1.

Roma, Anno 796 ab urbe condita.

(anno 43 dopo Cristo, fine estate).

Quinto giorno prima delle Calende di Settembre.

 

- Ecco il nostro Ortensio! – presentò Aurelio verso la fine del banchetto.

Il piccolo cuoco sostava sulla soglia, timoroso del giudizio di quei raffinati buongustai.

Publio Aurelio Stazio e il suo amico Servilio si tergevano le mani con salviette profumate, comodamente sdraiati sui divani disposti attorno all’emiciclo della mensa. Il tavolo ricurvo era l’ultima innovazione dell’eccentrico padrone di casa mentre gli schiavi, ombre discrete, rimuovevano silenziosi le ossa e gli avanzi dal pavimento a mosaico della sala tricliniare.

- Molto bene, ragazzo! Per uno spuntino tra amici te la sei cavata più“ che discretamente.

La crema di lattuga e cipolle era squisita e anche sugli arrosti non c’è niente da dire.

Le ofelle di maiale, quelle, forse, erano un po’“piccantine.

- E“ vero, domine, è vero! – si affrettò ad ammettere Ortensio, balbettando per l’emozione. – In effetti i miei piatti sono un po’”troppo saporiti.

Ma sono i signori, di solito, a pretendere un mare di garum, e lo vogliono molto speziato anche! Se fosse per me, lo mescolerei soltanto a timo e santoreggia, soprattutto quando è destinato alla cacciagione.

Magari un po’“di menta e di serpillo, e qualche seme di finocchio.

- Troppi odori, troppi odori! – sentenziò Servilio, scandalizzato. – Questa mania del garum non ci lascia più“ sentire il sapore delle carni!

Il cuoco, che era d’accordo, tentò di giustificarsi: – Così mi è sempre stato richiesto.

- Su, su, non prendertela! – lo consolò Servilio. – Il pasticcio d’anatra era eccellente e anche le polpette coi pinoli: hai buon gusto e una certa arte.

Ma se vuoi diventare un maestro di cucina, cerca di dimenticare in fretta gli intrugli che ti hanno costretto a preparare i volgari mangioni dai quali hai lavorato finora.

Adesso sei al servizio di un senatore- soggiunse additando Aurelio- e qui certe cadute di gusto non sono ammesse.

Continua a esercitarti e fammi assaggiare.

Poi, rivolto all’amico, decretò: – Sì, hai fatto un buon acquisto: penso che se ne possa fare un ottimo capo cuoco, seguendolo da vicino.

- Non dubito che vorrai occupartene personalmente- rise il giovane patrizio: la ghiottoneria del buon cavaliere era famosa in tutta Roma, almeno quanto la passione per i pettegolezzi della sua consorte.

- Che c’è di nuovo a Palazzo? – domandò Aurelio all’amico, che la moglie teneva sempre informatissimo.

- Si prepara il trionfo, naturalmente: Claudio, il conquistatore della Britannia! Verranno a vederlo sfilare da tutte le province dell’impero.

Sembra che anche Lollia Antonina stia per tornare alla capitale.

- Davvero? – mormorò Aurelio cercando di fare l’indifferente: non voleva che Servilio capisse quanto la breve relazione dell’anno prima con l’aristocratica matrona fosse stata importante per lui.

- Ad Antiochia, dal marito, c’è stata ben poco: pare che abbia deviato per Alessandria.

A proposito. – il cavaliere si fece confidenziale- non mi hai mai detto se tu e Lollia….

- E non ho nessuna intenzione di dirtelo, chiacchierone! Raccontami piuttosto qualcosa di piccante sulla corte.

Qual è l’ultima su Messalina? – Oh, nulla di nuovo! Si mormora, si mormora, ma nessuno ha mai portato una prova concreta delle sue famose infedeltà.

- L’Augusta è giovane e Cesare non lo è più“ da un pezzo! – osservò Aurelio indulgente. – E” normale che circolino delle chiacchiere! Valeria Messalina, in effetti, non aveva ancora vent’anni mentre Claudio aveva ormai passato i sessanta.

Se si aggiunge che la prima signora di Roma era di una bellezza straordinaria e che l’imperatore l’amava alla follia si poteva capire come mai le malelingue non avessero pace.

- Le voci continuano a circolare, naturalmente.

Ma adesso, coi preparativi per il corteo trionfale, hanno altro a cui pensare, al Palatino! Negli ultimi giorni, poi, l’arrivo di quel liberto.

 

- Ho sentito, ho sentito. sostiene di essersi allontanato dalla costa su un piccolo legno e di aver raggiunto Taprobane in un tempo brevissimo, sospinto da un vento miracoloso.

- Già! E“ tornato carico di doni per l’imperatore, da parte del re di quel paese, dove vuol far credere di aver soggiornato per ben sei mesi.

