LA CONFESSIONE DI THÉODULE SABOT
Quando Sabot entrava nell’osteria di Martinville, tutti ridevano in anticipo. Quel bel tipo di Sabot, era poco spassoso? Ecco uno che i preti non li poteva vedere! Ah, no, proprio per nulla, neppure un attimo! Se li mangiava, il briccone!
Sabot (Théodule), falegname, rappresentava il partito più evoluto di Martinville. Era un uomo alto, magro, dall’occhio grigio e sornione, i capelli incollati sulle tempie, la bocca sottile. Quando diceva: “Il nostro santo papà papa” in quella sua maniera particolare, tutti si contorcevano dalle risate. Faceva apposta a lavorare la domenica durante la messa. Ammazzava il maiale tutti gli anni il lunedì della settimana santa, per avere sanguinaccio sino a Pasqua, e quando passava il curato diceva sempre, scherzando: «Ecco quello che ha ingoiato il suo Dio al banco dell’osteria!».
Il prete, un uomo robusto, molto alto anche lui, lo temeva, a causa del suo spirito sarcastico, che aveva molti simpatizzanti. Don Maritime era un uomo politico, amico dei mezzi diplomatici. La lotta tra i due durava da dieci anni, lotta segreta, accanita, incessante. Sabot era consigliere municipale. Si riteneva che un giorno sarebbe diventato sindaco, cosa che avrebbe costituito indubbiamente la sconfitta definitiva della Chiesa.
Stavano per aver luogo le elezioni. Il partito religioso tremava, a Martinville. Una mattina, il curato partì per Rouen, annunciando alla perpetua di doversi recare in arcivescovado. Tornò dopo due giorni. Aveva l’aria allegra e trionfante. E tutti seppero, il giorno dopo, che il coro della chiesa doveva essere rifatto a nuovo. Monsignore aveva donato una somma di seicento franchi, dalla sua cassetta personale.
Tutti i vecchi stalli di pino dovevano essere distrutti e sostituiti con stalli nuovi in radica di quercia. Era un notevole lavoro di falegnameria, di cui si parlava, la sera stessa, in tutte le case.
Théodule Sabot non rideva.
Quando uscì il giorno seguente in paese, i vicini, amici o nemici, gli domandavano in tono scherzoso:
«Sei tu che farai il coro della chiesa?».
Lui non sapeva cosa rispondere, ma si rodeva di rabbia, si rodeva, letteralmente.
I maligni aggiungevano:
«È un buon lavoro; non ci saran meno di duecento o trecento franchi di guadagno».
Due giorni dopo, si seppe che la riparazione sarebbe stata affidata al falegname di Percheville, Célestin Chambrelan. Poi la notizia venne smentita, poi si disse che dovevano essere rifatti anche tutti i banchi della chiesa. Una spesa di almeno duemila franchi, che eran stati richiesti al ministero. L’emozione fu intensa. Théodule Sabot non dormiva più. Mai, a memoria d’uomo, un falegname del paese aveva eseguito una simile opera. Poi si sparse una voce. Si diceva, si mormorava che il curato era spiacente di affidare quel lavoro a un operaio di fuori, ma che tuttavia le opinioni di Sabot si opponevano al fatto che venisse affidato a lui. Sabot lo seppe. Si recò in canonica sul calar della notte. La perpetua gli disse che il curato si trovava in chiesa. E lui vi andò.
Due figlie di Maria, zittelle inacidite, stavano ornando l’altare per il mese mariano, sotto la direzione del curato. Lui, in piedi in mezzo al coro, gonfiava il ventre enorme, e dirigeva il lavoro delle due donne le quali, inerpicate su due sedie, disponevano i fiori intorno al tabernacolo.
Sabot si sentiva a disagio là dentro, come fosse entrato in casa del suo peggior nemico, ma il desiderio del guadagno gli stuzzicava il cuore. Si avvicinò, con il berretto in mano, senza far caso alle figlie di Maria che stavano lì sbalordite, stupefatte, immobili sulle loro sedie.
E balbettò:
«Buon giorno, signor curato».
Il prete rispose, senza guardarlo, occupato com’era al suo altare: «Buon giorno, signor falegname».
Sabot, disorientato, non sapeva più cosa dire. Dopo una pausa tuttavia riprese:
«State facendo preparativi?».
Don Maritime rispose:
«Sì, ci avviciniamo al mese di Maria».
Sabot, disse ancora:
«Ah, ecco, già».
Poi tacque. Adesso aveva voglia di andarsene senza dir più nulla, ma un’occhiata gettata nel coro lo trattenne. Scorse sedici stalli da rifare, otto a destra e otto a sinistra, poiché la porta della sacrestia occupava due posti. Sedici stalli di quercia, dovevano valere al massimo trecento franchi, e, rifiniti bene, certo, potevano dare un guadagno di duecento franchi sul lavoro, se uno ci sapeva fare.
