Capitolo XXII
La lista dei conoscenti comuni a Clara e Donna ci stava dando più lavoro di quanto sperassi. Dovevamo andare a trovarli uno per uno, interrogarli, verificare i loro alibi, analizzare i possibili moventi che potevano averli spinti al crimine, controllare eventuali precedenti e stare attenti a qualsiasi segno che evidenziasse un disturbo mentale. Il fatto che qualcuno sia un po’ andato non significa assolutamente che sia un potenziale assassino. Ci sono milioni di persone in tutto il mondo che soffrono di qualche tipo di demenza e che sono estremamente pacifiche, mentre altre, presumibilmente sane, si rivelano capaci di compiere le più orribili atrocità. Tuttavia, quando ci troviamo di fronte a un assassino seriale, che per di più presenta un modello comportamentale molto chiaro nel suo operato criminale, la probabilità che presenti qualche tipo di patologia mentale è quasi del 100%.
Mi accompagnava Tom, che ritenevo abile nel relazionarsi con quelle persone, inoltre ero piuttosto soddisfatto del lavoro che aveva svolto precedentemente, sebbene consistesse nel fare merenda con torte caserecce in compagnia di anziane annoiate.
- Quando andremo a far visita a Matt Davies? – mi chiese, sventolandomi davanti agli occhi il dossier contenente la sua foto.
- Stai attento o ci ammazzeremo! – esclamai, dal momento che stavo guidando la piccola Spark su una strada sterrata tortuosa e piena di buche. – Non lo so… Credo sia meglio lasciarlo per ultimo. Quando andremo a trovarlo, dovremo avere in mano qualcosa di realmente solido.
- Cazzo, Ethan, qual tipo già non mi piaceva. Ora che sappiamo che conosceva le due ragazze, la cosa si è fatta davvero allarmante.
- Lo so, ma non possiamo fare passi falsi. Non abbiamo niente di concreto. Ha lavorato per diverse estati con Clara e secondo Worth era solito andare spesso a fare benzina nella stazione di servizio in cui lavorava Donna per mezza giornata.
- E non ti sembra sospetto che qualcuno che vive a Valley Falls, che lavora al Perry State Park, percorra tutte quelle miglia solo per fare il pieno? Devono avere i prezzi della benzina davvero stracciati perché ne valga la pena – affermò Tom con il suo solito cinismo.
- Certo che sì! Ma in fondo Perry si trova solo a dieci miglia dal suo posto di lavoro, e chissà se in quel dannato distributore ti regalano una casa per ogni rifornimento. Con un pizzico di fortuna, la ragazza che incontreremo ora chiarirà i nostri dubbi.
Parcheggiai a un lato della strada sterrata. Ci trovavamo in un posto sperduto nella periferia di Grantville, vicino a un enorme campo di mais. In un piccolo piazzale avevano costruito una casa di lamiere, umile come quelle che si vedono nei pressi di alcuni cantieri edili. Su uno dei lati stazionava un vecchio e sgangherato pick-up, che non doveva avere meno di vent’anni alle spalle. Se funzionava ancora era grazie all’intervento diretto di qualche divinità. Non c’era una via d’accesso alla casa, e solo un tratto d’erbacce calpestate indicava che la macchina doveva passare da lì ogni volta che entrava e usciva dalla proprietà.
- La verità è che a volte odio Washington e i suoi dintorni, ma vedendo questo, mi sembra che quello sia il maledetto paradiso – borbottò Tom, mentre si sistemava gli occhiali da sole per guardarsi intorno.
Quel commento un po’ sconsiderato mi fece subito pensare a Liz. Non avrebbe tardato a rinfacciarci la nostra condizione di bambini viziati che avevano sempre avuto tutto. Tom non veniva dalla costa occidentale, come me, ma anche lui era cresciuto in una famiglia benestante. Non aveva mai saputo cosa significasse avere dei problemi economici. Originario di Chicago, dove aveva trascorso l’infanzia, si era trasferito a Richmond con tutta la famiglia, in quanto a suo padre era stato offerto un posto come dirigente in una grande compagnia. Poi tutto era filato liscio come la seta: buone scuole, laureato a Georgetown e infine cullato negli uffici centrali dell’FBI a Quantico. Se a volte il suo linguaggio era un po’ volgare o sfacciato, aveva più a che fare con il suo carattere scherzoso che con la sua splendida formazione. A lui, come a me, costava molto abituarsi all’idea che la gente riuscisse a vivere in posti come quello che avevamo davanti agli occhi.
