Capitolo XXIX

 

Il sole era sorto raggiante, eppure sentivo i postumi di una notte dura, che mi aveva lasciato un retrogusto terroso in fondo alla gola.

Era già tardi quando mi alzai, ma nonostante tutto indossai le scarpe da ginnastica e la tenuta sportiva e andai a casa di Patrick Nichols, con la speranza che avesse voglia di accompagnarmi in una rapida corsetta di 4 miglia: quanto bastava perché l’aria fresca del mattino infondesse ai miei polmoni ossigeno e rinnovata energia. Accettò immediatamente, anche se capì subito che lo volevo solo per correre in compagnia, perché durante il tragitto quasi non spiccicai parola. Lo salutai ringraziandolo e promettendogli che il giorno successivo sarei stato meglio, e che avremmo realizzato un allenamento come si deve.

Al mio rientro a casa trovai tutta la mia squadra che lavorava nel salone. Liz indossava gli stessi vestiti di quando l’avevo lasciata, per cui dedussi che non avesse dormito.

- Com’è andata?

- Una notte e una mattina lunghe e sfiancanti. Le macchie erano di sangue umano, ma ora dobbiamo scoprire a chi appartenevano. Ho già ordinato che vengano confrontate con i campioni di DNA di Clara e Donna.

- E gli altri resti biologici?

- Urina, vomito, escrementi… Il paradiso del sudiciume.

Ero piuttosto stanco, e sentii un conato improvviso. Solo immaginare quelle povere ragazzine rinchiuse il quella cantina schifosa mi faceva venire la pelle d’oca.

- E i barattoli con il sale?

- Cianuro di potassio. Avevi ragione. Ne ha due boccette, anche se è stato contaminato con altre sostanze. Ma è cianuro.

- Lo sapevo. Esiste un maledetto modo di sapere se è lo stesso utilizzato per uccidere Clara e Donna?

- Ci proveremo, ma non farti troppe illusioni.

A quel punto non sentivo ragioni, e l’unica cosa che desideravo era che trovassimo qualcosa, anche solo un capello di una delle ragazze, che rafforzasse in modo solido quelli che fino a quel momento erano solo indizi.

- Mi dispiace fare il guastafeste, ma dopo aver passato la notte in bianco sono giunto alla conclusione che quel posto non combacia per niente con lo stato in cui sono stati trovati i corpi delle ragazze – disse Tom, senza guardarmi negli occhi, come se temesse la mia reazione.

- Cosa stai cercando di dire? – domandai, con tono di sfida.

- Ethan, anche io la penso come lui – si fece avanti Liz. – I cadaveri non presentavano alcun segno di violenza, né il minimo graffio. Erano puliti, quasi immacolati…

- E allora? Non significa niente. Al momento abbiamo messo in gabbia un tizio così strambo da avere una specie di catacomba con una gabbia scavata nel pavimento di casa sua, che conosceva Clara e importunava Donna.

- Hai tutte le ragioni, e per questo confronteremo i campioni di DNA trovati. È possibile che sia un assassino seriale con più omicidi alle spalle di quanti immaginiamo, e quel sangue magari appartiene ad altre vittime, non saprei – aggiunse Liz, preoccupata.

- Dovremmo scavare nella proprietà, o almeno utilizzare un GPR per scartare la possibilità che ci siano dei corpi seppelliti lì sotto – disse Tom.

Un GPR, o georadar, è uno strumento usato principalmente per studiare le proprietà di un determinato suolo, ma che negli ultimi anni è stato spesso impiegato nell’analisi forense per la ricerca di resti umani sepolti a poca profondità.

- Hai ragione, vorrei che te ne occupassi. Non si sa mai quello che potremmo trovare in quel maledetto posto.

- Ethan, mi dispiace interrompere, ma Bowen ti sta aspettando da un pezzo nell’ufficio dello sceriffo per interrogare Davies. Non vuole fare un passo senza la tua approvazione – disse Mark, mentre batteva incessantemente sulla tastiera del suo computer portatile.

