6.
Vigilia delle None di Settembre.
- Ave Publio Aurelio Stazio!
- Ave, nobile Aurelio Stazio.
- Ave, ave! – salutava il patrizio a destra e a manca, riconosciuto dai frequentatori abituali delle Terme mentre cercava di distinguere tra la folla la vistosa mole di Servilio, col quale aveva appuntamento.
L’amico gli aveva assicurato che nei bagni di Agrippa, gli sarebbe stato facile incontrare Flavio e la sua compagnia.
Dopo un rapido giro di perlustrazione nel vestibolo, interrotto dagli omaggi insistenti di alcuni clientes desiderosi di sottoporgli pratiche e suppliche, il senatore si diresse verso lo spogliatoio per consegnare ai custodi gli indumenti, seguito da un piccolo corteo di balneatores che reggevano gli strumenti indispensabili alle abluzioni.
Finalmente la sua attesa venne ricompensata: in fondo alla sala marmorea, proprio sotto gli armadietti personali, un gruppo di pivelli era intento a scambiarsi scherzi pesanti.
Ostentando la muscolatura rigonfia, frutto di lunghe ore di palestra, i ragazzotti si vantavano delle loro conquiste amorose.
Un uomo fatto, biondo e superbo, li prendeva in giro tutti con aria di superiorità e Aurelio riconobbe immediatamente il famoso Flavio che aveva avuto già occasione di incontrare come ospite in alcune case, dove si era fatto un punto d’onore di non tornare.
Passando accanto al gruppetto il patrizio colse un brano di conversazione.
- Lo sai che Bacchide non ti perdona la tua nuova fiamma? stava dicendo al capobanda uno dei suoi scherani. – Ieri sera, da Oppia! era furente, poveraccia!
- Dovrà rassegnarsi: adesso ho di meglio! – replicò Flavio strizzando l’occhio.
- Non vorrai imitare Rubellio, spero!
- Chi, io? Ma sei matto? Quello lì, al bordello, non lo rivedremo per un pezzo!
- Non lo sai che è innamorato? – intervenne un giovanottino tutto pelle e ossa mettendosi a ballonzolare con aria affettata nel penoso tentativo di imitare l’amico assente.
A ogni piroetta gli sobbalzava sulla fronte una corona di ricciolini che doveva essergli costata un giorno intero di seduta dal parrucchiere.
- Addio donne, povero Rubellio! – rise sguiatamente il biondo.
- E addio banchetti!
Ad Aurelio non parve il momento adatto per abbordare Flavio e si allontanò discretamente, certo d’incontrare di nuovo la brigata in qualche sala o nella piscina: era chiaro che il gruppo faceva di tutto per mettersi in mostra e catturare l’attenzione degli altri bagnanti e non se ne sarebbe andato presto.
Si fermò un momento nel tepidarium, per assuefarsi all’aria rovente che lo attendeva nella sauna.
Non appena si fu seduto, si avvide del madornale errore commesso: da un groviglio di lenzuoli candidi emerse una mano stecchita che lo arpionò decisa.
- Avevo proprio bisogno di parlare con te, caro Stazio, a proposito di quel decreto.
- Certo, Lentulo, certo, ma adesso…. – inutile: l’inesorabile collega, il più“ anziano e noioso del Senato, ormai l’aveva catturato e non se lo sarebbe lasciato scappare prima di avergli esposto, con la consueta mortale prolissità, la sua opinione del tutto irrilevante su una ventina di delibere della Curia.
- Sarebbe interessantissimo, Lentulo, ma io…. – cercava di tergiversare Aurelio, ormai rassegnato al suo destino, quando, con perfetto tempismo, Castore apparve sulla soglia.
- Padrone! Un problema urgentissimo! Servilio ti sta aspettando!
Preso un repentino congedo dal vecchio senatore che continuava imperterrito a parlare da solo, Aurelio seguì il liberto con un sospiro di sollievo.
- Hai davvero trovato Servilio?
- Certo, ma c’è tutto il tempo di passare dal sudatorium se vuoi: ha appena cominciato gli esercizi ginnici.
Il patrizio sogghignò: a Servilio non avrebbe fatto male un po’“di moto per disfarsi dell’adipe a cui l’irresistibile golosità lo condannava.
Quando alla fine lo raggiunse, l’amico stava tentando di sollevare due manubri piuttosto leggerini, ma in verità accompagnava lo sforzo con infiniti sbuffamenti e brontolii.