- Andiamo. Questa ragazza si chiamo Jennifer Smith, ha 24 anni, lavora in questo campo di mais – dissi, indicando il campo che si estendeva verso la nostra destra – e a volte nella stessa stazione di servizio dov’era impiegata Donna, facendo delle sostituzioni o dei turni notturni. È originaria di Grantville e conosceva Clara da tutta la vita.
Bussammo alla porta e ci aprì subito una ragazza piuttosto trasandata. Le mostrammo i nostri tesserini di riconoscimento dell’FBI e ci fece entrare senza alcun problema. L’interno della casa era in condizioni peggiori dell’esterno, il che è tutto dire: c’erano vestiti buttati in terra, dei cartoni di pizza con resti di cibo, piatti sporchi ch si accumulavano nel lavandino e un forte odore di tabacco trinciato che rendeva l’aria irrespirabile.
- Signorina Smith, mi scusi, vive con qualcuno? – domandai, pensando che fosse quasi impossibile che una ragazza giovane potesse tenere la sua casa, per umile che fosse, come una porcilaia. Era un pregiudizio maschilista, ma basato su statistiche: in generale le donne sono più pulite e ordinate degli uomini.
- Potete chiamarmi Jenny. Vi chiedo davvero scusa per le condizioni della casa. Nel fine settimana la pulisco a fondo, ma gli altri giorni non ho tempo. E non vivo con nessuno, ma il mio ragazzo, Rat, si ferma spesso a dormire qui.
Io e Tom ci accomodammo, non senza riserve, su un piccolo divano coperto da un plaid di lana lisa e piena di piccole macchie incrostate, indicatoci da Jenny. Non volli immaginare in che condizioni deplorevoli potesse trovarsi la fodera originale.
- Rat? – chiese Tom, come se sputasse quella parola.
- Sì, è il suo nome d’arte. È un cantante rap, di solito lui e il suo gruppo suonano in alcuni locali di Topeka. Chissà, magari un giorno avranno successo e potranno portarmi via da questo buco.
Guardai Tom, che sembrava interessato alla vita di quella giovane disgraziata e alle avventure del suo amico Rat, e gli feci un cenno di rimprovero. Ci trovavamo lì con un obiettivo molto preciso, e non volevo perdere tempo a chiacchierare su argomenti privi di interesse.
- Glielo auguro, Jenny. Senta, siamo qui perché stiamo indagando sugli omicidi di Clara e Donna, e da quanto sappiano, lei le conosceva entrambe.
La signorina Smith, dopo essere andata da una parte all’altra della sua piccola casa in cerca di chissà cosa, che alla fine trovò, si sedette di fronte a noi su una sedia pieghevole in plastica, come quelle che si usano per fare i picnic e sembrò concentrarsi su ciò che stavamo dicendo.
- Vi dispiace se mi giro una sigaretta?
- È casa sua, faccia pure – risposi, spazientendomi. Notai che Tom era divertito da quella situazione che rasentava il grottesco e che mi stava facendo uscire di testa.
- Sì, le conoscevo. Non molto, in realtà. Conoscevo di più Clara, abbiamo vissuto vicine per anni, ma credo di non esserle mai andata a genio. Con Donna invece mi ero vista qualche volta a Topeka, e quest’anno sì che ho parlato più spesso con lei. Faccio delle sostituzioni e dei turni nel distributore di benzina dove lei lavorava mezza giornata. Ma ho già raccontato tutto questo e Ryan e Jim quando sono venuti a trovarmi.
Jenny si era innervosita. Immagino che la visita di due agenti federali non dovesse farle il minimo piacere, per quanto cercasse di essere gentile e collaborativa. Dopo aver preparato la sigaretta, le costò accenderla. Le tremavano le mani. Inizialmente pensai che fosse dovuto all’inquietudine provocata dalla nostra visita, ma notai presto un sacco di bottiglie vuote di bourbon scadente buttate in maniera disordinata in un angolo.
- Non si preoccupi. Abbiamo bisogno della sua collaborazione, ma non c’è niente da temere. Stiamo verificando le informazioni con tutte le persone che compaiono nel fascicolo relativo al caso.
Mi rivolse uno sguardo quasi allucinato. Il mio gergo pieno di retorica e parole complicate doveva sembrarle quasi cinese.
