18.
Sesto giorno prima delle None di Ottobre.
Oppia mandò un gridolino di gioia quando l’affascinante principe orientale le si parò dinanzi in tutto il suo splendore.
Il greco era arrivato in pompa magna, nella lettiga di Aurelio, preceduto dai nominatori che battevano la strada al grido di- Largo a Tolomeo Castore!: Largo al nobile Castore! La ruffiana era quasi intimidita da quell’alto personaggio che le dimostrava tanto apertamente il suo favore.
- Mia dolcissima, non c’è festa, stasera?
- Entra, entra, la gente sta per arrivare! – lo accolse deliziata la lenona.
Poi, guardandosi attorno circospetta: – E il tuo amico, il senatore?
- Non credo che verrà.
- Meno male! Non mi è troppo simpatico, sai! Ha dei modi così spiacevoli, non come i tuoi, sempre corretti e signorili! Inutile, si vede subito quando un uomo ha ricevuto un’educazione raffinata!
- Ho avuto la fortuna di godere di ottimi maestri! – si schermì modestamente Castore, con un fuggevole pensiero al brutale sorvegliante che, frusta alla mano, gli aveva insegnato i rudimenti del saper vivere, negli angiporti di Alessandria. – Ma non devi giudicare male Aurelio: d’accordo, non ha certe sottigliezze, ma è una brava persona.
Comunque stai tranquilla: stasera ha un altro impegno- assicurò il greco, cercando di figurarsi il padrone, munito di una chiave universale che gli aveva fornito lui stesso, un ricordo di certe sue precedenti attività lavorative. che aspettava nella notte il momento propizio per entrare nei cubicoli sul retro del lupanare: proprio per questo era importante che Oppia non sfuggisse un solo istante alle attenzioni del suo principesco corteggiatore.
Castore scomparve, inghiottito dal postribolo, mentre Aurelio col viso nascosto da un cappuccio osservava la scena rannicchiato sul gradino del vicolo, col capo reclino tra le braccia come un ubriaco addormentato.
Passarono due ore prima che il patrizio si decidesse ad alzarsi: due interminabili ore durante le quali i suoi alluci curatissimi, che solo Nefer poteva toccare, vennero calpestati più“ volte dai clienti frettolosi e la sua orgogliosa schiena patrizia fu ripetutamente raggiunta dalle pacche dei buontemponi che entravano e uscivano dal bordello.
Qualcuno, in vena di generosità“, gli aveva persino lasciato cadere qualche spicciolo nelle falde del mantello sdrucito.
Finalmente il vicolo rimase deserto.
Il senatore si affrettò verso la porta e, manovrando abilmente l’attrezzo fornitogli da Castore, in pochi istanti riuscì a entrare.
Orientandosi al buio nello stretto corridoio, raggiunse la stanzetta che aveva accolto gli amori dei due giovani sfortunati.
Dalla sala venivano clamori di ogni genere: l’orgia era ormai al culmine.
D’un tratto la voce strascicata della ruffiana risuonò a pochi passi da lui: – Perchè non qui, mio bene? vieni, presto.
Oppia è tutta tua! Aurelio riuscì a stento a trattenere un risolino immaginando il povero Castore brancicato dall’orrida tardona.
Ma già udiva nel corridoio la voce melliflua del greco, che dirottava abilmente quella piattola amorosa verso un’altra alcova.
Dovrò dargli un prè mio molto grosso, per questo increscioso servizio, pensò vagamente contrito.
I gridolini striduli di Oppia, travolta dalla passione, echeggiavano nella tromba delle scale: per il momento Aurelio poteva considerarsi al sicuro nel suo nascondiglio.
Non dovette aspettare molto: subito dopo udì“ un fruscìo leggero venire dal cubicolo attiguo e la luce fioca di una lanterna a olio illuminò lo sfiatatoio tra le due stanze.
Silenzioso come un gatto Aurelio salì sul letto di pietra e, rizzandosi in tutta la sua notevole statura, spiò all’interno della cameretta.