- Vecchio pigrone, guarda! Sono leggeri come piume! – rise Aurelio sollevando con eleganza gli attrezzi.
- Per te, forse.
E poi, se vuoi il mio parere, questi sforzi fanno ingrassare di più“: vengo qui tutti i giorni a farmi tormentare da quell’aguzzino – si lamentò Servilio additando l’allenatore – e quando esco mangio il doppio per rifarmi delle energie perdute!
- Su, presto: la banda di Flavio è qui e devo cercare un pretesto per attaccare discorso! – lo mobilitò Aurelio, poi, prendendo per un braccio Castore: – Stanno per entrare, vieni: giochiamo a trigono- propose raccogliendo dal pavimento tre piccole palle dure.
Ogni giocatore, al via, doveva lanciare a sorpresa la palla a un avversario e se si era presi di mira da due palle contemporaneamente occorreva molta destrezza per non lasciarle cadere.
Inutile dire che, dopo poche battute, Servilio si diede per vinto.
I suoi goffi tentativi, però, non erano passati inosservati alla combriccola che entrava in quel momento e il poveretto venne subito bersagliato dai giovinastri con una raffica di commenti osceni.
- Guardala, la gioventù della Roma bene! Buoni solo ad andar per bordelli e ad assalire la gente per la strada! – sbottò indignato il bravo cavaliere.
- Chi è quello coi riccioli? – Curzio, il primogenito dell’exconsole, l’altro è Bosso, un provinciale pieno di soldi.
- il biondone lo conosco già, purtroppo: è il famoso Flavio, ma quello alto a sinistra non so localizzarlo.
- E“ Gaudenzio. Sta attento: sua madre è nelle grazie di Pallante, il potentissimo liberto dell’imperatore.
Ovviamente ci va a letto.
- Buono a sapersi.
L’ultimo si chiama Gallio, l’ho incontrato a un banchetto: è uno spiantato.
- Tutti e quattro assieme, quei mocciosi non fanno ottant’anni, e Flavio li comanda a bacchetta.
Suo padre ormai è moribondo, così presto potrà finire in santa pace di sperperare il patrimonio di famiglia.
- Ma quei prestiti “a babbo morto” non sono stati proibiti da Claudio?
- Sì, col bel risultato che adesso i bravi figlioli arrivano ad assoldare dei sicari per abbreviare la lunga attesa.
Anche sulla misteriosa malattia di Flavio Fusco si fanno strane ipotesi.
Con gli ambienti che frequenta il figliolo. – insinuò Servilio.
I giovani intanto si erano portati in mezzo alla palestra dove Flavio, forte della sua età e della corporatura robusta, li stava sfidando a uno a uno.
Fu un gioco, per il robusto capobanda, atterrare i compagni imberbi, tanto più“ che non risparmiava scorrettezze.
Quando l’ultimo ragazzino finì al tappeto, il biondo, gonfio di superbia, si asciugò il sudore con un gesto soddisfatto.
Con un sorriso apertamente ironico, Aurelio gli battè le mani.
- Che c’è, nonnino? Non ti piace come combatto? – lo affrontò il giovinastro, ben felice di attaccar briga.
- Niente da dire: il tuo maestro ti ha insegnato bene a picchiare i bambini! – lo schernì Aurelio che non aveva apprezzato l’epiteto.
- Vuoi provare tu, o ti manca il fiato, vecchietto? – lo sfidò Flavio, truce.
Aurelio non se lo fece dire due volte: a quarant’anni si manteneva senza sforzo in forma perfetta e aveva sempre avuto un debole per la lotta.
- Vengo subito, moccioso, ma a un patto: ho visto che non ti piace troppo osservare le regole e non piace neanche a me.
Senza esclusione di colpi?
- Senza esclusione di colpi! – accettò il giovane, sicuro della propria forza.
Servilio, preoccupato, cercò di trattenere l’amico, mentre Castore, che pregustava la gioia di vedere finalmente al tappeto il severo padrone, si trovò subito un posto in prima fila, per assistere comodamente all’incontro.
La notizia si sparse velocemente e la palestra si riempì di spettatori che puntavano sull’uno o sull’altro contendente: i quiriti erano un popolo di inguaribili scommettitori e si mormorava che perfino l’eroismo dei soldati romani in guerra fosse dovuto al desiderio di non perdere le grosse somme puntate sulla vittoria delle rispettive legioni.