- Se fosse vero, significherebbe che è possibile andare nelle Indie in poche settimane, aggirando le dogane dei Parti. – calcolò Aurelio incuriosito.

I Parti non erano solo la bestia nera dei soldati per i loro continui attacchi al confine, erano anche la spina nel cuore dei bravi commercianti romani: piazzati come sentinelle tra l’Impero e i favolosi paesi della seta, impedivano ogni traffico diretto tra l’Urbe e il lontano oriente, monopolizzando gli scambi via terra e facendo quadruplicare il prezzo delle merci con pesantissime tasse di transito.

- Bisogna vedere quanto c’è di vero in quel racconto! Non sarebbe il primo, l’amico, a inventare una storia curiosa per rendersi interessante.

Comunque i geografi di corte sono già al lavoro per studiare questi venti.

La conversazione fu interrotta da un tossicchiare discreto, ma insistente.

Castore, il segretario greco di Aurelio, era entrato e chiedeva la parola.

- Che c’è? – sbuffò il patrizio visibilmente infastidito per l’intrusione.

- Una persona chiede di vederti con urgenza, domine.

- Falla accomodare, allora! – Non credo sia il caso, padrone- affermò Castore additando gli avanzi dell’arrosto di maiale. – Si tratta di Shula, la serva di Mordechai benMoshe.

Dal vestibolo venivano delle grida: una voce stridula e gutturale, dall’accento straniero, soffocava le proteste del portiere Fabello che, ancora mezzo addormentato, non riusciva ad arginarne l’irruenza.

- Non ho ben capito se sia sconvolta o ubriaca- osservò Castore che non ignorava la passione di Shula per l’idromele.

Il senatore si alzò, un po’“in ansia.

Se la vecchia, che viveva rintanata nel quartiere ebraico, si precipitava fin lì come una furia, doveva esserci una ragione seria: Aurelio frequentava Mordechai davent’anni, lo sapeva di una discrezione assoluta ed era certo che non avrebbe disturbato il suo pasto per un nonnulla.

Scusandosi con l’ospite, lasciò la sala tricliniare, e fu subito in vestito dalla donna, sopraggiunta di corsa dopo aver eluso la debole sorveglianza di Fabello.

- Corri, senatore, corri col medico! – gridava, tirandolo per la tunica.

Aurelio esitò un attimo: che peso doveva dare alle parole concitate di Shula? La vecchia nutrice della figlia di Mordechai, non era più“ lucida da un pezzo.

Soltanto l’affetto e la pazienza della ragazza avevano permesso al commerciante ebreo di tenersela in casa, sia pure a prezzo di qualche brutta figura.

Infatti la balia, che da giovane non era stata mai troppo religiosa, invecchiando si era trasformata in una rigida osservante delle leggi ebraiche, e aveva cominciato a scampanare contro la presenza dei goyim, i gentili, in casa del padrone: ultimamente persino Aurelio era stato preso di mira dalle sue maledizioni.

Il patrizio decise di non correre rischi e in pochi istanti caricò Shula sulla portantina sempre pronta, mentre Castore partiva di gran carriera verso l’abitazione del medico.

Impartito un breve ordine ai battistrada, Aurelio cercò di raccapezzarsi tra i discorsi sconnessi della serva.

Quando, dopo un tempo relativamente breve i nubiani si accasciarono a terra, esausti, nella piazzetta di Trastevere, il magistrato era riuscito a capire soltanto che Dinah era rimasta vittima di un grave incidente. Balzato fuori dalla lettiga, Aurelio salì a due a due i gradini di legno che conducevano all’abitazione dell’amico e aprì la porta aspettandosi il peggio: un oscuro presentimento lo avvertiva che non sarebbe arrivato in tempo.

Lo spettacolo pietoso che gli si presentò superava di gran lunga i suoi timori più“ foschi: il giudeo, inginocchiato sul pavimento, in un lago di sangue, oscillava ritmicamente, gemendo di dolore e di collera, mentre si stringeva al petto il corpo inerte dell’unica figlia, come se quell’abbraccio appassionato potesse ridarle la vita.

Aurelio ebbe l’impulso di arretrare, di non interferire con la sua presenza impura di goy nella tragedia dell’amico.

Poi, il desiderio di essere d’aiuto, misto a un oscuro senso di ribellione per la fine immatura della ragazza che aveva visto nascere, lo spinsero ad avvicinarsi.

Il viso della giovane era esangue, quasi spettrale, e gli abiti, dalla vita in giù, erano zuppi di un liquido scuro e appiccicoso: Aurelio riconobbe subito l’odore dolciastro e nauseante del sangue umano, per averlo dovuto sopportare troppe volte non solo sui campi di battaglia, ma anche sugli spalti dell’arena, dai quali assisteva di malavoglia, per dovere sociale, ai massacri gladiatorii.