Il pertugio era stretto e quel che vide, all’inizio, fu solo un’onda di seta color dell’ebano.
Poi due braccia bianchissime, dalla formaperfetta, si levarono alte a raccogliere in una reticella sulla nuca una massa di riccioli scuri.
Infine una morbida parrucca bionda, cui avevano visibilmente contribuito le chiome di molte schiave all’estremo nord, scese a coprire lo splendore dei capelli corvini.
Infine, con un gesto aggraziato che a Roma non aveva uguali, la donna si voltò.
Un po’ “più” tardi Aurelio, a viso scoperto, si presentava, nel suo modesto abbigliamento, alla porta del bordello.
Il portiere lo riconobbe e lo fece entrare senza difficoltà“, ben sapendo che parecchi avventori preferivano partecipare in incognito ai festini di Oppia.
La donna d’oro, col viso celato dalla solita maschera preziosa, aveva appena finito di danzare e molti clienti stavano ancora applaudendo.
Flavio, che era stato fra gli spettatori più“ entusiasti, cercava di trascinarla con sé.
- Stasera, no, Flavio! – la voce del senatore, nonostante il tono garbato, aveva una durezza che non ammetteva repliche.
- Stasera questa signora si è scelta un altro cavaliere!
Un lampo di furore passò negli occhi del biondo.
Intorno, molti ridacchiavano.
Aurelio capì che Flavio stava prendendo in considerazione l’idea di ribellarsi a quell’oltraggio.
Ma fu solo un attimo.
Lentamente il bulletto lasciò la donna che, senza esitare, prese la mano del nuovo venuto.
Il patrizio con un inchino la guidò tra il pubblico entusiasta: evidentemente il giovinastro non aveva molti sostenitori, nemmeno lì, nell’ambiente che gli era più“ congeniale.
La bellissima danzatrice ricominciò a ballare, ma adesso tutte le attenzioni erano rivolte ad Aurelio.
Flavio, sempre fissandoli, continuò arretrando finché, giunto in fondo alla sala, uscì senza una parola.
La donna sorrideva al disinvolto magistrato che, con un nodo alla gola, ne contemplava le forme sinuose trascinate dalla musica in un crescendo parossistico di sensualità.
A ogni fremito dei cembali le dita sottili dalle unghie di metallo si tendevano verso di lui per sfiorarlo e suo malgrado Aurelio sentiva un brivido di eccitazione.
Gli spettatori battevano il tempo, rapiti.
Alzando per un attimo lo sguardo verso la balconata, il patrizio vide, con la coda dell’occhio, l’espressione incredula di un certo alessandrino che, avvinto dalle braccia tentacolari della ruffiana, lo fissava indignatissimo.
Pochi istanti dopo, guidato dalla donna d’oro, percorreva lo stretto corridoio sul retro.
Il cubicolo era completamente buio: anche la piccola lanterna del soffitto era spenta.
La donna gli si premette addosso quasi stordendolo col suo profumo.
Le aristocratiche non sopportano gli effluvi malsani, e tanto meno il lezzo della plebe, pensò Aurelio, aspirando profondamente l’aroma che emanava dal corpo flessuoso stretto tra le sue braccia.
La bocca vellutata lo cercò nel buio: una frase caustica gli saliva perentoria alle labbra ma la ricacciò indietro, con forza. Non doveva fare altro che tacere, tacere e accettare quella voluttà insperata, che gli giungeva come un dono inatteso degli dèi.
Ma nell’istante in cui la donna gli voltò le spalle per guidarlo alla piccola alcova di pietra l’incanto delle sue membra morbide lo abbandonò per un’istante e le parole che non doveva pronunciare gli uscirono dalle labbra beffarde come dotate di una volontà propria: – Ave, Valeria Messalina Augusta!
Aurelio sedeva esausto nel suo studio, col capo tra le mani.