I due, intanto, si erano portati al centro della sala.
Flavio non aspettò il via per caricare con forza, dopo un finto affondo, subito scansato dall’agile senatore.
Barcollò un attimo, ma si riprese e tentò di agganciare una gamba all’avversario che gli sfuggì prontamente.
Dopo un altro paio di assalti andati a vuoto il brusio degli astanti si trasformò in un clamoroso vociare.
- Perchè non attacchi, vigliacco? Avanti, vieni avanti! – incitava Flavio, furibondo, mentre i suoi sostenitori bersagliavano Aurelio di monetine e di noccioli di frutta.
Il patrizio, per nulla preoccupato, attendeva immobile.
D’un tratto, senza il minimo preavviso, afferrò al corpo lo sfidante e lo fece volare in aria con una mossa velocissima.
Flavio ricadde pesantemente sulla schiena e il patrizio gli fu sopra, bloccandolo con le spalle a terra.
La piccola folla applaudiva freneticamente.
Aiutandolo a rialzarsi, Aurelio strinse la mano dello sconfitto con formale cordialità.
Anche il giovane accennò a un sorrisetto tirato, ma Aurelio non si lasciò ingannare: si era fatto un nemico mortale.
L’umiliazione di esser stato messo a terra davanti a tutta la sua banda bruciava a Flavio più“ dei ferri del carnefice.
Tornando dai suoi, il patrizio dovette vedersela con l’entusiasmo smodato di Servilio, che, non potendo ottenere di persona certi successi si rifaceva immedesimandosi nelle vittorie dell’amico.
Castore, invece, lo sogguardava con l’espressione delusa di chi si è visto sottrarre all’ultimo momento un dono insperato.
In quella il biondo arrivò alle loro spalle.
- Senti, sei in gamba.
Me lo insegneresti, quel colpo?
- No, ma posso insegnartene altri.
- Voglio imparare quello!
- No. E“ il segreto di un vecchio maestro, venuto da molto lontano, che riscattai dalla schiavitù tanti anni fa.
Mi fece giurare di rivelarlo a una sola persona, in tutta la mia vita.
- E l’hai già fatto? Aurelio scosse la testa.
- Il vecchio sosteneva che la sua disciplina non riguardava tanto il corpo, quanto lo spirito: un giorno troverò qualcuno degno di impararla.
Flavio sembrò contrariato, ma mandò giù anche quel nuovo smacco: arrogante coi deboli, era vile coi più“ forti.
- Senti, c’è una festa da Oppia stasera.
Mi piacerebbe che tu venissi. Non potendo batterlo, conviene farselo amico, pensava in cuor suo il teppistello, e ci teneva che il patrizio avesse occasione di ammirarlo nell’ambiente che gli era più“ congeniale: evidentemente godeva di larga popolarità in quel postribolo famoso in tutta l’Urbe per le orge sfrenate che vi si svolgevano.
Aurelio non era un frequentatore di bordelli, ma non temeva certo di mettervi piede.
Accettò quindi di buon grado, tanto più“ che avrebbe avuto modo d’incontrare Oppia, che la nutrice aveva nominato a proposito di Dinah.
- Che c’è, l’idea di una seratina galante non ti va? – domandò Aurelio al segretario imbronciato, sulla via del ritorno. – Pensavo che mi avresti accompagnato.
- Non mi sottraggo davvero, se paghi tu!
- Allora cos’è quella faccia offesa? – Niente: è solo per i sesterzi che mi hai rubato!
- Ma quali?
- Quelli che avevo scommesso su Flavio, naturalmente!
- Largo alla lettiga del nobile Aurelio! – Largo al nobile Aurelio Stazio, senatore di Roma! Gli schiavi annunciatori avevano il loro daffare a sgomberare la strada davanti alla portantina: per quanto si affannassero, agitando le torce, né i loro sforzi, né il nome dell’illustre personaggio, riuscivano ad aver ragione dei carri, dei buoi e dei cavalli che intasavano il passaggio.
Prevedibilmente il traffico nell’Urbe era peggiore alla sera che nelle ore diurne: da molto tempo la legge proibiva di percorrere durante il giorno le vie della capitale con veicoli trainati da animali, quindi tutte le consegne e gli approvigionamenti potevano aver luogo soltanto dopo il calar del sole.
