveva figli e quella relazione sarebbe stata comunque uno scandalo. E dopo 17 anni uccide Clara e Donna; inoltre sembra che la migliore amica di Sharon, che passava in quella zona, dimentichi due libellule che si trovano in un quadro. Sinceramente, è una grossa stronzata!

- Ethan, stiamo ipotizzando. Abbiamo bisogno di fare questi esercizi per arrivare alla verità – disse Mark. – Abbiamo poche prove, possiamo contare solo su alcuni testimoni qua e là, per cui dobbiamo spremerci per bene le meningi.

- D’accordo. Andrò a parlare con Vera Taylor. Dobbiamo assicurarci che lei avesse le libellule, e se è così, che le abbia perse nel lago quando ha trovato il cadavere di Donna e che non abbia avvisato la polizia perché troppo spaventata. D’altro canto, non possiamo permettere a Stevens di avere ampio margine d’azione. Per quanto sia una seccatura, dovrò telefonare a Peter Wharton.

In quel momento suonò il campanello della porta. Liz andò ad aprire e tornò accompagnata da Patrick Nichols, già equipaggiato per andare a correre.

- Vi interrompo? – domandò, vedendo il tavolo del salone pieno di fogli e computer, mentre io ero ben accomodato nella poltrona e con ancora la giacca indosso. – Ethan, se vuole, oggi saltiamo l’allenamento e ci vediamo domani.

Mi alzai con un balzo. L’ultima cosa che volevo era perdere l’opportunità di correre un po’ lì intorno. Il mio corpo ne aveva bisogno, e così la mia mente.

- Neanche per sogno, mi ero solo distratto. Ragazzi, potete continuare senza di me? In poco più di un’ora sarò una persona completamente nuova.

- Vai, ti aspettiamo qui – disse Mark, con il tono di una madre che permette al figlio che va a ballare, di tornare più tardi del solito.

Salii i gradini che conducevano al secondo piano due alla volta, entrai nella mia stanza e mi cambiai in meno di cinque minuti. La sola idea di uscire a correre un po’ era già riuscita a dissipare i nuvoloni scuri che circondavano il mio cervello.

- Pronto! – esclamai, comparendo nel salone in pantaloncini, maglietta in tessuto dry-fit e scarpe da ginnastica.

- Che velocità, Ethan. Alla fine sembra davvero che il signor Nichols stia facendo di te un vero atleta – disse Liz, scoppiando a ridere.

Io e Patrick percorremmo quasi cinque miglia senza dire una parola. Seguivamo un ritmo indemoniato, e per la prima volta ero io a condurre, invece di lasciarmi trascinare da lui. La rabbia è uno dei carburanti più potenti che abbia mai conosciuto.

- Ci riposiamo? – chiese Nichols, quando considerò che più prima che poi mi sarei arreso.

- Solo perché lo dice lei. Avrei continuato alla stessa velocità ancora per almeno un paio di miglia – risposi, sorridendo, con il fiato corto.

Ci lasciammo cadere vicino a uno splendido campo di girasoli. Con l’avanzare della primavera le piante acquisivano grandezza e bellezza.

- Presto questi girasoli ci regaleranno uno spettacolo favoloso. Sapeva che il Kansas è conosciuto come lo Stato dei girasoli? – chiese Patrick, mentre mi porgeva una delle bottiglie.

- Non ne avevo idea. Pensavo fosse famoso per il frumento e il mais.

- Beh, anche. In queste terre cresce di tutto, e bene. Ha avuto una brutta giornata, o sbaglio?

- No, non sbaglia. Ho avuto una serata da cani. Avevo bisogno di uscire ad allenarmi con lei come mai da quando sono arrivato a Oskaloosa.

- La capisco perfettamente. Io ho fatto come lei: ho smesso di praticare l’atletica per un po’ di tempo. Mi richiamava troppi ricordi e ciò di cui avevo bisogno era dimenticare, capisce?

Annuii. Pensai a Sharon e ricordai immediatamente il sorriso ampio e amichevole di mio padre.