Uscito dal lupanare si era avviato a passi lenti lungo il vicolo, con le orecchie tese a carpire ogni rumore alle sue spalle, sicuro di trovarsi da un momento all’altro una lama gelida fra le costole.
Il colpo, invece, non era arrivato: l’aveva atteso, pregustato quasi, mentre, irrigidito dalla paura, si sforzava di mantenere un’andatura normale e lottava contro l’impulso fortissimo di voltarsi a guardare in faccia la morte.
E adesso era lì, sano e salvo e Castore lo fissava inviperito.
- Se non fossi il mio signore e padrone ti direi.
- Che sono un imbecille- termina il patrizio, per lui.
- Lingua sacrilega! Non puoi proprio resistere alla tentazione di stupire a ogni costo! Il sagace Aurelio! Il brillante Aurelio! Ah, che sublime soddisfazione dev’essere stata, buttare in faccia a un’imperatrice il tuo divino acume.
Spero che ti sia divertito molto, padrone, perché questa bravata la pagheremo cara!
- Mi sono dato del cretino cento volte! Non credevo di arrivare a casa intero.
- E non lo rimarrai a lungo, temo, se non farai qualcosa.
Già due persone sono morte perché non potessero sussurrare il nome che tu, mio scaltro signore, hai ritenuto opportuno gridare ai quattro venti!
- E“ vero. Dinah e Rubellio devono aver ricattato Flavio perché ottenesse da Messalina l’approvazione del Palatino al loro matrimonio, in cambio del silenzio su quanto avevano visto.
Chi avrebbe potuto opporsi a un ordine imperiale? Non certamente Mordechai e neanche Decimo! Invece….
- Invece Flavio ha risolto il problema a modo suo.
E adesso ha un altro furbone da far fuori.
- Pensi che aspetterò“ inerme che quel pallone gonfiato mi faccia la pelle? Stavolta non ha a che fare con due ragazzetti ingenui: sono un magistrato e la mia parola vale ancora qualcosa.
Basterebbe che presentassi una denuncia formale. l’adulterio oggi è cosa di tutti i giorni, ma se l’offeso è il principe in persona, la musica cambia!
- Delitto contro lo stato, alto tradimento e zac! – fece Castore passandosi un dito sulla gola.
- Tradire Cesare è tradire Roma! – Scriverò una lettera a Claudio, da recapitare soltanto se mi succedesse qualcosa.
E l’Augusta dev’esserne informata subito!
- Senza uno straccio di prova?
- Il sospetto è sufficiente. la denuncia di un senatore non si può insabbiare con facilità, soprattutto se chi l’ha firmata è stato appena trovato stecchito.
No, a Messalina non conviene farmi scomparire: Claudio, per quanto innamorato, non è stupido: andrai immediatamente da Flavio! Meglio trattare con lui: è anche possibile che la nostra affascinante sovrana non sappia nulla dei due delitti. il giovinastro può aver fatto tutto da solo.
- Io, da quel macellaio? Ma sei matto? – Castore stralunò gli occhi. – Non sono un senatore, io! Mi strangolerà prima che possa aprir bocca! Quanto ci vuole a togliere di mezzo un povero schiavo?
- Liberto, – rettificò il padrone.
- Perchè? La libertà mi rende forse invulnerabile? E cosa ci ho guadagnato, poi, dalla libertà? Grane, nient’altro che grane! Tu continui a cacciarti nei guai e io a tirarti fuori! Mentre il nobile Aurelio passa il suo tempo rincorrendo una smorfiosa, a chi tocca il lavoro sporco? A Castore, naturalmente! – protestò il servo.
Era balzato in piedi e fronteggiava il padrone con le mani sui fianchi, trasudando indignazione da tutti i pori, fermo in una posa che avrebbe fatto la delizia di Sofocle in persona.
- Chi deve tenersi in camera un ricercato? Castore, è ovvio! Chi è incaricato di sedurre le vecchie puttane buone solo per il letto di Caronte? – proseguiva il greco, deciso a sfruttare a fondo le risorse della retorica per rendere più“ appassionata la sua filippica.
