- Stazio! Dove ti eri cacciato ieri in Curia? – gracidava il vecchio rompiscatole. – Abbiamo votato una delibera di capitale importanza! Lentulo era più“ di quanto il giovane potesse sopportare nel suo stato d’animo.

Voltate le spalle ai supplicanti, entrò dai Sosii con la rapidità di un fulmine e, imboccata la porta sul retro, si diede a ingloriosa fuga quando si ritrovò davanti alla casa delle Vestali.

Tirò un sospiro di sollievo e alzò lo sguardo verso il Palatino: su quel colle si decidevano i destini del mondo, di lassù l’onnipotente Cesare governava l’impero sconfinato.

Povero Claudio, pensò il patrizio: trascurato e deriso per più“ di cinquant’anni si era trovato, da un giorno all’altro, al sommo del potere, eletto imperatore suo malgrado.

Aurelio lo ricordava quando era ancora un privato cittadino sfuggito da tutti, nonostante la grande intelligenza: si erano incontrati parecchie volte nella biblioteca di Asinio Pollione, che, come tutte le altre di Roma, era sempre aperta al pubblico.

Lo spirito arguto del maturo studioso lo aveva affascinato e il giovane era diventato uno dei suoi pochi amici.

Ma da quando il dotto compagno di letture era diventato il divino Cesare, Aurelio non l’aveva più“ cercato: era orgoglioso e preferiva non sollecitare protezioni per vivere da uomo libero e da cittadino romano.

Tanto più“ che se un giorno avesse avuto davvero bisogno di scomodarlo, chissà se il vecchio invalido si sarebbe ricordato di lui? Erano in tanti, ormai, ad adularlo.

Immerso in questi pensieri Aurelio era arrivato all’imbocco della via Appia.

Lasciandosi alle spalle la lunga sagoma del circo Massimo, si inoltrò nella strada: il vicus Scauri doveva sbucare lì da qualche parte, alla sua sinistra.

Finalmente lo individuò e pochi istanti dopo era nel lupanare.

Oppia non parve stupita di rivederlo, ma l’accoglienza si fece subito meno calorosa quando fu chiaro che il patrizio non era venuto per le sue ragazze.

Già l’acquisto, anzi la – requisizione-, di Polissena aveva alquanto indisposto la tenutaria nei confronti del magistrato: la sua aria arrogante, poi, le era quasi insopportabile.

Ma si sa, il cliente ha sempre ragione, e conviene comunque tenersi buoni tutti, tanto più“, poi, che il senatore Stazio sembrava così in buoni rapporti con quell’affascinante principe alessandrino.

- E“ qui Rubellio? – domandò Aurelio brusco.

La mezzana lanciò uno sguardo lungo e bramoso alla sua borsa rigonfia.

- Non aspettarti compensi, donna, – ammonì lui – è già molto se non ti spedisco al Mamertino! Lo spettro del terribile carcere scosse la spilungona, che decise in tutta fretta di collaborare.

- No, – rispose cauta, lasciando la frase in sospeso.

- So benissimo che è stato da te, negli ultimi giorni- buttò là il patrizio.

Oppia soppesò la posizione sociale e l’influenza dell’interlocutore: sì quello era un uomo che poteva darle delle grosse grane: meglio rinunciare alla riservatezza tipica della sua professione e rispondere francamente.

- E“ stato qui, ma se n’è andato giorni fa.

- Ti ha detto dove? – No, ma un servo l’ha sentito domandare quando fosse partito il battello per Ostia.

Ostia.

Che Rubellio volesse imbarcarsi per un paese lontano? – Quante volte è venuto con la ragazza? – Molte, nobile senatore, molte. era così innamorato! Io gli prestavo una stanzuccia sul retro: mi facevano tenerezza, quei due colombi! Soprattutto perché sganciavano senza fiatare, pensò Aurelio.

- Il mio amico Castore- disse usando il nome del liberto come una chiave magica- mi ha detto che una volta facevi la levatrice. come mai ora mandi le tue donne da quel ladro di Demofonte?

- Ho dovuto smettere, molti anni fa. sai, un incidente. – rispose Oppia mostrandogli la mano destra: tre dita erano o sembravano completamente inerti.

- Non sapevo come sbarcare il lunario.

Per fortuna tra le mie clienti più“ giovani ce n’era un paio a cui non sarebbe dispiaciuto arrotondare un po’”il salario.

Ho cominciato così, con due ragazzine, e guarda adesso: il mio bordello è uno dei più“ quotati di Roma – concluse orgogliosamente.

