GLI EBREI NELL’URBE.
Gli ebrei vivevano a Roma da prima che arrivassero i cesari e i papi. Già dal 130 avanti Cristo, infatti, un trattato aveva aperto loro le porte dell’Urbe: vi giunsero all’inizio come mercanti, provenienti non soltanto dalla Giudea, ma soprattutto da Alessandria, dove prosperava una grande comunità che produsse studiosi, medici e filosofi di vaglia.
A Roma, il quartiere preferito dai “giudei” fu quello presso il Ponte Fabricio, o dei Quattro Capi, e tale resterà per due millenni: la moderna sinagoga sorge proprio a pochi passi da quell’antico insediamento. Ma in considerazione del fatto che non tutti potevano permettersi di risiedere in una zona così centrale e costosa, presto venne a formarsi un’altra piccola colonia al di là del Tevere, nell’area suburbana alle falde del Gianicolo, dove si concentrava la parte più povera della popolazione (disoccupati, schiavi fuggiaschi, operai a giornata). Un altro gruppo ancora prese dimora più lontano, presso il Mons Vaticanus.
La comunità prosperò e già in età repubblicana gli ebrei di Roma erano diventati così forti e numerosi da denunciare per malversazioni il pretore Valerio Flacco, il quale, per difendersi, ricorse agli uffici del famoso Cicerone.
A ogni modo, l’inizio del periodo più propizio fu segnato dall’avvento al potere di Cesare, che concesse ai giudei la totale libertà di culto, l’esenzione dal servizio militare, il permesso di raccogliere fondi da mandare al Tempio di Gerusalemme e quello di essere giudicati secondo il diritto rabbinico nelle cause interne alla comunità. Dunque, non sorprende che Svetonio e Giuseppe Flavio ci ricordino che allorché il dittatore venne assassinato, gli ebrei di Roma, inconsolabili, piansero per giorni e giorni.
Anche Augusto si mostrò tollerante: dopo aver vietato ai suoi concittadini di citare gli ebrei in tribunale nel giorno del Sabato, arrivò persino a far diffondere nelle pubbliche piazze, tramite le urla dei banditori, il motto del grande maestro Hillel: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
Sotto Tiberio, lo stato delle cose iniziò a peggiorare: la comunità si era allargata, fino a raggiungere 30.000/40.000 abitanti, e il proselitismo era all’ordine del giorno. Seiano, il potente Prefetto del Pretorio che l’imperatore aveva lasciato a governare l’Urbe in sua vece, preoccupato del proliferare delle sette orientali nell’Urbe, prese a pretesto un episodio di circonvenzione fraudolenta ai danni della moglie di un senatore per deportare in Sardegna 4000 giovani ebrei e tentare di espellere tutti gli altri.
Poco dopo, il folle Caligola, convintissimo della sua divinità, pretese di essere venerato in tutti i templi dell’Impero, compreso quello di Gerusalemme, e rischiò così di provocare una sommossa, scongiurata in extremis dall’ambasceria guidata dal filosofo Filone di Alessandria.
Da parte sua, non appena salito al trono, Claudio rimise in vigore l’editto di tolleranza.
Intanto, però, alcuni giudei di Roma si erano affiliati alla setta dei seguaci di Gesù di Nazaret, che in quel momento faceva parte a pieno titolo della comunità ebraica e osservava ancora i precetti della Torah: il distacco dei cristiani, infatti, avvenne soltanto in seguito alla predicazione di Paolo di Tarso (“non vi è più giudeo né greco”), il quale svincolò gli adepti dai dettami della legge mosaica, primo tra tutti la circoncisione.
Le divergenze tra le due fedi, che ai quiriti parevano irrilevanti, divennero allora molto accese. Per evitare maggiori problemi, lo stesso Claudio, che aveva inaugurato il suo impero con un atteggiamento tanto favorevole, decise l’espulsione dall’Urbe di tutti gli ebrei non arruolati nell’esercito, accusandoli di fomentare disordini “impulsore Chresto”, spinti cioè da Cristo, come ci ricorda Svetonio.