- Più di quanto possa immaginare…

- Ma una sera, non so come né perché, ho indossato le mie vecchie scarpe da ginnastica e ho ripreso a correre. L’ho fatto per un’ora. Tornando a casa ero sfinito e mi facevano male le ginocchia come se me le avessero prese a mazzate. Dopo una doccia sono andato a dormire. In quel momento mi sono sentito l’uomo più felice sulla faccia della Terra. Avevo capito che smettere di correre non mi aveva minimamente aiutato a dimenticare, né a stare meglio. Capii che ciò che dovevo fare per guarire, per così dire, era esattamente uscire a correre ogni volta che potevo.

Mentre ascoltavo Patrick raccontare la sua esperienza, non potei fare a meno di emozionarmi, e qualche lacrima scivolò sulle mie guance. Mi sentii ridicolo e mi voltai perché non mi vedesse piangere come un bambino.

- Ethan, non si vergogni di niente. Magari potessi piangere come lei sta facendo ora. Arriverà presto l’estate, e magari allora, se sarà ancora qui, ci emozioneremo insieme qualche sera mentre correremo circondati da questi campi di girasoli.

Tornammo a Oskaloosa a passo più tranquillo. Avevo ancora molte cose da fare quel giorno e si stava facendo tardi. Volevo farmi una doccia, telefonare a Quantico e parlare, anche solo per qualche minuto, con Tom.

Quando entrai in casa la trovai vuota. Immaginai che la squadra fosse andata a cenare. Anche loro avevano bisogno di distrarsi un po’ e staccare dal caso per qualche ora. Mi feci una doccia bollente, che terminai con un getto d’acqua fredda per riattivare la circolazione e placare il dolore dei miei muscoli malandati, che avevo sforzato eccessivamente. Una volta riposato, composi controvoglia il numero di Wharton. Fortunatamente sapevo che il mio capo lavorava tutti i giorni fino a notte inoltrata.

- Peter, sono Ethan, ha un minuto?

- Certo, che è successo?

Mi infastidì il fatto che da subito avesse intuito che non avevo niente di buono tra le mani e che avrei avuto bisogno del suo aiuto per affrontare la cosa. Lo aggiornai su tutti i nostri progressi e gli riferii i nostri sospetti sullo sceriffo Stevens.

- Non avete ancora niente di concreto. Solo indizi che meritano di essere approfonditi, ma non manderemo all’aria la carriera di uno sceriffo con molti anni di servizio senza pensarci due volte.

- Sono d’accordo, ma volevo che fosse informato. È una situazione delicata.

- Vuole coprirsi le spalle nel caso in cui la faccenda si complichi?

- No, Peter. Volevo sapere se fosse giusto allontanare lo sceriffo dal caso e rivolgersi alla gente di Topeka o se al momento fosse meglio far finta di niente.

- Era una battuta, Ethan. Ha fatto la cosa giusta. Aspettiamo. A quanto mi ha detto, state ancora muovendo i primi passi e sta considerando diversi sospettati. Non mi piace per niente il fatto che Stevens le abbia nascosto la sua storia con la ragazza, perché questo lo collega direttamente al caso, anche se alla fine dovesse risultare innocente. D’altro canto è comprensibile. Se gli indizi continuano a puntare verso di lui, per non dire se dovesse trovare qualche prova incriminante, me lo faccia sapere immediatamente. In quel caso dovremo agire senza pensarci due volte.

- Ricevuto.

- Come è messo con il profilo?

- Male. Abbiamo a mala pena dei dati per costruire qualcosa di minimamente attendibile. Crediamo che viva nella zona, che sia un cacciatore, anche se non escludiamo possa essere un pescatore, quoziente intellettivo alto, organizzato, certo grado di formazione o esperienza in criminologia, di mezz’età, ben inserito nella comunità e probabilmente molto rispettato. È anche possibile che uno dei suoi hobby sia l’entomologia.

- Qualche disturbo mentale?

- Ancora niente di specifico. Al momento non abbiamo trovato il minimo indizio che punti in qualche direzione.

- Non starà suggerendo che si tratti di omicidi razionali… - disse Peter con stupore.

- No. C’è uno schema abbastanza evidente: giovani intorno ai 18 anni d’età, sesso femminile, pulizia dei cadaveri, modo di uccidere la vittima, abbandono dei corpi in uno stesso luogo…

- Ethan, si concentri sul profilo. Ha avuto successo a Detroit perché è stato in grado di creare un profilo praticamente perfetto, che ha permesso alla polizia di trovare l’assassino e metterlo dietro le sbarre. Questa è la sua grande dote.