Aurelio, adagiato sui morbidi cuscini della lettiga, osservava dalle cortine aperte il viavai frenetico, gustando il chiasso e l’agitazione che lo circondavano da ogni parte.
Non aveva nessuna fretta di arrivare al bordello, dove il festino sarebbe durato fino all’alba.
Con un’accurata strategia di spintoni e gomitate, la comitiva arrivò finalmente, quasi indenne, alla Porta Caelimontana, dalla quale si intravedeva l’imboccatura del Clivius Scauri.
Il lupanare era a metà della strada, in un palazzo non privo di pretese: gli affari di Oppia dovevano andare a gonfie vele se poteva permettersi di pagare l’affitto di un edificio così spazioso.
Fuori della porta, gruppi di fannulloni, che per ragioni di bolletta non potevano entrare, partecipavano ai festeggiamenti con urla e schiamazzi.
Benchè amasse l’allegria e la confusione, Aurelio ringraziò i Numi di abitare in una tranquilla domus sul Viminale, raggiunta raramente dai rumori molesti della vita notturna.
Non appena mise piede fuori dalla portantina, gli fu accanto il fido Castore, che in quelle occasioni rivelava tutta la sollecitudine di cui difettava spesso sul lavoro.
- Si entra, si entra, padrone? – domandò visibilmente ansioso di tuffarsi nel festino.
- Tra un attimo, Castore: voglio ricordarti che siamo qui per uno scopo ben preciso.
Se pensi di saltare addosso alla prima pollastrella dipinta che ti abborderà all’ingresso e di finire ubriaco senza aver portato a termine il tuo incarico, sappi che, in questo caso, fingerò di non conoscerti e ti lascerò l’intero conto da pagare.
- Sì, sì, lo so che devo occuparmi della ruffiana, ma questo non esclude che possa concedermi un piccolo interludio con qualche ragazza graziosa.
Dì, ma l’hai mai vista, tu, Oppia?
- No, ne ho solo sentito parlare.
- Appena la vedrai, ti renderai conto di cosa mi chiedi! Il portone si spalancò davanti ai due ospiti e un bailamme di urla, canti, e musiche li investì.
Dalla calca sudaticcia emerse, torreggiante, una donna magrissi ma che l’enorme parrucca faceva sembrare ancora più“ alta.
- Benvenuto nella mia casa, senatore Stazio! La tua visita è un onore! Il leggero velo di Coo che copriva sommariamente la gigantessa lasciava intravedere, delle sue grazie sfiorite, molto di più“ di quanto il buon senso, prima ancora del buon gusto, avrebbe dovuto permettere.
Imbellettata fino alla punta delle orecchie, la mezzana esibiva senza pudore un ventre non più“ elastico ormai da anni, in mezzo al quale faceva bella mostra di sé un gioiello prezioso, incastrato saldamente nell’ombelico appassito.
- Ho le ragazze più“ belle di Roma, senatore! Tutta roba di altissima qualità!
- Speriamo che non le somiglino. – gemette tra sé il raffinato patrizio seguendola.
- Certo non vorrai mescolarti a questa folla di plebei! Vieni, ho un piccolo palco tranquillo dal quale potrai godere la festa indisturbato e scegliere con comodo la donna che preferisci – offerse Oppia, guidandolo per una scaletta fino al piano superiore, che si apriva sulla sala del banchetto in una larga balconata.
Il camerino riservato ostentava una certa eleganza: stoffe e cuscini erano insperabilmente puliti e persino le scene erotiche affrescate sulle pareti non mancavano di garbo, nella loro oscenità.
Dalla balconata Aurelio si mise a osservare le lupae al lavoro: avvolte in succinti costumi orientali, esibivano attributi nient’affatto disprezzabili.
I seni scoperti, occasionalmente brancicati da clienti frettolosi, erano sostenuti da strisce di pelle e da catenelle d’argento; qualcuna si esibiva coperta soltanto della biancheria intima: una fascia intorno al petto e un ridottissimo perizoma, che, avvolgendo i fianchi, passava tra le gambe e si allacciava sul ventre con una fibbia preziosa.
Aurelio sorrise divertito, pensando alle molte occasioni in cui aveva ammirato in quell’abbigliamento sommario insospettabili matrone dalla reputazione integerrima.