- Certamente, vado subito. Nel frattempo, mi piacerebbe avere una relazione dettagliata su Duane Malick per stasera. Organizzatevi come ritenete opportuno.

- Capo, l’hai già affidata a Jim, ricordi?

- Sì. Ma ne voglio una vostra.

Mi trovavo già sull’uscio quando la voce di Liz, che suonò come quella che usava durante il breve periodo che abbiamo condiviso come coppia, mi fermò di colpo:

- Ethan, credo che dovresti farti una bella doccia e metterti un completo.

Venti minuti dopo mi trovavo insieme a Bowen nella stanza degli interrogatori dell’ufficio dello sceriffo. Dall’altra parte del tavolo ci osservava un apparentemente rilassato Matt Davies.

- È già arrivato il suo avvocato? – domandai, rivolgendomi a Ryan.

- Non ne ha chiesto uno – rispose il vice sceriffo, sollevando un sopracciglio.

- Signor Davies, accetta di sottoporsi a questo interrogatorio senza la presenza di un avvocato?

- Al momento non ne ho bisogno. Non ho niente da nascondere. L’avete fatta grossa, ma se mi liberate, dimenticherò presto l’incidente.

- La notte scorsa non sembrava così ragionevole.

Il guardiano non era ammanettato, e per quanto ne capissi le ragioni, non potevo evitare di essere inquietato dalla cosa. Mise le sue grandi mani sul tavolo, i palmi rivolti verso l’alto.

- Mi avete spaventato a morte. So che tutto questo è opera sua, perché né a Jim né a Ryan sarebbe mai passato per la testa di comparire in quel modo nella mia proprietà. Ero fuori di me, e non sapevo quello che dicevo.

Rivolsi istintivamente lo sguardo verso la telecamera che stava registrando quella conversazione, per assicurarmi che funzionasse correttamente. Non volevo avere ulteriori problemi in futuro.

- Perde facilmente le staffe?

- Andiamo… non mi prenda per il culo!

- Signor Davies, lei è un guardiano, ha ricevuto una certa formazione sul nostro modo di lavorare. Conosceva le due ragazze e abbiamo trovato cianuro di potassio nel suo laboratorio clandestino, questa sostanza le suona familiare?

- Io non ho ucciso quelle ragazze. E il cianuro di potassio ha molti impieghi. Io lo uso per la galvanizzazione della bigiotteria e di altri ornamenti. Chiunque abbia una minima conoscenza dell’elettrolisi le confermerà che non è una cosa insolita. Lo faccio da anni, può chiedere a tutta la contea.

- Per questo l’ha usato: guarda un po’, questo composto che mi è così utile a quanto pare è anche un favoloso veleno.

Matt si grattò la fronte con le mani. Stava facendo uno sforzo per non perdere la calma e iniziare a gridare come un pazzo. Lo percepivo, e lui sapeva che io ero in agguato, aspettando quel momento.

- Magari qualcuno mi vuole incastrare, non ne ho idea. Cercate delle mie impronte o tracce sulle ragazze, cercate tutto quello che ritenete giusto in casa mia, ma non troverete niente che mi colleghi a quei crimini orrendi.

- Signor Davies, è cosciente dell’impressione che fa la sua tenuta? Pali con crani di bufalo ficcati sopra, una staccionata con brandelli di vestiti da tutte le parti…

Il guardiano abbassò la testa e la scosse, come a negare. Quando la sollevò aveva gli occhi leggermente umidi.

- Tutto questo ha una spiegazione. Sta prendendo un granchio, non sono io il suo uomo; ma son certo che frugherà nella merda che tutti abbiamo nel nostro passato, se ne compiacerà e solo allora sarà soddisfatto.

