23.
Quinto giorno prima delle Idi di Ottobre.
Castore vagava per i corridoi della grande domus, fingendo di lavorare.
Il giusto equilibrio si stava a poco a poco ristabilendo e se la mannaia della giustizia imperiale li avesse risparmiati, tra breve quella casa sarebbe ritornata il luogo ideale per viverci: poiché Mnesarete si era tolta spontaneamente di torno, e il liberto aveva sacrificato una tortorella a Iside per grazia ricevuta, ormai non restava che una semplice imperatrice a far danni.
Paride, rassicurato dagli ultimi avvenimenti, aveva ripreso a trattare Castore con la solita prosopopea: l’accordo, stretto nei tempi bui, non aveva retto, col finire dell’emergenza.
Dalle cucine veniva stonata e festosa la voce di Ortensio, nuovamente alle prese con i suoi diletti sughi.
Persino Fabello, finalmente sveglio, partecipava al giubilo generale, rivolgendo a Polissena complimenti arditi, retaggio della sua non vicina gioventù. si mormorava che fosse stato preso in cura da una certa Erofila.
Castore giudicò arrivato il momento di scuotere il padrone dal suo torpore: dare una scrollata al dominus quando occorreva faceva parte dei doveri di un fido segretario.
- Ha i fianchi larghi! – scandì, scegliendo la tattica dell’attacco frontale.
Lo sguardo di Aurelio lo fulminò da dietro la scrivania.
Se non altro, ha alzato la testa, pensò il liberto.
- E poi è greca: una brutta razza! – Aurelio, impassibile, lasciò cadere il papiro e lo guardò fisso.
E“ quasi al punto giusto, fra poco scoppierà, calcolò il segretario.
Ma il padrone non apriva bocca.
- A proposito, devo restituirti questo- disse porgendogli il manoscritto di Ovidio. – Non mi serve più“.
- Tu sei contento! – ringhiò Aurelio.
- Si vede? – domandò Castore con candore. – Ebbene, sì, lo confesso: sono contento!
- Non ti è mai piaciuta!
- Lo ammetto.
- Perchè?
- Troppo brava. Diffido della gente perfetta.
- Hai detto che ha i fianchi larghi.
- Non così larghi, tutto sommato: diciamo piacevolmente arrotondati.
- E. intelligente.
- Troppo.
- E“ bella.
- Niente da ridire.
- Allora?
- Non mi piace, ecco tutto!
- Sei geloso. – l’accusò Aurelio.
- In ogni caso parte domani e noi abbiamo affari più“ urgenti di cui occuparci. – tagliò corto il servo.
- C’è una cosa che devo dirti.
Il giovane senatore l’interruppe con un gesto annoiato.
- E“ meglio così: forse mi stavo innamorando di lei. – disse d’un fiato.
- Ma no, padrone! – lo rassicurò l’altro. – Era solo un’impressione.
Hai ascoltato il tuo cuore e hai capito male, tutto qui.
Come Crasso coi fichi.
- Quali fichi?
- Ma sì, non ricordi? Crasso, quando stava per partire da Brindisi per fare la guerra ai Parti, sentì un venditore che urlava: Cauneas! Cauneas! cioè: fichi di Cauno!
- Ah, già! Invece si trattava di un indovino che lo avvertiva: CAVE NE EAS! attento a non andare! – ricordò Aurelio. – Ma lui non ci fece caso, partì lo stesso e cadde in battaglia.
- Già: e il greco si presta ancor più“ del latino ai giochi di parole! Anche quel porto in Gallia, Marsiglia, o Massalia. sai perché si chiama così? Dei marinai, non sapendo dove erano arrivati, gridarono “Massai aliea! ”prendi il pescatore, con l’intenzione di interrogare un vecchio che arrivava in barca.
Dall’altra nave capirono: Massalia, e la città porta ancora quel nome! – rise Castore.
Bene, il padrone si stava sciogliendo: era arrivato il momento di offrirgli la cervesia.
Il liberto sollevò il calice colmo e glielo porse.
Il gesto si fermò a mezz’aria.
Aurelio era impallidito e fissava il nulla davanti a sé come Bruto di fronte allo spettro di Cesare. – Massaialiea, Massalia.
Cave ne eas, cauneas.
Ricordati delle tue buone qualità, anela alla virtù. – Mnesaiaretes! – Padrone, che ti succede?
- Presto! – esclamò Aurelio alzandosi di scatto- vieni!
L’ambulatorio, ormai spoglio di ogni arredo, aveva la struggente malinconia delle cose finite.