I gesti sconci, le risate ebbre, i bà lli scatenati, assorbirono l’attenzione del patrizio, ma non tanto da impedirgli di cercare, tra i visi degli ubriachi, quello dell’antipatico Flavio e di qualche membro della sua banda.
Inutile: il giovane doveva essersi ritirato in un cubicolo con una ragazza, oppure si sarebbe presentato alla festa a notte fonda, per rendere più“ spettacolare il suo ingresso.
D’un tratto, mentre osservava le scene lascive che gli scorrevano davanti, Aurelio notò lo strano comportamento di una biondina che, visibilmente concupita da un ometto calvo nel quale riconobbe subito un onorevole collega, cercava di schermirsi e di rimandare il più“ possibile l’incontrogalante al quale era tenuta per contratto.
Il fatto l’incuriosì tanto, che decise di chiamare il servo addetto al camerino.
Gli si presentò un essere ibrido, cui difficilmente si sarebbe potuto attribuire un sesso preciso: dipinto di azzurro da capo a piedi, l’efebo non mostrava traccia di barba o di pelo in tutto il corpo.
La curva aggraziata delle sue spalle finiva in un busto femmineo dove era possibile scorgere una traccia morbida di seno.
La si sarebbe detta una fanciulla in boccio, se un gonfiore sospetto sotto il perizoma non avesse smentito categoricamente la prima impressione.
Lo strano ermafrodito gli sorrise languidamente.
- Ho scelto la ragazza: voglio quella bionda, laggiù, coi capelli corti e dritti, e la collana di turchesi.
L’androgino parve imbarazzato: – Veramente credo che sia riservata a un cliente fisso. un personaggio importante.
- Sì, l’ho visto e so chi è.
Ma io sono molto più“ importante di lui, quindi chiama la ragazza e spiega al pelatone che la vuole Aurelio Stazio.
Sta certo che non protesterà, con tutti i soldi che mi deve.
Pochi minuti dopo la giovane gli si presentava, riconoscente.
- Non so chi tu sia, ma mi hai tolto da un bell’impiccio! esclamò con un sospiro di sollievo. – Quel vecchietto è tremendo.
Da quando è diventato impotente, ci tormenta con delle richieste atroci: l’ultima volta, quando sono uscita dalle sue grinfie, han dovuto chiamare il medico! Aurelio registrò mentalmente l’informazione: un giorno avrebbe potuto venirgli utile.
- Medico? – domandò poi, interessato. – Da che medico andate, voi del lupanare? – Oh, se è per questo, siamo ben curate: Oppia ci tiene alle sue dipendenti e le vuole in perfetta salute.
Vive nel terrore che qualche pezzo grosso possa dire di aver preso una malattia nel suo locale! Ha fatto un contratto con Demofonte e ci fa visitare periodicamente; se qualcuna non è del tutto a posto la vende subito a un bordello meno qualificato.
- Demofonte, hai detto? – Sì, abita poco lontano da qui e con tutti i casini che ci sono, in questo rione, ne fa di soldi, beato lui!
Ma dì, non mi avrai chiamato soltanto per parlare, eh?
- Perchè no, mia bellissima? – replicò Aurelio lasciandole intravedere un pugno di monete luccicanti.
La ragazza si insospettì: – Dobbiamo essere molto riservate, noi! Sai cosa succederebbe, se andassimo a raccontare in giro quello che vediamo qui? Ne sappiamo, di cose, noi lupae!
- Non ti piacerebbe, prima o poi, comprarti la libertà e metterti in proprio?
Aurelio sapeva di aver toccato il tasto giusto: il sogno di ogni schiava di lupanare era l’affrancamento e un bugigattolo dove esercitare l’antica e nobile professione senza costrizioni di sorta.
- Eccome! Ma di questo passo, quando riuscirò ad andarmene di qui sarò“ tanto vecchia che non mi vorranno più” nemmeno gli schiavi! E poi posso ritenermi fortunata: questo è un locale di lusso e i clienti scuciono fior di sesterzi.
Prima ero in un posto che te lo raccomando! – Dimmi quello che m’interessa e vedrò di fare qualcosa.
Potresti piacermi tanto da volerti comprare per me! – disse Aurelio sottovoce accarezandole il ventre scoperto.
La ragazza tacque dubbiosa: stava valutando rapidamente il rischio.
E se quell’uomo le avesse estorto informazioni riservate per poi piantarla in asso, alle prese con la ruffiana e coi clienti inviperiti?
- Cosa vuoi sapere? – domandò circospetta.