- Matt, credo che non sia nella condizione di fare la predica a nessuno. Abbiamo visto la cantina con la gabbia, e stiamo ancora tremando di paura. Capisci che ti sei cacciato in un bel casino? – intervenne Bowen, in tono quasi amichevole, cosa che mi infastidì ma che accettai imperterrito.

- Ryan… era tutto per mia madre, cazzo, mia madre! Negli ultimi anni aveva perso completamente la testa. È stata lei a piazzare quei maledetti pali e a metterci sopra quei teschi! È stata sempre lei a fare a brandelli i suoi vestiti e a ficcarli nella staccionata. Era terrorizzata, diceva che così avrebbe tenuto Satana lontano da noi, e che se non ci fosse riuscita sarebbe finita all’inferno.

Davies scoppiò a piangere. Vedere quel tipo duro e sgradevole gemere come un bambino era uno spettacolo sconcertante.

- Matt, non penserai davvero che crederò anche che è stata sua madre a scavare il pavimento di casa tua e a costruire quella gabbia?

- Vuoi davvero che ti racconti tutto? Credi davvero che sia stato capace di uccidere Clara e Donna?

- Sappiamo che importunava Donna. Lei si era stufata e lo aveva confessato a un’amica. Magari faceva lo stesso con Clara, e non ha sopportato che entrambe le avessero dato il due di picche. Così ha perso anche lei la testa, come sua madre – suggerii, stabilendo un nesso crudele, ma solitamente efficace.

- Lei è un miserabile. Non sa niente di me, non sa niente della mia vita e si permette di sputare sentenze. Di sicuro è cresciuto nella bambagia, e tutto quello che vede qui le fa schifo, perché non capisce un cazzo.

Ero tentato di rispondergli che mi ero laureato in psicologia a Stanford, che ero a Quantico da qualche anno e che avevo risolto, a dispetto dei miei trent’anni, un complesso caso di omicidi plurimi. Ma rispondergli avrebbe significato mettermi al suo livello, fare il suo gioco e dimostrare che in fondo ero esattamente come lui immaginava. Mi contenni. Non gli dissi nemmeno che Worth mi aveva informato della sua pessima vita.

- Sta evitando la domanda: perché infastidiva Donna Malick?

- Quella ragazza mi piaceva, lo ammetto. Facevo svariate miglia solo per parlare un momento con lei. So che è un’idiozia, avevamo trent’anni di differenza. Non creda sia così facile trovare una ragazza single in questa contea. Donna era maggiorenne, non stavo facendo niente di illegale. Io non la infastidivo, come dice lei. Andavo solo a trovarla, pagavo la benzina e me ne andavo, nient’altro. E giuro che non mi sono mai avvicinato a Clara. Era una collega di lavoro, tutto qui. La vedevo ancora come una bambina, perché la conoscevo da quando era adolescente, immagino…

- Matt, spiega la questione della cantina – disse Ryan, che stava accettando la versione di Davies.

- L’ho costruita io stesso. Mia madre era diventata in qualche modo pericolosa. Quando non c’ero usciva nuda in strada, gridava contro i vicini o passava il tempo a rompere delle cose in casa. Un incubo.

- È stato allora che hai deciso di rinchiuderla in quel posto ripugnante?

- Solo quando non ero in casa, quando ero di turno al Perry State Park. Non volevo che la rinchiudessero in un ospedale psichiatrico. Ne ho visitato uno su consiglio dello psichiatra che ci aveva ricevuto una volta a Topeka, e ne sono uscito schifato. La cantina che avete scoperto è un porcile, ma almeno era casa sua. La notte passeggiavamo insieme sulla riva del fiume Delaware, cosa che non avrebbe potuto fare mai più chiusa in un manicomio. Non sono la persona con il passato più pulito del mondo, ma da lì a pensare che sia diventato un assassino c’è una bella differenza.