Il decreto di Claudio denuncia una volta ancora quanto poco i romani sapessero dell’ebraismo, e con quale facilità fossero inclini a confonderlo con il nascente cristianesimo.
Persino autori come Orazio dimostrarono, nell’intrattenersi sull’argomento, la loro totale incomprensione. A Seneca, poi, la pratica del riposo del Sabato pareva assurda, perché ai suoi occhi implicava lo spreco di una parte rilevante dell’esistenza…
Prescindendo da simile, compiaciuta ignoranza, a guastare irrimediabilmente i rapporti tra quiriti e giudei intervennero presto motivi ben più gravi di quelli ideologici o religiosi.
Nella Palestina occupata dalle legioni dell’Impero, la situazione stava precipitando e ai primi moti insurrezionali fece seguito in breve tempo una guerra aperta. La piccola nazione che aveva osato sfidare Roma si difese con le unghie e con i denti, senza tuttavia poter evitare l’annunciata sconfitta: nel 70 dopo Cristo, il futuro imperatore Tito dava alle fiamme il Tempio di Gerusalemme, che da allora non venne mai più ricostruito. Oggi rimangono solo i muri che circondano il monte su cui sorgeva, il più antico dei quali, quello occidentale, è noto anche come Muro del Pianto.
Peraltro, non tutti si arresero: gli ultimi mille difensori di Israele, capeggiati da Eleazar, – il cui nome l’autrice di In corpore sano ha voluto attribuire, in segno di omaggio, a un personaggio del romanzo, – resistettero per tre anni all’offensiva delle legioni romane, asserragliati nella fortezza di Masada, una postazione imprendibile, dotata di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare.
Osservando la pianura dalle rovine di Masada, sull’alto della rocca presso il mar Morto, si scorgono ancora le tracce degli accampamenti assedianti. Da lassù Eleazar irrideva la grande Roma, il cui potente esercito sembrava incapace di far capitolare poche centinaia di ebrei.
L’affronto appariva intollerabile; bisognava conquistare Masada a ogni costo. Per attaccarla, i legionari costruirono un altissimo terrapieno e molte possenti torri da guerra.
Alla fine anche gli eroi di Masada cedettero, dandosi la morte assieme alle loro donne e ai loro figli, pur di non cadere vivi nelle mani del nemico. Eleazar fu l’ultimo a morire, dopo aver passato i suoi compagni a fìl di spada.
Per gli ebrei di Palestina aveva intanto preso avvio la lunga diaspora: in centomila, tratti in catene, sfilarono nel trionfo di Tito assieme alle spoglie del Tempio di Gerusalemme, tra cui la grande Menorah, il candelabro a sette braccia che si ammira ancor oggi a Roma, scolpito sotto l’arco del vincitore; lo stesso simbolo, il candelabro, destinato a trasformarsi nell’emblema del popolo ebraico in esilio e che giganteggia ora, icona del risorto Stato di Israele, davanti alla Knesset…
GLOSSARIO DEI TERMINI
LATINI ED EBRAICI, DEI LUOGHI GEOGRAFICI
E DEI PERSONAGGI STORICI
CITATI NEL ROMANZO
E NEL RACCONTO.
GLOSSARIO DEI TERMINI LATINI ED EBRAICI
Abba: in ebraico, padre.
Ave (pl. avete): è il saluto latino dell’incontro.
Armaria: armadi (a volte per gli indumenti, più spesso per i libri).
Balneatores: bagnini.
Dominus (vocativo: domine): signore, padrone.
Domus: grande casa padronale al pianterreno.
Fauces: fauci, intese come l’ingresso della domus romana.
Garum: salsa di pesce con cui si condivano molte pietanze.
Goy (pl. goyim): termine ebraico per “non ebreo”, “gentile”.
Kaddish: in ebraico, preghiera per i defunti.
Ianitor: portiere (anche ostiarius).
