14.

Ottavo giorno prima delle Calende di Ottobre.

 

Le chiatte da traino, cariche di legna da ardere destinata agli ipocausti delle Terme, risalivano lentissime il corso del Tevere: dal ponte della veloce codicaria Aurelio le aveva incrociate fin dall’inizio del viaggio.

Ostia non era ancora in vista, ma i frenetici lavori di costruzione dei nuovi moli si notavano già mezzo miglio a monte.

Gli scavi del grande bacino, voluto da Claudio per sostituire Ostia a Pozzuoli come porto granario della capitale, erano a buon punto: grandi – cicogne- sollevavano il terriccio estratto, per ammucchiarlo altrove svettando controsole come uno stormo di trampolieri ritti su una gamba sola.

Gli operai con grida cadenzate tiravano le funi che facevano avanzare sui tronchi i blocchi di granito per pavimentare le banchine: nudi e stracciati, schiavi di tutte le razze sgobbavano come muli per la gloria della città eterna.

Prima di scendere a terra Aurelio lanciò una rapida occhiata alle grandi navi frumentarie, le ultime della stagione che, troppo grosse per entrare nel modesto porto fluviale, venivano scaricate al largo da battelli di collegamento più“ piccoli e agili.

Almeno un paio di quelle mastodontiche imbarcazioni, che provvedevano tutta l’Urbe di pane, dovevano appartenere alla sua flotta, ma si erano aggregate alla spedizione di un altro armatore per affrontare in un gruppo più“ compatto la pericolosa traversata del Mediterraneo.

Il patrizio osservò compiaciuto le banchine cariche di merci: dall’Egitto, da cipro, dalla Palestina, dall’Iberia e dalla lontana Mauritania i prodotti di tutte le civiltà confluivano nella capitale: è veramente il Mare Nostrum, pensò il giovane, e Roma non è più“ confinata sulle sponde del Tevere: tutte le rive di questo immenso lago ormai le appartengono.

Roma, oggi, è il mondo intero.

Pagato un modesto obolo al comandante della barca, il senatore mise piede sulla banchina e si affrettò alla sua agenzia, poco lontana.

Quando entrò negli uffici, non gli parve che fervessero di attività: gli impiegati, sorpresi in uno dei soliti momenti di ozio, scattarono in piedi con grande imbarazzo: cielo, una visita del principale in persona e inattesa per giunta, proprio quando, trascurati da tempo, pensavano di potersi permettere qualche extra, a spese della ditta!

Uno scrivano più“ panciuto e sonnolento degli altri nascose frettolosamente una scacchiera sotto il tavolo, poi si precipitò a dargli il benvenuto.

- Domine, domine, non ti aspettavamo!

- Lo vedo! – replicò Aurelio, asciutto.

Cosso, il responsabile dell’ufficio, arrivò trafelato, con aria preoccupatissima: non che di recente avesse rubato molto, ma, col figlio che ambiva a diventare cavaliere, un povero liberto doveva pur arrangiarsi.

Per fortuna i bilanci non interessavano il padrone, partito da Roma spinto da una strana idea.

- C’è un rabbino, a Ostia? – domandò all’impiegato, che aveva la tunica già madida di sudore colpevole.

- Un rabbino? – ripetè Cosso, a pappagallo.

- Sì, sì, uno di quei sacerdoti, di quei maestri degli ebrei.

C’è un mucchio di giudei a Ostia, devono certamente avere un capo!

- Non saprei, domine, ma posso chiedere alle maestranze.

L’intendente terrorizzato si affannò a obbedire all’eccentrico patrizio prima che gli venisse in mente di verificare i conti.

Poco dopo fu di ritorno, seguito da un giovanotto robusto e abbronzato.

- Ecco, questo scaricatore è ebreo.

Forse lui ti può rispondere.

- Sono Davide di Ascalona.

Lavoro qui da due anni.

- Dove avete la vostra comunità?

- viviamo un po’“dappertutto: non eravamo in molti fino a poco tempo fa, ma adesso, coi lavori del nuovo bacino, c’è una grande richiesta di manodopera: sono lavori pesanti, e i romani rifiutano di farli.

Oggi ne arrivano tanti di miei correligionari dalla Palestina, soprattutto dalle città costiere, dove stanno i marinai e i portuali. – Non vi riunite in un luogo particolare?