Strumenti, ampolle, cofanetti, tutto era stato imballato accuratamente e stivato nel grande mercantile che avrebbe fatto rotta per Alessandria, l’indomani.
Sulla parete nuda rimaneva ancora, tra gli scaffali vuoti, il colubro di Esculapio.
- Quello lo porto sempre su di me: è una specie di superstizione! – spiegò la dottoressa sorridendo. – Sono contenta che tu sia venuto a salutarmi. Ma ti vedo turbato.
- Gli addii mi rendono triste.
- Allora non rifiutarmi un ultimo brindisi!
- Senti, quando Dinah venne da te, la prima volta. era sola nell’ambulatorio? Non ho ancora capito come abbia fatto Flavio a ucciderla in quel modo! Sai se conoscesse Apelle?
- No, non credo. – tentò di ricordare la donna.
- E“ mai venuto qui, Flavio? – proseguì il patrizio, dubbioso.
Mnesarete scosse la testa: – Non mi sembra….
Io rammenterei, se l’avessi visto! Ma smettila di arrovellarti con questa storia, Aurelio! – sorrise traendo da un ripostiglio una piccola giara di coccio. – L’ho tenuta per te, sperando che tornassi un’ultima volta! e gli versò una ciotola di liquido ambrato.
- Mi dispiace, non ho da addolcirlo.
- Al solito, tu non bevi. Già, mens sana in corpore sano.
Un chirurgo deve avere la mano ferma! – ricordò Aurelio stancamente.
Ha gli occhi del colore del mare di Kos, pensò, portandosi la tazza alla bocca.
- No, aspetta: prima il brindisi.
Alla donna che insegnerà al Museo di Alessandria! – disse amaramente levando il calice.
- Non riesci a perdonarmi, vero, di aver preferito Alessandria a te?
- Sì che ti ho perdonato, Mnesarete, tuttavia non berrò.
- Perchè? – domanda lei stupita.
- Perchè la mia morte non servirebbe.
- Ma Aurelio, che dici? – Mnesaì aretes! Aspira alla virtù, ricordati delle tue buone qualità.
Mordechai ha interpretato così le parole della figlia moribonda.
Ma lei stava cercando di pronunciare il tuo nome!
- Sei pazzo!
- Non sono mai stato tanto savio! Dinah venne da te la notte della fuga.
Le avevi promesso di aiutarla, vero? Ti eri conquistata la sua fiducia.
Tu, una donna matura ed esperta, rassicurante come la madre che non aveva mai conosciuto.
Si era messa nelle tue mani. e tu cosa le hai fatto? L’hai stordita con l’oppio, prima di perforarle l’utero? Dovevano trovarla in un vicolo, sanguinante, morta per aver cercato di disfarsi di un figlio adulterino.
Ma lei riuscì incredibilmente a giungere fino a casa e subito dopo ti si presentò un romano impiccione che non si rassegnava a credere alla storia dell’aborto clandestino.
Allora pensasti bene di sfruttare anche lui: non lo cercasti nemmeno, Rubellio, lo stavo cercando io per te.
E te lo sei fatto portare qui come un animale al macello!
- Quello che dici è assurdo: cosa ci avrei guadagnato?
- Il silenzio. Il silenzio della morte su quel che Dinah aveva visto.
Non è stato per aver spiato gli amplessi di Messalina che i due giovani hanno pagato con la vita.
Il giorno in cui avrebbe dovuto abortire, Dinah torna qui, per dirti che aveva deciso di tenere il bambino: te lo doveva, eri l’unica persona che si fosse offerta di aiutarla.
Così vide Flavio, che veniva a prendere l’ultima dose di veleno, quella definitiva, con cui avrebbe eliminato il padre: era il prezzo pattuito per procurarti l’appoggio dell’imperatrice, indispensabile per entrare al Museo.
Dinah era nell’ambulatorio quando Flavio entrò, probabilmente dalla porta di dietro.
Sentì una voce nota e, incuriosita, volle vedere. e quando rientrasti ti disse candidamente di aver riconosciuto l’amico del suo ragazzo.
Allora decidesti che non poteva vivere: Flavio stava per dare il colpo di grazia al vecchio e nessuno doveva collegarlo con te.
Così ti offristi di aiutarla nella fuga, la consigliasti di tornare la notte, da sola e…. Mnesarete lo guardava freddamente, senza paura.
- Ma dopo, a cose fatte, cominciasti a sospettare che ne avesse parlato con Rubellio, soprattutto perché il ragazzo era sparito.
Invece lui non ne sapeva niente; credeva, come me, che Dinah fosse stata uccisa per quanto aveva visto al lupanare. per questo si nascondeva.