Ientaculum: spuntino, colazione, pasto di mezzogiorno.
Insula: grande edifìcio a più piani diviso in appartamenti d’affitto. A Roma la stragrande maggioranza della popolazione viveva in case di questo tipo.
Lupa: prostituta.
Meconius: uno dei termini per indicare l’oppio.
Mos maiorum: l’antico costume degli avi.
Oechus: grande salone da pranzo o da ricevimento.
Pax Romana: il lungo periodo di pace della prima età imperiale.
Paelex: concubina.
Palla: sopravveste femminile da indossare sopra la tunica.
Paterfamilias: il membro maschio più anziano della famiglia, a cui tutti i discendenti, di qualunque età, dovevano obbedienza, così come i liberti e gli schiavi.
Puella: ragazza.
Rabbi: in ebraico, maestro.
Saga: ostetrica, levatrice (da cui il francese: sage femme).
Sella: sedia priva di schienale.
Shabbat: in ebraico, sabato, ovvero il “giorno santo”.
Sica: tipo di spada (da cui “sicario”).
Sudatorium: locale per il bagno a vapore.
Taberna medica: ambulatorio.
Tallit: manto ebraico da preghiera.
Tepidarium: locale e vasca delle terme a media temperatura.
Torah: in ebraico, il “Libro”, il Pentateuco. Presso gli ebrei è la scrittura sacra che risale direttamente a Dio, mentre tutti gli altri testi consistono in meri commenti.
Vale (pl. valete): stammi (statemi) bene. È il saluto latino del commiato.
GLOSSARIO DEI PERSONAGGI STORICI
Catullo: poeta lirico latino. Vissuto tra l’84 e il 54 avanti Cristo, compose 116 carmi, metricamente divisi in 3 gruppi distinti: nugae (carmi d’amore, tra cui quelli dedicati a Lesbia), carmina docta (elegie) ed epigrammata (distici elegiaci d’impronta autobiografica).
Claudio: imperatore romano. Succeduto al nipote Caligola nel 41 dopo Cristo, Claudio restaurò (formalmente) l’autorità del Senato, concesse la cittadinanza romana a numerose colonie, favorì l’ascesa sociopolitica della “classe equestre”, rafforzò il dominio dell’Impero sulla Mauritania, la Giudea e la Tracia. Unitosi a Messalina in terze nozze, in seguito sposò la nipote Agrippina Minore, che gli fece adottare il figlio avuto da Domizio Enobarbo: il futuro Nerone.
Epicuro: filosofo greco. Nel 306 avanti Cristo inaugurò ad Atene una scuola fìlosofica (il Giardino), aperta sia alle donne che agli schiavi. Tema della riflessione epicurea era la ricerca della felicità; questione che il filosofo risolveva indicando lo strumento liberatorio dell’atarassia, ovvero di un sobrio, sereno, equilibrato distacco dalle passioni della vita. Allontanandosi progressivamente dalla sua originaria matrice greca, e a dispetto di non poche opposizioni (tra le quali quelle dei primi pensatori cristiani), la filosofìa epicurea conobbe una grande fortuna presso il mondo romano, complice la “divulgazione” che ne fece Lucrezio nel De rerum natura.
Messalina: moglie amatissima, ma non troppo fedele, dell’imperatore Claudio, il quale si vedrà costretto a condannarla a morte, quando lei congiurerà contro di lui per regnare con l’amante Silio.
Ovidio: autore dell’Ars amandi, delle Metamorfosi e di molte altre opere, tra le quali un trattato di cosmesi. Venne condannato all’esilio perpetuo sul Ponto Eusino (Mar Nero) da Augusto, a cui aveva probabilmente sedotto la nipote.