- Io voglio aiutare…
- Perfetto. Grazie mille – disse Tom, dandomi una leggera ginocchiata nella coscia. Si sarebbe occupato lui della situazione. – Clara le ha mai detto se temeva che qualcuno potesse farle del male?
- Non parlavamo molto. Aveva rotto con Liam e credo che la cosa lo irritasse. Rat conosce bene Liam, è uno di quei presuntuosi a cui non piace ricevere il benservito da una ragazza. Ma questo non vuol dire niente! – esclamò Jennifer, mentre faceva un lungo tiro dalla sigaretta.
- Certo, le viene in mente qualcun altro? – insistette Tom.
La signorina Smith guardò attraverso una stretta finestra, mentre buttava lentamente il fumo fuori dalla bocca. All’interno di quella costruzione di lamiera faceva un caldo insopportabile e io, che per di più odiavo il tabacco, iniziavo ad avvertire un senso di nausea. Ero contento di aver chiesto a Tom di accompagnarmi.
- No. Clara era una gran brava ragazza. Sapete che non era mai stata a letto con un ragazzo? Mamma mia, io ho perso la verginità a quattordici anni…
Jenny divagava. Capii con certezza che fosse alcolizzata e magari anche dipendente da qualche droga. Una parte di me provava pena per quella ragazza quasi disintegrata, ma un’altra parte voleva allontanarsi da quel posto per non tornarci mai più; perché in fondo odiavo quel tipo di persone, senza pensare a che tipo di circostanze abominevoli le avesse portate a quello stato così pietoso. Fortunatamente avevo studiato psicologia a Stanford con l’obiettivo, fin dall’inizio, di entrare nell’Unità di Analisi Comportamentale dell’FBI; vale a dire, per studiare profili criminali. Se avessi dovuto guadagnarmi da vivere come psicologo in un consultorio, cercando di mostrare empatia verso i miei clienti, aiutandoli a uscire da qualche vicolo cieco, sarei stato un professionista nefasto.
- Sì, la scelta di Clara non è più così frequente di questi tempi – disse Tom, che si destreggiava con insolita naturalezza con quella ragazza. – Ci parli di Donna, cosa sapeva sul suo conto?
Jennifer si mise a singhiozzare. Rispettammo in silenzio quegli strani momenti di emozione. Tom mi fece un gesto con la mano, come a indicarmi di restare in silenzio e non fare stupidaggini.
- Non che parlassimo poi tanto. Ma è la persona che mi ha trattato meglio in tanti anni. Diceva che ero molto buona, che avevo un cuore enorme.
- Ne sono sicuro, Jenny. Mi dispiace che abbia perso un’amica.
- Non eravamo nemmeno amiche, sa. Però lei si fidava di me. Sapeva che non sarei andata in giro a spifferare le sue cose a nessuno.
- Cose… del tipo? – domandò Tom, abbassando molto la voce, quasi sussurrando. Per un attimo me lo immaginai come un pescatore a mosca che stesse spiegando davanti ai miei occhi i trucchi del mestiere.
Jenny spense la sigaretta e la schiacciò in un posacenere. Poi si asciugò le lacrime con i palmi delle mani. Sembrava essersi ripresa.
- Non lo dirò. Non ho aperto il becco su queste cose nemmeno quando sono venuti Jim e Ryan.
- Questi segreti hanno molto a che fare con persone che loro conoscono, vero?
Jennifer annuì in modo quasi istintivo. Tom le stava parlando con un tatto quasi incredibile. Provavo una certa invidia per la sua destrezza in quelle circostanze complicate.
- Sono persone potenti, con una certa autorità. È meglio non mettersi nei pasticci. Io sto qui tranquilla, con le mie pannocchie, la mia casetta e i pochi soldi che guadagno. Non voglio problemi. Donna ha fatto una brutta fine, davvero brutta…
- Ma noi, Jenny, non siamo del posto. Siamo venuti da Washington, dall’FBI, capisce? Nessuno a Grantville, nessuno in tutta la contea di Jefferson, nessuno in tutto lo stato del Kansas… ha più potere di noi – mormorò Tom, parlando molto lentamente, ma con un tono che trasmetteva un’enorme sicurezza.
- Questo è vero, però…
- Un attimo fa piangeva per la perdita della sua amica Donna. Ha detto che è la persona che, in tanti anni, l’ha trattata meglio, non è così?