- E, infine, chi viene mandato inerme a ricattare gli assassini? Quello scemo di Castore, certo! Ma adesso basta: mi licenzio.
- E quando mai ti ho assunto, piantagrane della malora? Hai scordato forse che ho dovuto sborsare una cifra esorbitante al tempio di Alessandria per tirarti giù in extremis dal capestro, a rischio di avere alle costole tutti i sacerdoti di Ammone che avevi derubato?
- D’accordo, qualcosa per me l’hai fatto, ma è stato molto, molto tempo fa, e io te l’ho restituito con gli interessi!
- Su, su, – fece Aurelio conciliante – non hai che da recapitare un messaggio!
- Al primo passo verrò infilzato!
- Non esagerare! Flavio è un vigliacco: non ammazzerebbe mai qualcuno in casa sua!
- No, infatti, non in casa sua, subito fuori della porta!
- Andiamo! Nessuno può pensare che un avveduto patrizio metta a parte dei suoi segreti un infido levantino come te! Se andassi io, sì, che sarebbe pericoloso.
Dà i! E“ roba di un momento! minimizzò. – Gli consegni la missiva e te ne vai!
La strenua resistenza del greco pareva sul punto di cedere.
Aurelio si fece insinuante.
- Per la nostra antica amicizia.
- Se non fossi il mio signore e padrone ti spiegherei dove puoi metterla, la nostra antica amicizia!
- Per il dovere che ti lega al tuo protettore. – un gestaccio di sconcertante eloquenza persuase il senatore a cambiare registro.
- Per una cointeressenza nella mia agenzia in Egitto.
Sul viso del liberto comparve l’ombra del dubbio.
- Al cinquanta per cento? – arrischiò.
- Sei matto? Al dieci, prendere o lasciare. – ribattè drastico Aurelio.
Non poteva permettere a quella sanguisuga di mungerlo a suo piacimento.
- Venti.
- Quindici. Non un sesterzio di più“.
- E va bene, ma questa è l’ultima volta! – acconsentì il greco di malagrazia.
- Ottimo, vai da Flavio e recapitagli questa lettera- ordinò il patrizio consegnandogli un rotolo sigillato. – E sbrigati, ogni istante è prezioso! Castore parve esitare.
- Ma sia ben chiaro- aggiunse prima di uscire. – Quando questa storia sarà“ finita, io me ne andrò” per la mia strada, e tu per la tua!
- Con piacere! – ribattè il patrizio risentito.
Sarebbe stato meglio senza quel ladro matricolato fra i piedi! Era ora che nella sua casa entrasse un tocco di gentilezza, di femminilità, al posto dell’arroganza di quell’imbroglione! Castore si chiuse la porta alle spalle, in silenzio.
- Ave atque vale! – borbottò Aurelio furioso.
Se ne andasse pure agli Inferi quel farabutto! Poteva benissimo fare a meno di lui!
Si sdraiò cercando di calmarsi: il voltafaccia del vecchio amico lo irritava più“ del pericolo che stava correndo.
Il saggio non si fa coinvolgere dalle passioni, ma conserva intatta la sua serena superiorità. recita attingendo alle massime del suo diletto Epicuro.
Moderazione, controllo, olimpico distacco.
- Che quello schiavo maledetto possa sprofondare nel Tartaro! esplose, balzando in piedi e afferrando furiosamente una preziosa anfora di Coo.
Il vaso andò“ a infrangersi contro la parete di fondo, esattamente sulla faccia di Marte, intento ad amoreggiare con Venere nell’affresco multicolore.
Ad Aurelio parve per un attimo che gli occhi del dio lo fissassero stupiti.
- Bè? Cos’hai da guardare? – gli domandò con stizza. si sentiva un po’“meglio: chi osava sostenere che la filosofia non serviva a nulla? E, finalmente, si mise a dormire.