- Qui non è così semplice. Non sono nemmeno sicuro di avere di fronte un assassino seriale. È possibile che tre soggetti diversi abbiano ucciso Sharon, Clara e Donna. A Detroit, per quanto fosse scoordinato il dipartimento di polizia, non ci ho messo molto a capire che si trattava di una stessa persona. Inoltre, c’erano molte vittime e prove che mi hanno permesso di servirmi di Mark per perfezionare il profilo con relativa facilità.

- Confido in lei – disse Wharton, salutandomi, prima di riagganciare.

Restai ancora un attimo seduto sul letto, con il cellulare sorretto appena dalla punta delle mie dita. Sentivo che la mia carriera professionale, il mio brillante futuro, pendevano da un fragile filo, come il caro telefono che stava in equilibrio sulla mia mano, pronto a cadere in terra.

- Capo, finalmente ti ho trovato.

Le parole di Tom mi strapparono dal sogno ad occhi aperti in cui mi ero sommerso, probabilmente per più tempo di quanto potessi immaginare. Guardai verso la mia mano destra e scoprii con sollievo che reggeva il telefono con forza.

- Stavo parlando con Quantico. Avete già cenato?

- Sì – rispose Tom, che sicuramente non era venuto nella mia stanza per raccontarmi i dettagli dello spuntino serale. – Capo, ascolta, ho qualcosa di interessante. A Liz è venuta la pelle d’oca.

- Un’altra bella giornata di caffè, paste e torte con le vecchiette della contea? – domandai, ancora in preda al turbamento che la conversazione con Peter aveva instillato nella mia mente.

- Quello è scontato, mi conosci. Ora, seriamente: indovina a cosa si dedica Matt Davies nel tempo libero?

Sentire il nome del guardiano mi fece rivoltare lo stomaco. Il fatto di non aver cenato probabilmente mi evitò di correre in bagno a vomitare.

- Sorprendimi – risposi, aspettandomi di tutto da quell’uomo sinistro di cui non riuscivo a dimenticare lo sguardo enigmatico.

- Ripara parti metalliche! – esclamò, come se avesse appena vinto alla lotteria.

Guardai Tom a lungo. Mi faceva di nuovo male la testa. Gli effetti benefici della mia corsa insieme a Patrick erano già svaniti. Pensavo senza troppa chiarezza, e nel mio infinito egoismo in quel momento mi preoccupava solo una cosa: non deludere Peter Wharton. Se lo avessi fatto avrebbe smesso di considerarmi come il suo pupillo più brillante, come la grande speranza bianca dell’Unità di Analisi Comportamentale dell’FBI.

- Sono un po’ ottuso, scusami. Ho bisogno che ti spieghi meglio.

- Accidenti, capo – borbottò Tom, deluso. – Quel tizio ha una specie di laboratorio clandestino nella cantina di casa sua, a quanto mi hanno detto, dove galvanizza parti metalliche, come portachiavi, spille, insegne e altre cianfrusaglie che gli porta la gente di tanto in tanto. In questo modo si fa dei soldi extra per arrivare a fine mese.

- E quindi? Cosa c’è di male in questo? – domandai, senza capire l’enorme eccitazione che mostrava il mio collega.

Tom si sedette sul letto affianco a me, come se dovesse spiegare qualcosa a un bambino di sei anni e non a un adulto che era responsabile di un gruppo d’élite, addestrato a risolvere degli omicidi.

- Non è sempre così, ma probabilmente avremo bisogno di un mandato di perquisizione per accertarci che sia questo il caso. E tarderanno a consegnarci quel maledetto mandato, perché qualche giudice penserà che non ci siano motivi sufficienti. Il punto è che per il processo di galvanizzazione, molta gente usa un determinato composto chimico che guarda caso è relazionato con i crimini su cui stiamo indagando.

Improvvisamente si fece luce nella mia testa sbadata. Avevo diverse scuse per giustificare la mia distrazione: le mie scarse nozioni di elettrochimica, la lunga chiacchierata con Jim, la corsa sfiancante con Patrick, e per concludere la giornata, la mia recente conversazione con Peter; ma preferii fare come gli alunni diligenti e rispondere prontamente senza aggiungere alcuna scusa.

- Cianuro di potassio…