- Sì, è vero – rispose Jenny, mentre le si inumidivano nuovamente gli occhi e le tremavano le labbra per l’emozione.
- Adesso noi, che abbiamo molto potere, vogliamo fare giustizia a Donna. Si merita che troviamo la bestia che le ha tolto la vita. E se lei ci aiuta a farlo, Jenny, stia pur certa che nessuno potrà farle del male, perché noi la proteggeremo. Vuole aiutare Donna?
La signorina Smith annuì. Poi si accucciò, portandosi le gambe al petto e circondandole con le braccia.
- Sì, sì che voglio aiutarla. Magari ciò che vi sto per dire non è importante…
- Tranquilla. Ogni cosa ci può essere di grande aiuto. E poi, lei non sta accusando nessuno, quello è compito nostro. Lei sta parlando con due persone importanti dell’FBI, e la nostra missione è fare giustizia a Donna. Siamo venuti per questo.
- Matt Davies…
Il solo sentir nominare il guardiano mi fece rivoltare lo stomaco. Ancora una volta quel miserabile. Sentii Tom che mi pestava piano un piede e serrai i pugni per contenere l’ira e l’agitazione.
- Che succedeva con Matt Davies? È un tipo strano.
- Sì. Andava spesso a trovare Donna. Credo avesse una cotta per lei. Sapeva gli orari in cui lei era di turno e riforniva tutte le settimane. All’inizio lei non gli aveva dato importanza, però dai… scendere fino a Perry per fare benzina ogni settimana!
- Certo, non è normale – disse Tom, come se stesse conversando con un’amica.
- E poi iniziarono le avances, e diventò pesante sul serio. Donna ne aveva fin sopra la testa. Finì per odiare Matt.
- E pensa che lui, nella peggiore delle ipotesi…
- Non so niente. Vi sto solo raccontando quello che mi confessava Donna.
- Certo, certo. Qualcun altro sapeva che Matt la stava importunando?
- No – rispose lei, abbassando la testa.
- E aveva paura?
- Era preoccupata. Da un lato Matt era un buon amico d’infanzia del detective Worth, e sicuramente si sarebbe messo contro di lei. Andava d’accordo anche con Ryan.
- Per questo non gli ha detto niente quando sono venuti a parlarle.
- Più o meno. Neanche io mi fido.
Jennifer parlava timidamente, come se fosse davvero spaventata. Fortunatamente Tom stava facendo un lavoro eccellente.
- Un momento fa ha detto da un lato. Cos’altro temeva?
- Che qualcuno si facesse giustizia con le proprie mani.
- Qualcuno? Chi? Suo padre…
Ricordai gli avvertimenti di Jim riguardo all’incolpare senza prove certe una persona in posti come la contea di Jefferson.
- No, qualcuno con cui si vedeva.
- Ma Donna non aveva un ragazzo, a quanto sappiamo.
Jenny sospirò. Ci rivolse un lungo sguardo e poi nascose la testa tra le gambe, come se si pentisse di averci confessato tutto quello che sapeva.
- Non era un ragazzo. Non so bene cosa fosse. Mi fece giurare che non l’avrei raccontato a nessuno. Era un segreto molto grosso. Quella sciocca, in ogni caso, si faceva illusioni. Aveva bisogno di raccontarlo a qualcuno e sapeva che io non ero una pettegola.
Tom si trovava perfettamente a suo agio. Ora capivo come aveva potuto cavarsela così bene con le vecchiette di Valley Falls e dintorni. Io, invece, soffocato dall’ambiente pesante e disgustato da quei miserabili segreti che spesso si celano nelle piccole città, desideravo fuggire da lì il più in fretta possibile. Ma il pesce stava per abboccare all’amo, e io avevo l’obbligo di aspettare in silenzio e senza muovermi, per non metterlo in allerta e mandare all’aria tutto il lavoro.
- Magari una persona sposata. Qualcuno più grande di lei.
- Sì, una persona importante.
- Coraggio, Jenny, ci aiuti. Deve solo dirci il suo nome e la lasceremo in pace. Ci assicureremo personalmente che nessuno la disturbi mai più.
Jennifer tirò fuori la testa dalle ginocchia, si scostò i capelli spettinati dal viso e fissò i suoi occhi intorpiditi su quelli di Tom.
- Donna aveva una relazione con lo sceriffo Stevens.