- A volte sulla via Laurentina, da qualche israelita benestante, che ci presta la casa per pregare: lì vicino c’è anche il nostro cimitero.

Ma ora stiamo costruendo una vera sinagoga! Se non ci manca il lavoro, tra un anno sarà“ finita.

- E il rabbino, l’avete?

- Certo, è lui che dirige i lavori: abita a un passo dal cantiere.

- Come posso raggiungerlo?

- E“ un po’”fuori città: in centro il terreno costava troppo.

Segui Il Decumano Massimo e piega a sud, oltre Porta Marina.

Continua per il litorale e vedrai le fondamenta di un grande edificio.

Lì accanto, c’è una casetta: è quella del rabbino.

- Grazie, Davide- disse Aurelio mettendo mano alla borsa.

Il giudeo parve esitare. – Padrone, posso chiederti un favore invece?

Dèi dell’Olimpo, un’altra supplica! Ma il patrizio, non se la sentì di deludere il bravo operaio.

- Ho due fratelli, ad Ascalona, che non trovano lavoro.

Qui sulle tue navi, ce n’è in abbondanza: non potresti chiedere a Cosso di assumerli? – disse il giovane tutto d’un fiato.

- Certo! – rispose il senatore, felice di cavarsela a buon mercato. – Se sono buoni marinai, ovviamente!

- Hanno già viaggiato con la flotta di Alessandria.

- Allora perché non dici tu stesso a Cosso di farli venire?

Davide lo guardò timido e umiliato.

- Sono giudei, padrone! – spiegò a voce bassa.

- D’accordo, ci penserò io. – Promise il senatore, benevolo, ordinando la lettiga.

Attraversata l’operosa cittadina, i portatori si fermarono davanti a una baracca di mattoni, così modesta da parere più“ un capanno da pesca che una vera e propria casa.

Poco lontano, un energico israelita stava raccomandandosi ai muratori, intenti a rizzare il pilastro portante della futura sinagoga.

- Ave, rabbi! – lo salutò Aurelio con rispetto.

- Salve, figliolo. In che cosa posso esserti utile?

Il sant’uomo non aveva affatto l’aria da studioso pallido che caratterizza di solito i maestri della sua religione: anzi, da tutta la sua persona traspariva un grande vigore, sebbene il viso, segnato da solchi profondi, denunciasse un’età avanzata.

- No, mettetelo più“ in basso quel blocco di granito! – urlò agli operai, e li raggiunse di corsa per dirigere la posa.

- Sai, non hanno molta esperienza. – si scusò poi tornando dal visitatore. – Sono pescatori e facchini, ma vogliono dare il loro contributo, anche se non possono offrire denaro.

- Rabbi, ho bisogno di sapere se ultimamente è venuto da te un romano molto giovane per chiederti di convertirsi alla tua religione.

- Ne vengono tanti. Sembra che oggigiorno gli ebrei siano di moda.

Ma non faccio in tempo a esporre un decimo delle regole alle quali dovrebbero sottostare, che sono già scomparsi, e poi chi li rivede più“? il vecchio sorrise divertito. – Eh, non è facile diventare ebrei! Sai cosa li spaventa, soprattutto? La circoncisione: temono di perdere la virilità! Ho un bello spiegare, io, che hanno solo da guadagnarci! – concluse con una franca risata.

- Il ragazzo che cerco è bruno, sui diciotto anni, coi capelli ricci a caschetto.

Risponde al nome di Rubellio, o forse di Ruben.

Il rabbino lo fissò molto serio, come se fosse incerto se rispondergli o meno.

- La sua vita è in pericolo, – aggiunse Aurelio, deciso. – Ruben. – Ripetè il vecchio.

- Ma non stare lì sotto il sole, vieni dentro – invitò facendogli strada nella capanna.

- Quello non era come gli altri.

Da un pezzo veniva da me a farsi spiegare la Thorà.

Era innamorato di una brava ebrea e voleva sposarla.

- Ti ha detto che la ragazza era già fidanzata?

- No di certo! L’avrei dissuaso, se l’avessi saputo.

Al signore è inviso chi desidera la donna d’altri. – il rabbino pareva deluso. – Ecco perché veniva fin qui, per studiare!

- Non crucciarti: non è più“ importante. La ragazza è morta.

- Lo so, Ruben me l’ha detto.

- E ti ha spiegato come? – domandò Aurelio trattenendo il respiro.

- Sì: è stata uccisa.

Il giovane senatore trasalì“.