Davies aveva una spiegazione solida e ben costruita per ogni nostra domanda. Per me ogni risposta rappresentava un pugno alla bocca dello stomaco.

- Se tutto ciò che ci sta raccontando è la verità, in quella cantina troveremo solo il DNA di sua madre – affermai, con durezza.

- È così. Nessun altro ci ha mai messo piede. Beh, a parte le galline che le lasciavo di quando in quando…

- Galline? Perché ci mettevi delle galline? – domandò Bowen, sporgendosi in avanti.

- È che… Merda… Mia madre le uccideva. Torceva loro il collo e poi le spennava. Una volta ne mangiò quasi una intera… cruda.

- Perché lo faceva?

- Ve l’ho già detto. Pensava fossero dei sacrifici che l’avrebbero tenuta lontano dall’inferno. Come ve lo devo spiegare? Non ci stava con la testa!

Il vigilante scoppiò di nuovo in lacrime. Non fingeva, piangeva sul serio, come può farlo solo chi ha vissuto un trauma devastante.

- Per il momento è tutto. Verificheremo quanto ci ha raccontato. Se dovessi trovare nella sua proprietà anche solo una ciglia, o qualsiasi altra cosa che la colleghi a Clara o Donna… si consideri fottuto – sentenziai.

Un agente riportò Davies in cella, lasciando me e Bowen soli nella stanza degli interrogatori.

- Lo rilascerà? – domandò Ryan.

- Neanche per sogno. Quando Liz avrà finito di analizzare la casa e avremo tutti i risultati ci penserò. Nel frattempo lo terremo rinchiuso.

- Io gli ho creduto completamente. È difficile che ci stesse mentendo.

Corrugai la fronte. Il vice sceriffo aveva ragione, e la cosa mi mandava in bestia, perché provavo sempre più ansia, più voglia di chiudere il caso. Solo immaginare che un sospettato che sembrava così evidente potesse dissolversi come niente fosse mi lasciava completamente sconvolto. Il vigilante era sembrato sincero anche a me.

- Non voglio essere precipitoso. È evidente che Davies non è farina da far ostie, perciò aspetteremo degli sviluppi. Maledizione, Ryan, non c’è nessuno di lontanamente normale in questa contea?

Bowen mi rivolse uno sguardo carico di perplessità, per poi rispondermi offeso:

- Lei è qui solo da qualche settimana, e non è venuto esattamente in vacanza. Sta appena iniziando a conoscere le persone relazionate a due crimini orrendi, in una contea in cui gli abitanti possono lasciare la porta di casa aperta. Jefferson è piena di gente meravigliosa, quindi non mi infastidisca. Si possono trovare più delinquenti in un quartiere della sua amata San Francisco che in tutta la nostra contea.

Mi abbandonai sul tavolo della stanza degli interrogatori. Avevo dimenticato la telecamera accesa, perciò allungai un braccio per schiacciare il tasto di spegnimento.

- Mi dispiace, sono un coglione, sul serio. Pensavo avessimo già risolto il caso, e ora ho dei dubbi. Desidero solo che Liz ci porti delle prove convincenti e che possiamo chiudere questa faccenda una volta per tutte, per il bene di tutti noi.

Bowen si mostrò d’accordo con me. Anche lui era sfinito e sottoposto a una forte pressione emotiva. Restammo in silenzio a riflettere finché il ronzio del mio telefono mi fece sobbalzare. Era Liz. Speravo mi stesse chiamando per darmi buone notizie.

- Hai già i risultati?

- No, Ethan. Ti sto chiamando perché ho scoperto qualcosa su Duane Malick. Ho parlato con sua moglie, Susan Sturm. Tra quello che hanno registrato le telecamere notturne e questo, credo che non ci resti altra scelta se non interrogare quel tizio.

- Che diavolo hai scoperto? – domandai, impaziente.

- Sua moglie dice che divorziò da lui perché scoprì che aveva avuto una relazione con Sharon Nichols.