Prologo
Stavolta faceva sul serio.
Sul comodino accanto al letto c’erano una bottiglia aperta di brandy e un tumbler. Ma non gli serviva l’intorpidimento chimico dell’alcol, né quello dei tranquillanti che aveva ingerito tutte le volte in cui aveva giurato a sé stesso che faceva sul serio. Tra le mani stringeva la lettera che aveva scritto per spiegare la propria decisione. Negli anni, ne aveva preparate molte, di lettere così. Alcune, schiette e sbrigative, andavano dritte al punto. Altre divagavano e imploravano la comprensione e la compassione di chi avrebbe letto, sempre ammesso che fosse interessato. Molte erano rimaste incomplete quando si era accorto che, dopotutto, non aveva davvero intenzione di farlo.
Stavolta, però, sì. Sul serio.
Non aveva voglia di alzare lo sguardo, tuttavia si costrinse a fissare la lunga corda legata al soffitto. Sotto, la sedia. Era tutto così semplice. Arrampicarsi sulla sedia. Stringere bene il cappio intorno al collo. Saltare. Qualche minuto di sofferenza e panico mentre la fune faceva il suo lavoro, spremendogli la vita dal corpo. La maggior parte della gente sarebbe stata grata di dover affrontare soltanto qualche minuto di dolore prima di morire. E lui aveva fatto i conti con la morte molte volte in passato. Pochi minuti di agonia non erano nulla. E aveva letto che in quei pochi istanti finali, mentre si penzola a mezz’aria e il cervello annaspa per la mancanza di ossigeno, il dolore se ne va e si rimane a fluttuare, liberi dalle preoccupazioni, per poi scivolare pian piano nel nulla. Ed era questo che bramava più di ogni altra cosa.
Il nulla.
Nelle viscere della casa, le voci si levarono di nuovo, discutendo rabbiose. Riusciva a sentire lei che sbraitava e lui che le rispondeva, urlando a sua volta. Desiderava che la smettessero. Perché non potevano concedergli i preziosi minuti di pace che meritava prima di lasciare questo mondo?
Il silenzio avvolse di nuovo la casa.
Tornò a sedersi sul letto e afferrò la bottiglia di brandy. Un paio di sorsi non avrebbero fatto male a nessuno, si disse. Non che stavolta avesse bisogno di buttar giù coraggio sotto forma liquida: gli serviva per scaldare il freddo che lo gelava da dentro. Si riempì il tumbler e poi alzò lo sguardo sul cappio mentre ingollava a gran sorsi il liquore ardente. Si versò un altro bicchiere. Soltanto al terzo capì che cosa stesse facendo. Proprio come le altre volte. Stava bevendo per stordirsi. Tutto per evitare di andare fino in fondo. Posò subito la bottiglia e il bicchiere, vi appoggiò con cura il biglietto e si alzò in piedi.
Ondeggiando per via del lieve effetto dell’alcol, percorse i pochi passi che lo separavano dalla sedia e ci si arrampicò sopra barcollando. Strinse saldamente il cappio fra le mani e se lo infilò sopra la testa. Poi strinse il nodo come fosse una cravatta. Chiuse gli occhi, facendo dei respiri profondi. Si concentrò, cercando di scacciare dalla mente ogni dubbio, e fece per saltare dalla sedia. Ma tirò indietro il piede. Tentò ancora, stavolta arrivando più vicino al bordo, lasciando penzolare un piede a mezz’aria per qualche istante prima di ritrarre di nuovo la gamba.
Deglutì a fatica, in preda alla disperazione. Perché, se tutto ciò che più bramava era il nulla, non era in grado di fare una cosa tanto semplice?
La cosa giusta. L’unica possibile.
Le voci al piano di sotto discutevano di nuovo. Perché non potevano starsene zitti? Stare zitti e basta, accidenti a loro.
Allentò il nodo e scese dalla sedia. Inciampando, si affrettò a tornare sul letto e si versò altro brandy. Prese il biglietto e, con un sorriso arcigno, lo strappò in mille pezzi con meticolosità e lo infilò nel sacco di plastica che usava come bidone della spazzatura.
Per chi lo aveva scritto, in fin dei conti? Che ironia. Le persone a cui sarebbe potuto importare qualcosa di lui erano morte o se n’erano andate da tempo. Le sue spiegazioni e le sue scuse non avevano più alcun rilievo per nessuno, nemmeno per lui. Abbandonò il bicchiere sul letto e afferrò la bottiglia. Forse doveva scolarsela tutta, così non avrebbe esitato una volta salito sulla sedia, come un guidatore ubriaco non esita quando si mette al volante. Tracannò più che poté, fino a sentir bruciare la gola, poi posò la bottiglia.
Percorse i pochi passi fino alla sedia e ci salì sopra un’altra volta. Strinse il cappio, chiuse gli occhi e avvolse le braccia intorno al corpo, come se stesse cercando di abbracciare il nulla.
Rimase lì, immobile, per molto tempo prima di riaprire gli occhi. Era ubriaco nel corpo ma non nella mente. Si sentiva sveglio e lucido e si aggrappò al cappio che gli cingeva il collo.
Era tutta una menzogna. Non voleva farlo davvero nemmeno stavolta e non l’avrebbe voluto nemmeno quella successiva. Preferiva far parte della schiera dei morti viventi, piuttosto che fare la cosa giusta. Debole, debole, debole. Ecco cos’era. Debole e patetico. Ed era stata proprio quella debolezza a condurlo al disastro, fin dall’inizio.
Tirò la corda che gli si era stretta sotto la mandibola. Armeggiò con il nodo, mentre il corpo dondolava. In balia di una frustrazione alcolica, si sbilanciò in avanti. Il nodo si strinse, scavando nella pelle del collo. In preda a un panico cieco, tentò di ritrovare l’appoggio con i piedi, ma le scarpe scivolarono sulla superficie della sedia, che andò a schiantarsi a terra su un fianco. Oddio. Era sospeso a mezz’aria, con le braccia e le gambe che roteavano, mentre tentava di gridare. Non c’era più aria che entrasse o uscisse dai polmoni. Nessun grido, soltanto dei gorgoglii disperati e strozzati. Prese il nodo fra le mani e iniziò a tirare. Il suo strumento di morte gli si stava serrando sempre di più intorno al collo.
Scioccato, cercò di afferrare la corda sopra la testa con le dita ormai indebolite e di sollevarsi per mettersi in salvo. Per un breve istante ci riuscì. Sentì i polmoni gonfiarsi di aria preziosa. Poi l’aria finì. Le mani stanche scivolarono giù lungo la corda, bruciando il palmo e le dita via via che scendevano. Cadde e il nodo gli piegò la testa all’indietro mentre la sensazione di sollievo svaniva. Braccia e gambe si contrassero per gli spasmi mentre quel che restava della vita scivolava via.
Poi rimase soltanto il nulla.