Allora balbettò:
«Vengo per il lavoro».
Il curato apparve sorpreso.
Domandò:
«Quale lavoro?».
Sabot, smarrito, mormorò:
«Il lavoro da fare».
Allora il prete si voltò e lo fissò negli occhi:
«Volete forse parlare delle riparazioni al coro della mia chiesa?».
Dal tono assunto da don Maritime, Théodule Sabot sentì un brivido corrergli per la schiena, e provò di nuovo una furiosa voglia di tagliare la corda. Tuttavia rispose con umiltà:
«Ma certo, signor curato».
Allora il curato incrociò le braccia sulla vasta pancia, e come annientato dallo stupore:
«Proprio voi... voi... voi Sabot... venite a chiedermi questo... Voi... il solo empio della mia parrocchia... Ma sarebbe uno scandalo, uno scandalo pubblico. Monsignore mi rimprovererebbe, forse mi destituirebbe, anche».
Respirò per un momento, poi continuò in tono più calmo:
«Capisco che per voi sia penoso vedere un lavoro di questa portata affidato a un falegname di una parrocchia vicina. Ma io non posso fare altrimenti, a meno che... ma no... è impossibile... Voi non acconsentireste mai; e non c’è altro modo».
Sabot guardava ora la fila dei banchi allineati sino alla porta d’uscita. Perdinci, se si cambiassero tutti i banchi?
E domandò:
«Cosa vorreste? Ditemelo comunque».
Il prete, in tono fermo, rispose:
«Vorrei un pegno lampante della vostra buona volontà».
Sabot mormorò:
«Non dico... non dico di no... forse ci si potrebbe intendere.»
Il curato dichiarò:
«Dovrete comunicarvi pubblicamente alla messa grande di domenica prossima.»
Il falegname si sentì impallidire e, senza rispondere, domandò:
«E i banchi, sono tutti da rifare?».
Il curato rispose con sicurezza:
«Sì, ma più tardi».
Sabot riprese:
«No, non dico, non voglio dir niente. Non sono affatto eretico io, sono d’accordo con la religione, certo; quello che mi disturba è la pratica, ma in questo caso non mi mostrerò refrattario».
Le figlie di Maria, scese dalle loro sedie, si eran nascoste dietro l’altare; e ascoltavano, pallide d’emozione. Il curato, sentendosi vittorioso, divenne subito bonario, familiare:
«Oh! così va bene! così va bene! Ecco una parola saggia, e niente affatto sciocca, capite? Vedrete, vedrete».
Sabot sorridendo con aria imbarazzata, domandò:
«Ma non ci sarebbe modo di rimandarla un pochino, questa comunione?».
Ma il prete riprese il viso severo:
«Dal momento che i lavori saranno affidati a voi, voglio essere certo della vostra conversione».
Poi continuò, in tono più mite:
«Verrete a confessarvi domani; dovrò infatti esaminarvi almeno due volte».
Sabot ripeté:
«Due volte...?».
«Sì.»
Il prete sorrideva:
«Capirete bene che vi occorre una pulizia generale, un bucato completo. Dunque, vi aspetto domani».
Il falegname, molto emozionato, domandò:
«E dove farete questo?».
«Ma... nel confessionale.»
«In... quella scatola? in quella scatola laggiù nell’angolo? E che... È che... non mi va affatto, la vostra scatola.»
«Perché?»
«Dato che... dato che non sono per nulla abituato a cose del genere. E dato pure che sono un poco duro di orecchio.»
Il curato si mostrò compiacente:
«Ebbene, verrete a casa mia, nel mio salotto. Lo faremo voi e io in privato. Vi va?».
«Sì, per questo, mi va, ma la vostra scatola, no...»
«Ebbene, a domani, verso sera, alle sei.»
«Inteso, siamo d’accordo; a domani, signor curato. Vigliacco chi si ritira!»
E tese la sua grande mano rude in cui il prete batté rumorosamente la sua.
Il rumore di quello schiocco si diffuse sotto la volta, e andò a spegnersi laggiù, dietro le canne dell’organo.
 
Théodule Sabot non seppe stare tranquillo per tutta la giornata seguente. Provava qualcosa di analogo all’apprensione che si prova quando si deve farsi strappare un dente. Ogni momento gli tornava quel pensiero: “Dovrò confessarmi questa sera”. E la sua anima torbida, l’anima di un ateo poco convinto, si agitava davanti alla paura confusa e potente del mistero divino.
Si diresse verso il presbiterio appena ebbe terminata la sua giornata di lavoro.
Il curato lo aspettava in giardino leggendo il breviario lungo un vialetto. Pareva felice e lo accolse con una risata:
«Ah, bene, eccoci qua. Entrate, entrate, signor Sabot, nessuno vi mangerà».
E Sabot passò per primo. Balbettò:
«Se non vi fa nulla, sarei del parere di sbrigare subito la nostra faccenduola».