- Tutto sulla banda di Flavio: è lui che mi ha invitato.
- Oh, quelli! Ragazzetti smaniosi: a volte arrivano carichi di soldi, altre volte vanno a credito perché non hanno un asse.
Oppia li prende lo stesso: Flavio ha un padre molto ricco, che ha già un piede sulla barca di Caronte.
Non appena il vecchio sarà“ precipitato nell’Ade, si rifarà abbondantemente: il figlio ha la penna facile a firmare obbligazioni! – Chi di voi va con Flavio? Qualcuna in particolare? – Prima un po’”tutte, ma adesso c’è la diva.
Sì, un’esterna, che ogni tanto viene a ballare.
Devo ammettere che ha un gran bel corpo, ma il viso nessuno l’ha mai visto, lo tiene sempre coperto. Dì, a te non verrebbe il sospetto che fosse sfigurata, o che avesse qualche malattia schifosa? Bè, Flavio se la fa proprio con quella.
- Stasera c’è questa meraviglia? – No, arriva quando le pare, si vede che non ha poi così bisogno di quattrini.
Avrà una clientela fissa a casa sua.
- Com’è? – Te l’ho detto, non si mostra a nessuno: io credo che sia solo un trucco per alzare il prezzo.
Giudicando dal fisico, dev’essere giovane, più“ o meno della mia età.
Ha i capelli biondissimi e ricci.
Così gialli non li avevo mai visti, e sì che sono bionda anch’io e in più“ mi schiarisco col grasso di Magonza.
- A proposito, dove sono finiti i tuoi capelli? – domandò Aurelio indicando la zazzeretta maschile della sua compagna.
- In testa a Oppia, insieme a quelli di molte altre! Lei dice che ai clienti piaccio di più“ così, che mi trovano eccitante.
- Bè, devo dire che non ha tutti i torti: hai un’aria strana coi capelli così corti, specie ora che le matrone portano delle costruzioni di riccioli tanto complicate.
- Allora ti piaccio! E mi comprerai? – esclamò la ragazza speranzosa.
- Questo è da vedersi.
Ma ecco, guarda, Flavio sta entrando adesso! – Il patrizio si sporse dalla balaustra, per vedere meglio: sotto di lui gli avventori facevano ala al nuovo arrivato, seguito come sempre dai suoi accoliti.
Salutando a destra e a manca con una familiarità che rivelava una lunga frequentazione, Flavio scorse finalmente il suo ospite e gli rivolse un gesto di richiamo.
Aurelio rispose con un cenno eloquente, additando la ragazza al suo fianco.
Con una risata oscena Flavio lo scusò.
Le prostitute si accalcavano attorno al teppistello, che doveva essere noto per la sua generosità“.
Anche la padrona andò“ a riceverlo ma, dopo i dovuti convenevoli, si affrettò a tornare da un nuovo corteggiatore che l’aveva letteralmente affascinata.
Aurelio la vide correre, con gridolini d’entusiasmo, verso un divano appartato, sul quale, con l’espressione di un condannato sulla via del supplizio, giaceva seminudo Castore, che cercava di stordirsi con fiumi di vino.
- Li conosci gli amici di Flavio? A proposito, come ti chiami? – domandò Aurelio distrattamente.
- Polissena.
Significa: quella dai molti ospiti, mi hanno detto.
Un bel nome, no, per una lupa? – gli spiegò lei, cercando di distrarlo.
Ma poi, visto che il cliente continuava a fissare ostinatamente la sala, si decise a rispondergli.
- Curzio è il tirapiedi preferito di Flavio, eccolo là con Filenia.
Quello che insegue Bacchide, la brunetta, invece è Gaudenzio: bisogna compiacerlo in tutto e per tutto, ha aderenze a Palazzo.
Gallio preferisce gli efebi e va matto per il nostro Echione, l’hai visto vero? E“ quello tutto dipinto di blu! Rubellio non c’è, come al solito.
- Chi è questo Rubellio, il figlio di Decimo? – domandò Aurelio ricordando la conversazione udita alle Terme.
- Sì, ma non si fa vivo da un pezzo.
Gli amici lo prendono in giro: dicono che è innamorato.
Polissena s’interruppe, dando chiaramente a vedere che avrebbe preferito passare a vie di fatto.
Il miraggio di un eventuale affrancamento, da parte di quell’uomo dai modi così urbani, le pareva una fortuna troppo grande per realizzarsi davvero.