Si chinò nel tentativo di rialzare l’amico e un piede gli scivolò sulla pozza viscida.

Per fermare la caduta dovette appoggiarvi la mano ingioiellata e la ritrasse turbato, scarlatta e gocciolante.

Con l’altra mano, ancora pulita, abbozzò un’ultima timida carezza sulla fronte della fanciulla di cui avrebbe dovuto festeggiare il matrimonio di lì a un mese: soltanto la mattina prima aveva dato l’ordine di confezionare elegantemente i rotoli di stoffe preziose destinate a dono di nozze.

In quella, Mordechai staccò un istante lo sguardo dalla sua Dinah e si accorse della presenza del romano.

Aveva gli occhi opachi, praticamente vitrei e la grossa testa gli penzolava come se il collo ossuto non riuscisse più“ a reggerla.

Dalla porta, intanto, era entrato Castore, seguito da un medico, ormai penosamente inutile.

Aurelio lasciò che i nuovi venuti si avvicinassero al corpo insanguinato e trascinò via il vecchio, ormai incapace di reagire.

- Mordechai, cos’è successo? L’incredibile vitalità, che né il tempo, né le traversie della vita erano riusciti a spegnere, aveva lasciato per sempre l’anziano giudeo.

Quel che era accaduto superava le sue capacità di sopportazione.

Come affrontare la morte dell’unica figlia, frutto tardivo e adorato della sua unione con la dolce Rachele, portata via a sua volta un anno dopo la nascita della bimba da una seconda difficile gravidanza? Aurelio, lentamente, lo condusse in un’altra stanza tenendolo per mano come un bambino.

- Cos’è successo a Dinah?

- E“ morta- mormorò l’ebreo con voce incolore.

Poi la pena mista alla collera esplose in un crescendo di singhiozzi. – Aiutami, Aurelio! Siamo amici da vent’anni e adesso devi aiutarmi!

- E“ stata uccisa? – indagò il romano, mentre il viso delicato della sua quasifiglioccia gli si appannava nella mente per lasciare posto a immagini raccapriccianti.

Il vecchio parve annuire, poi negò, riluttante a spiegarsi.

- Parla, ti prego, Mordechai! – lo esortò il senatore prendendogli le mani in uno slancio di affetto così raro in un uomo distaccato come lui.

- Soltanto a te lo posso dire! – sospirò il giudeo appoggiandogli il capo sulla spalla. – La maledizione di Dio è scesa su di me e sulla mia famiglia! Dinah è nella Gehenna, tra i dannati.

Mia figlia, la mia unica figlia! Il romano gli posò una mano sul capo e attese.

- Stanotte.

Non era rientrata.

Dinah è sempre a casa al calar del sole: lo so, i pettegoli dicono che le do troppa libertà.

Ora poi che si deve sposare.

S’interruppe con un singhiozzo.

Mordechai pareva aver compreso solo in quell’istante che non ci sarebbe stato più“ un matrimonio, mai più”.

- Era una brava ragazza ebrea.

Io la guardavo e pensavo al versetto della Scrittura: – forza e dignità sono il suo manto, ed ella se ne ride dell’avvenire-.

La vedevo diventar grande, farsi donna…

Ieri sera, quando sono rientrato, non c’era.

Sulle prime non mi sono allarmato: era una figliola assennata, la conoscevi! Così l’ho aspettata: non volevo interpellare i vicini: quelli parlano già anche troppo!

Se si tratteneva fuori, doveva avere una buona ragione, mi dicevo.

Ma il tempo passava e di Dinah nessuna notizia.

D’un tratto non ce l’ho fatta più“ e sono corso per tutto il quartiere a domandare se l’avevano vista.

Niente: neanche Eleazar sapeva dove fosse.

Sai, è bene che i fidanzati non si frequentino troppo, prima del matrimonio.

- E allora? – A metà della notte ho sentito un rumore; stavo con le orecchie tese da un pezzo e l’ho notato subito.

Mi sono precipitato alla porta, deciso a darle una lezione.

Aurelio ascoltava col fiato sospeso.

- Pareva una maschera di cera, tanto era bianca.

E sanguinava.

Non so come abbia trovato la forza di tornare.

Mi è crollata addosso.

Ho fatto per sollevarla e lei mi ha mormorato qualche parola.

L’ho portata dentro.

Non sapevo che fare, allora ti ho mandato Shula.

Era appena uscita, quando mi sono accorto che Dinah era morta.

Morta, capisci? – ripetè come se non potesse ancora crederci. – Dissanguata- concluse, stancamente. – Aveva abortito.