Il curato rispose:
«Al vostro servizio. Ho qua la cotta. Un minuto, e vi ascolto».
Il falegname, emozionato al punto di non capire più nulla, lo guardava rivestirsi del bianco indumento a pieghe stirate. Il prete gli fece un cenno:
«Mettetevi in ginocchio su questo cuscino».
Sabot rimaneva in piedi, vergognandosi di doversi inginocchiare. Balbettò:
«È proprio necessario?».
Ma il sacerdote era diventato solenne:
«Solo in ginocchio ci si può accostare al tribunale della penitenza». Sabot s’inginocchiò.
Il prete disse:
«Recitate il Confiteor».
Sabot domandò:
«Cosa?».
«Il Confiteor. Se non lo sapete più, ripetete una per una le parole che io pronuncerò.»
E il curato articolò la preghiera, con voce lenta, scandendo le parole che il falegname ripeteva; poi disse:
«Adesso, confessatevi».
Ma Sabot non diceva più nulla, non sapendo da dove incominciare. Allora don Maritime gli venne in aiuto:
«Figlio mio, vi interrogherò io, dato che mi sembrate poco al corrente. Prenderemo uno per uno i comandamenti di Dio. Ascoltatemi e non vi allarmate. Parlate molto sinceramente e non temete mai di dir troppo. “Non avrai altro Dio all’infuori di me.” Avete amato qualcuno o qualcosa quanto Dio? L’avete amato con tutta l’anima, con tutto il cuore, con tutta la forza del vostro amore?».
Sabot sudava per lo sforzo di pensare. Rispose:
«No. Oh, no, signor curato. Amo il buon Dio quanto posso. Questo, sì, lo amo molto. Che non amo i miei figli, non posso dirlo. Che se dovessi scegliere tra loro e Dio... questo non lo dico. Che se dovessi perdere cento franchi per amore di Dio... neppure. Ma lo amo lo stesso.»
Il prete, grave, pronunciò:
«Bisogna amarlo al disopra di tutto».
E Sabot, pieno di buona volontà, dichiarò:
«Farò il possibile, signor curato».
Don Maritime continuò:
«“Non nominare il nome di Dio invano”. Avete talvolta pronunciato qualche bestemmia?».
«No, Oh, questo no! Non bestemmio mai, mai. Qualche volta, in un momento di collera, sì, dico sacramento! Ma non bestemmio, no.»
Il prete esclamò:
«Ma questa è bestemmia!».
E severo:
«Non fatelo più. Continuo: “Ricordati di santificare le feste”. Cosa fate la domenica?».
Questa volta Sabot si grattò l’orecchio:
«Ma, servo il buon Dio del mio meglio, signor curato. Lo servo... in casa mia. Lavoro, la domenica...».
Il curato, magnanimo, l’interruppe:
«Lo so, ma cercherete di essere più osservante in avvenire. Tralascio i comandamenti successivi, certo che non avete mancato ai due primi. Vedremo il sesto con il nono. Riprendo: “Non rubare”. Avete sottratto, con qualche mezzo, il bene altrui?».
Ma Théodule Sabot s’indignò:
«Ah, no, ah, no! Io sono un uomo onesto, signor curato. Questo, lo giuro. Che non ho qualche volta calcolato qualche ora in più di lavoro ai clienti che hanno dei mezzi, questo non lo posso dire. Che non metto qualche centesimo di più sui conti, soltanto qualche centesimo, questo non posso dirlo. Ma quanto a rubare, no, ah, proprio no!».
«Sottrarre un solo centesimo costituisce furto. Non fatelo più. “Non dire falsa testimonianza”. Avete mai mentito?»
«No, questo no. Non sono un bugiardo. È una mia qualità. Che non ho raccontato qualche fandonia, non lo posso dire. Che non ho mai fatto credere ciò che non era vero, quando era nel mio interesse, quanto a questo, non posso dirlo. Ma bugiardo, no, non sono un bugiardo.»
Il prete disse semplicemente:
«Controllatevi di più».
Poi seguitò:
«“Non desiderare la donna d’altri”. Avete desiderato o posseduto altra donna che vostra moglie?».
Sabot esclamò con sincerità:
«Quanto a questo, no, proprio questo no, signor curato. La mia povera moglie, ingannarla! No! No! Neppure con la punta delle dita; nei pensieri come nelle azioni. Davvero».
Tacque un momento, poi, a voce più bassa, come se gli venisse un dubbio:
«Quando vado in città: dire che non vado mai in una casa, sapete, una casa di tolleranza, così, si fa per scherzare e divertirsi un poco, per cambiar pelle, per vedere... quanto a questo, non posso dir di no... Ma pago, signor curato, pago sempre; e dal momento che si paga, tutto è a posto».
Il curato non insistette e diede l’assoluzione. Théodule Sabot esegue i lavori del coro e si comunica tutti i mesi.
Racconti
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