Ma tentar non nuoce e se il ricco senatore avesse sprecato tutto il suo tempo in chiacchiere, come avrebbe potuto invogliarlo all’acquisto con le sue doti amatorie? Il patrizio invece la ricondusse inesorabile al discorso interrotto.
- Parlami della fiamma di Rubellio.
La conosci? – E una che Flavio ha incontrato per strada, una delle tante a cui gli piace dar fastidio.
Prima si presenta come un ragazzo per bene, poi improvvisamente si rivela per quello che è: un porco.
Più sono timide, più“ si diverte a imbarazzarle.
Ma con questa gli è andata male: gli ha preferito l’amico! Lui non l’ha mandata giù: ha fatto una scenataccia a Rubellio proprio qui al lupanare, minacciando di farla pagare cara a lui e alla sua bella!
- Ripetimi le sue precise parole! – chiese Aurelio interessato.
- Non te la godrai a lungo, pezzo di scemo! gli ha gridato.
L’ho sentito con le mie orecchie.
Poi sono venuti alle mani e Flavio l’ha caricato di botte.
Da allora Rubellio non si è più“ visto.
- E l’hai forse incontrato altrove? – Una volta, per la strada, con la ragazzina: si tenevano per mano, guardandosi come tortorelle.
Credo che abbiano un nido d’amore, nel quartiere: Oppia a volte affitta camere alle coppie clandestine.
Ruben, Rubellio, rifletteva Aurelio, Dinah preferiva certamente chiamare il suo amante romano con un nome ebraico abbastanza simile a quello vero.
E così quello era l’uomo: non donnaiolo corrotto e senza scrupoli, ma un ragazzino innamorato.
Con che coraggio l’avrebbe consegnato a Mordechai? Come poteva andare da quel padre disperato, sorretto ormai solo dalla speranza di una vendetta inutile e tardiva, a raccontargli la storia di un piccolo amore fra adolescenti pagato troppo caro? E se invece Flavio avesse messo in atto le sue minacce? – L’hanno ammazzata. – La voce della vecchia ebbra gli risuonava nella mente.
Perchè non riusciva a rassegnarsi ad archiviare la morte di Dinah come un disgraziato incidente? Tante donne morivano ancora di aborto, a Roma, checchè dicesse Pomponia.
Che senso aveva affannarsi a cercare spiegazioni macchinose e improbabili? – Ma tu non ti diverti! – Polissena, col suo istinto di prostituta, aveva colto il cambiamento di umore del cliente e tremava all’idea che l’occasione della sua vita potesse sfuggirle di mano.
Cominciò a carezzarlo sapientemente, con insistenza.
Ma decisamente non aveva fortuna: il nobile senatore aveva appena cominciato a interessarsi a lei quando un boato proveniente dalla sala lo distrasse di nuovo.
- Eccola, eccola! – gridavano applaudendo i clienti in delirio.
Una donna incredibilmente bella era apparsa sulla soglia.
Il corpo quasi nudo, dalle forme agili e perfette, era interamente coperto di polvere d’oro e luccicava conturbante alla fiamma delle torce.
Una cascata di capelli chiarissimi le ricadeva sulle spalle fiere, trattenuta sulla fronte da un prezioso cammeo, là dove cominciava il profilo immobile di una maschera dorata.
- Oh, no, non ora! – gemette la povera Polissena.
Aurelio guardava affascinato la nuova venuta e la piccola prostituta, osservando di sottecchi la sua espressione ammirata, vedeva sgretolarsi il sogno di una casa comoda e calda, di un padrone amabile da servire e da compiacere fino al giorno in cui, grato, non si fosse deciso a restituirle la libertà.
Allora avrebbe affittato un localino, avrebbe accettato soltanto i clienti che gradiva, si sarebbe fatta un gruzzoletto per l’età matura e chissà, poteva anche accaderle di sposare un brav’uomo non più“ tanto giovane e di metter su famiglia.
Ora, invece, ecco l’uomo che avrebbe potuto darle tutto questo perso nella contemplazione di quella meretrice dilettante! E a lei, una professionista seria e coscienziosa, sarebbero rimasti i vecchi calvi e pervertiti.
La donna d’oro intanto aveva cominciato a ballare: a piedi nudi su un tavolo, si muoveva voluttuosamente, offrendosi agli sguardi bramosi degli spettatori, che allungavano le mani nel tentativo di toccarle le caviglie.