Rubellio ne era davvero convinto, oppure non aveva osato raccontare al pio maestro la vera fine della sua innamorata?

- Uccisa? E in che modo?

- Non l’ha detto, ma sapeva chi era stato e io temevo che volesse vendicarsi.

- Non ha fatto nomi? – insistè Aurelio.

Qualcosa, nel suo tono autoritario, fece sorridere il rabbino con tristezza.

- Sei una persona importante, vero? Davanti al mio Dio, però, gli uomini sono tutti uguali.

- Sono un senatore – ammise il giovane con riluttanza.

L’orgoglioso romano, che si avvaleva della sua altissima posizione per farsi aprire tutte le porte, aveva capito subito che per quell’uomo, modesto e saggio, i titoli e gli onori non contavano niente. Il vecchio lo guardò negli occhi e Aurelio si sentì come se gli leggesse dentro.

- Perchè t’interessi a lui? Perchè un alto magistrato viene qui a chiedere umilmente un favore a un povero ebreo?

- Il padre della ragazza morta è un mio amico.

Non farò del male al tuo protetto.

- Allora ti dirò una cosa. – Aurelio si beveva le sue parole.

Quando ho saputo della fine della sua fidanzata. della donna che amava, voglio dire, credevo che non gli interessasse più“ farsi ebreo.

Invece ha chiesto di essere circonciso ugualmente.

Quel particolare scacciò dalla mente di Aurelio ogni dubbio residuo: non avrebbe consegnato Rubellio a Eleazar, e nemmeno a Mordechai.

Anzi doveva raggiungerlo, se era ancora in tempo.

- Sai, era una cosa insolita e poco ortodossa: la sua istruzione non era ancora completa.

Avrei dovuto negarglielo, ma non ne sono stato capace.

Il Talmud è severo su questo punto, ma il nostro Hillel ha detto: ama il tuo prossimo, questo è il vero significato della Scrittura.

Tutto il resto è commento.

Aurelio taceva.

- Ruben mi disse che non poteva aspettare, e che desiderava portare sul suo corpo il segno dell’appartenenza al Dio d’Israele, per tutta la vita che gli restava, nella speranza di riunirsi un giorno a Dinah.

- Quando l’hai circonciso?

- Ieri. Ho pensato: chi sono io per negargli di suggellare il suo patto col Signore? D’accordo, non conosce ancora bene la Legge ma Abramo non ne sapeva molto di più“ quando incise la sua carne per ordine dell’Altissimo.

Ieri! Allora forse era ancora in tempo! Aurelio si alzò di scatto e si avviò all’uscita, ma prima di accomiatarsi domandò sottovoce al maestro: – Nella nuova sinagoga. c’è un arredo che potrebbe portare il nome della ragazza scomparsa?

- Ma hai detto che era un’adultera! Il romano non lo contraddisse.

- Tuttavia Tamara fu un’adultera, Raab una prostituta.

E anche Betsabea, la madre del nostro Messia Salomone…. – mormorò il rabbino pensoso.

- Ti prego, un solo banco, col nome scritto in piccolo: Dinah figlia di Mordechai. – arrischiò Aurelio.

- Era una brava ragazza?

- La gioia di suo padre.

- Lo scriverò in grande, quel nome! – decise il rabbino.

- Un’altra cosa. – proseguì il patrizio traendo dalla tunica una grossa borsa. – Vedo che hai bisogno di materiale. I lavori vanno a rilento.

Io sono un goy senza dio, ma qui c’è abbastanza denaro per affrettarli parecchio.

Ti senti di accettarlo, o pensi che sia impuro? – domandò timoroso di offendere la suscettibilità del giudeo.

Il vecchio sorrise, ammiccando. – E chi mi dice che tu non sia un angelo del signore, sia santificato il Suo nome, il quale nella sua infinita sapienza non ignora quanto costa costruire una sinagoga? Sarebbe empio non credere ai miracoli, mio caro senzadio! – concluse prendendo la borsa con la mano callosa e facendo tintinnare le monete.

Gli occhi gli brillavano di gioia. – Ave atque vale, senatore! – gli sorrise e tornò al lavoro, con rinnovata energia.

Aurelio lo guardò mentre si caricava allegramente di una pesante transenna e la trascinava verso il cantiere: se avesse avuto bisogno di un buon consiglio, avrebbe saputo, d’ora in poi, a chi rivolgersi.