Seiano, Elio: prefetto del Pretorio. Dominò sull’Urbe, terrorizzandola, durante il ritiro nell’isola di Capri dell’imperatore Tiberio. Divorato dall’ambizione, divenne l’amante di Livilla, nuora dell’imperatore e sorella di Claudio, e col suo aiuto uccise il marito di lei, Druso, per prenderne il posto come erede al trono. Denunciato dalla matrona Antonia, madre della sua complice, venne trucidato assieme ai figli appena adolescenti. Livilla, invece, fu condannata a morire di fame dalla madre stessa, la quale aveva chiesto a Tiberio il diritto di punire personalmente la figlia.
Sosii: famiglia di librai, proprietaria di una copisteria già famosa ai tempi di Augusto, sita presso il Foro nel Vicus Tuscus, pochi passi dalla statua del Dio Vertumno.
Strabone: geografo antico, a cui si deve l’accurata descrizione di varie provincie dell’Impero.
GLOSSARIO DEI LUOGHI GEOGRAFICI.
Alessandria d’Egitto: fondata da Alessandro Magno, era la più grande metropoli dell’Impero dopo Roma.
Atlantide: mitica terra di altissima civiltà, di cui parlò Platone in un suo scritto.
Baia: rinomata città termale sulla costa campana, a poche miglia da Pozzuoli. Era la più celebre stazione di villeggiatura dell’Impero e tutti i grandi di Roma vi mantenevano una residenza estiva. Famosa ancora nel Medioevo, sprofondò lentamente a causa del fenomeno del bradisismo; a tutt’oggi, però, si possono contemplare le rovine delle ville e delle terme (site nel parco archeologico), mentre presso il museo è stato ricostruito il ninfeo della villa di Claudio, a suo tempo sommersa dalle acque.
Cappadocia: regione dell’Asia Minore.
Creta: l’isola, sede di una fiorentissima civiltà, venne distrutta da una serie di cataclismi, l’ultimo dei quali – l’esplosione del vulcano dell’isola di Thera (oggi Santorini), avvenuta nel 1450 avanti Cristo, ne stroncò definitivamente la potenza.
Alcuni studiosi identificano in quella catastrofe la fine della mitica Atlantide.
Epiro: regione corrispondente più o meno al territorio dell’odierna Albania.
Gades: l’odierna Cadice.
Gallia Cisalpina: i territori italiani a nord della linea segnata dai fiumi Arno e Rubicone. I latini, infatti, chiamavano “Italia” soltanto le regioni peninsulari del Paese.
Iberia: l’odierna Spagna.
Lanuvium: l’odierna Lanuvio, cittadina dei colli Albani, non lontano da Roma.
Mare Nostrum: così i quiriti chiamarono il Mediterraneo dopo averne fatto un grande lago romano, conquistandone tutte le coste.
Numidia: regione dell’Africa del nord.
Pannonia: l’odierna Ungheria.
Pithecusa (o Aenaria): l’odierna Ischia.
---------------------------------------
DANILA COMASTRI MONTANARI
Profilo biografico dell’autrice Danila Comastri Montanari, la créatrice della saga di Publio Aurelio Stazio, nasce a Bologna nel 1948. Lascia precocemente la scuola per entrare all’università e vivervi la sua stagione più calda.
Si laurea in Pedagogia e in Scienze politiche, poi per venti anni insegna e viaggia ai quattro angoli del mondo. Nel 1990 scrive il suo primo romanzo, Mors tua, e da allora si dedica a tempo pieno alla narrativa, privilegiando un genere, quello del giallo storico, che le permette di conciliare i suoi principali interessi: lo studio del passato (in particolare le civiltà antiche) e l’amore per gli intrecci mystery.
Accanita fumatrice, apprezza gli alcolici, rifugge dalle diete, frequenta stazioni termali e scavi archeologici, legge polizieschi, saggi di storia, classici latini, greci e cinesi. È una fanatica utente di Internet, dove mantiene alcuni siti web.
Vive in una grande casa al centro di Bologna col marito, la figlia, due gatte, un pappagallo, duecento piante, diecimila libri e cinque computer.
Volumi già pubblicati: CAVE CANEM
MORITURI TE SALUTANT
PARCE SEPULTO
CUI PRODEST?
SPES, ULTIMA DEA