Quelle spalle perfette, quell’aria altezzosa.
In quale donna Aurelio aveva già notato quella sicurezza assoluta di sé e del proprio fascino? La gran massa di capelli d’oro ondeggiava sugli omeri levigati e i muscoli della schiena guizzavano al suono ritmato delle nacchere di Gades.
Polissena sentì le lacrime bruciarle gli occhi.
Le ricacciò indietro con sforzo.
Raccolse il suo velo azzurro un po’“sgualcito dal divano e uscì dal camerino in silenzio.
Aurelio non si voltò nemmeno a guardarla.
- Castore, Castore! – chiamava il senatore impaziente, aggirandosi tra i corpi esausti degli ubriachi e voltandone ogni tanto qualcuno quando gli sembrava di riconoscere l’introvabile servo.
La voluttuosa danzatrice se n’era andata, ma non prima che Aurelio fosse riuscito a rivolgerle un saluto, ottenendo in risposta una breve frase in una voce roca e sensuale, un po’“falsata dalla maschera rigida che nascondeva il volto.
Nell’attimo in cui la sconosciuta gli si era avvicinata, sfiorandogli il viso con una lunga unghia di metallo, aveva avvertito il lieve, pungente odore dell’ambra, misto a un effluvio conturbante di donna.
Subito Flavio si era interposto col gesto autoritario di un padrone, dando modo all’indiscreto senatore di buttar là un: – Perbacco!
Questa sì che è una donna! Non come la piccola Dinah! – Chi? La scimmietta ebrea? Cosa vuoi che me ne importi! Se la tenga pure Rubellio, è roba adatta a lui! – aveva risposto il biondo visibilmente ansioso di appartarsi con la sua maliarda.
- Bè, tanto ormai la scimmietta è morta! – Morta? – Per un attimo Flavio trasalì“, mettendosi sul chi vive.
Ma la donna d’oro lo tirava per un braccio, ridendo. – E perché vieni a raccontarlo a me? Vai da Rubellio, piuttosto! – conclu se il biondo, lasciandosi trascinar via dalla compagna impaziente.
Deluso, Aurelio non vedeva l’ora di uscire.
A lunghi passi percorse di nuovo tutta la sala e anche i corridoi superiori, scostando con stizza le cortine dei cubicoli, senza preoccuparsi di violare l’intimità delle coppie che vi giacevano.
Niente: non c’era traccia di Castore.
- Cerchi forse il tuo amico, quel nobile greco? – gli domandò Oppia, giungendogli alle spalle tutta allegra. – Che uomo, che spirito fine! Che fascino virile! Spero che venga spesso qui: potrà permetterselo di certo, visto che discende dai Tolomei! La spilungona si estasiava cantando le lodi del fantasioso imbroglione.
Parente dei Tolomei! Perchè non re d’Egitto, già che c’era? ruminò Aurelio.
Gliel’avrebbe fatta vedere lui a quel servo mentitore!
- Tornerai presto anche tu, nobile Stazio? – incalzava intanto Oppia. – Sei stato soddisfatto? Polissena è lunatica, avevo di meglio per te! Ma se ti è piaciuta.
- A proposito di Polissena, quanto costa? – domandò il patrizio rammentandosi all’improvviso della biondina. – Dipende.
Per una notte o di più“? Forse la vuoi affittare per un mesetto? – domandò cerimoniosa la donna che aveva fiutato l’affare.
- Voglio il suo contratto- tagliò corto Aurelio.
- il suo contratto! Ma se l’ho appena comprata! Non mi ha ancora fruttato la metà del suo prezzo.
Ti conviene prenderla per un po’, se proprio vuoi levartene la voglia.
Anzi, facciamo così: io la tengo qui al lupanare e la riservo solo a te, così puoi venire a trovarla quando ti pare e risparmi vitto e alloggio! – Voglio Polissena a casa mia domattina, ruffiana- ordinò il patrizio brusco avviandosi all’uscita. – E bada di farmela avere intatta e pulita! In quella, un’ombra barcollante emerse tra le lanterne che rischiaravano ancora il locale fumoso.
Biascicando parole astruse nell’ebbrezza del vino, Castore fece alcuni passi stentati e cadde lungo disteso sul pavimento.
Aurelio non si sentì in dovere di raccoglierlo.