Fuggiva da Flavio, non da te.
E quando io te lo portai privo di sensi, tu lo avvelenasti, qui, sotto i miei occhi, con l’impiastro che avevi voluto preparare di persona!
- Questa storia è un parto della tua fantasia, Aurelio! Tu ce l’hai con me per altre ragioni!
- Ah, che momenti terribili devi aver passato quando scopristi che un tuo farmaco, del quale non sapevi nulla, era stato trovato in casa di Fusco! Non erano certo i calmanti rubati da Apelle quelli che uccidevano il vecchio! Ma il destino a volte fa dei brutti scherzi, e tu, per gli imbrogli del tuo assistente, rischiavi di essere condannata, con una prova falsa, per un delitto vero! Per fortuna il nobile Aurelio era li come un babbeo pronto a salvarti! – esclamò furioso, afferrandola per le braccia.
- Lasciami, mi fai male! – urlò lei, inviperita. – Niente di quello che hai detto è vero! Le parole di una moribonda, riportate da un vecchio rimbecillito. non hai nessuna prova.
- Davvero? Eppure il prefetto dei Vigili è già avvertito e sta perquisendo il tuo bagaglio per trovare il veleno che ha ucciso Fusco! Aurelio scorse un lampo di trionfo negli occhi della donna.
- Ah, te ne sei già disfatta, vedo! Ma non di questo! – esclamò brandendo la ciotola.
- No! – gridò la donna cercando di afferrarla. – Dammela! – Hai commesso un errore imperdonabile tentando di uccidermi, Mnesarete.
La fortuna ti ha aiutato generosamente, fino a questo momento.
Ma l’hai sfidata una volta di troppo.
- Non volevo la tua morte: sarei partita tranquillamente, se tu non fossi venuto qui, con le tue accuse.
Ho capito che sapevi, fin da quando hai varcato la soglia.
- Lo so.
- Ascolta, non è troppo tardi.
I vigili non troveranno nulla sulla nave, e io partirò ugualmente, perché tu mi lascerai partire, vero?
- Presuntuosa fino alla fine! Credevi che avessi perso la testa per te fino a questo punto? No, Mnesarete, le guardie stanno venendo ad arrestarti.
- Ma io devo andare ad Alessandria! Devo!
- La tua ambizione era dunque tanto grande da farti aiutare da Flavio nel suo sordido delitto? Da gettare Dinah sulla strada a morire dissanguata, da uccidere Rubellio sul tavolo operatorio?
- No! Tu non capisci! Erano tre vite, solo tre, ma quante avrei potuto salvarne? Donne e bambini muoiono ogni giorno perché i medici non li sanno curare o perché non hanno i soldi per pagarli! I vari Demofonti massacrano la gente sotto gli occhi indifferenti della legge romana! Cosa sono tre vite, tre vite sole, in cambio di tutte quelle che avrei strappato alla morte?
Dal fondo del vicolo vennero dei passi cadenzati.
Aurelio prese la ciotola e gliela porse.
- Stanno arrivando.
- Alessandria! Sono un buon medico.
- Il migliore di Roma. adesso bevi!
- I miei testi sarebbero stati studiati, nei secoli a venire. mormora lei portandosi la ciotola alle labbra.
Il rumore di passi si faceva più“ vicino.
Il liquido per un istante le tinse la bocca come un rossetto.
- Agirà in fretta. – assicurò deglutendo a fatica.
I passi rimbombavano, insistenti.
Lo sguardo chiaro di Mnesarete fissava già un punto lontano, oltre il muro spoglio sormontato dal caduceo.
Il patrizio fu pronto ad afferrarla, quando barcollò.
- Tienimi stretta, Aurelio.
L’uomo la prese tra le braccia, cullandola piano, finché non sentì i muscoli allentarsi e il corpo abbandonato, da cui la vita fluiva via come da una larga ferita, non gli crollò addosso con tutto il peso della morte.
- In nome del senato e del popolo romano, aprite!
Aurelio sollevò la donna ormai inerte e la compose sul lettuccio.
L’uscio risuonava di colpi violenti.
Sulla parete rimaneva il caduceo col serpente di Esculapio. – Quello lo porto sempre su di me. – In fretta il giovane lo staccò dal muro e lo intrecciò alle dita di Mnesarete.
Solo allora andò“ alla porta e la spalancò.
Otto visi ben noti, neri come la pece, lo fissarono muti.
Tra i volti color dell’ebano dei lettighieri nubiani biancheggiava il profilo aguzzo di Castore.