Il patrizio rigirò la mano della donna tra le sue, poi, senza preavviso, le piantò un’unghia acuminata nel polpastrello, premendo forte.

Lei non trasalì“ nemmeno.

Poi una goccia di sangue le macchiò il dito.

Oppia lo guardò perplessa ma non osò protestare.

Il patrizio fece un cenno di assenso.

- Fammi un piacere, senatore. – lo pregò la lenona, umilmente. – Non dire al tuo amico greco della mia mano: non se n’è accorto. ci tengo a lui e non vorrei che magari per questo piccolo difetto….

Aurelio la fissò stupito.

Nel suo totale disfacimento, era buffo che l’orrenda carampana si preoccupasse delle sue dita: avrebbe fatto meglio a nascondere la faccia devastata, invece, le braccia cascanti e il ventre avvizzito.

Ma la vanità femminile è quella che è, rimuginò Aurelio: chissà quante volte Oppia aveva attribuito a quella minima imperfezione gli inevitabili cocenti rifiuti a cui l’età e l’aspetto l’esponevano.

E“ difficile invecchiare, specie per una puttana, si disse mentre le prometteva solennemente di mantenere il segreto.

- Ancora una cosa… voglio vedere la camera dove Rubellio portava la sua ragazzina: Castore mi ha detto che ci sono dei graffiti.

- Sì, sì, il ricordo di tutte le coppie innamorate. vieni pure a vedere, è commovente! Lo credo che ti commuova, vecchia bagascia, ci avrai fatto un capitale, pensò ancora lui, seguendola nel corridoio.

Nel cubicolo entrava poca luce.

Il letto era in muratura, coperto solo da un materasso sottile.

Le pareti spoglie non portavano traccia delle decorazioni erotiche del piano di sopra: le coppie clandestine dovevano sapersi accontentare.

In alto, una larga fessura nel muro dava aria e luce alla camera vicina.

- Affitti anche quella? – domandò il patrizio incuriosito.

Forse qualcuno aveva osservato i due giovani.

- No, quella è riservata a un’indipendente.

Mi paga tutto l’anno e viene soltanto quando ne ha voglia.

- Non sapevo che tenessi prostitute libere.

- Solo lei, perché è speciale: attira un sacco di clienti coi SuOi balli.

Gli uomini però se li sceglie da sola: il suo preferito, al momento, è Flavio.

- La “donna d’oro” – esclamò Aurelio, ricordando improvvisamente la voluttuosa apparizione che l’aveva colpito la sera della festa.

- Sì, la chiamano così.

Da qualche giorno non si vede, ma tornerà.

Può andare e venire quando le pare, non è legata da nessun contratto.

- Fammi vedere il suo cubicolo.

- Non posso, è chiuso!

- Aprilo!

- Solo lei ha le chiavi!

- Su, su, non vorrai farmi credere che non possiedi un marchingegno capace di aprire tutte le porte del tuo bordello? Cosa faresti se un cliente si sentisse male? – disse Aurelio facendo tintinnare la borsa.

La cupidigia travolse tutti gli scrupoli di Oppia.

- vieni, ma non dirlo a nessuno: solo perché sei amico di quel principe.

Glielo farai sapere che ti ho aiutato, vero?

L’altro cubicolo era quasi identico al primo, salvo per la presenza di una cassapanca appoggiata al muro divisorio.

Aurelio sollevò il coperchio aspettandosi che facesse resistenza.

Ma la cassa era aperta: una serie di magnifiche maschere, di me tallo prezioso, giaceva ordinatamente fra rotoli di stoffe pregiate.

Nella stanzuccia si diffuse un forte odore di ambra.

Il patrizio frugò tra le sete leggiadre: sul fondo della cassa incontrò una superficie curva e levigata e le dita gli si chiusero su una piccola sfera.

L’osservò interessato, alla luce fioca che veniva dallo sfiatatoio: ambra, e della migliore qualità.

Cercando meglio trovò altre due palline, più“ grosse della prima, e un bracciale, anche quello di ambra purissima.

Richiuse il cassone, perplesso: lì dentro, fra maschere d’oro, gioielli e sete, c’era un vero patrimonio.

E una puttanella qualunque l’avrebbe lasciato incustodito, senza nemmeno una fragile serratura? Prima di abbandonare il bordello Aurelio diede un ultimo sguardo alla cameretta dei ragazzi.

E lo vide, in un angolo della parete, accanto al letto: un piccolo cuore dentro al quale una R e una D s’intrecciavano strettamente.