Capitolo trentaduesimo
Nel corso del quale Aladina dorme un po’ troppo e forse sa perché il fuso di Gufo non funziona. E il fulmine? E il tuono? E l’onda che voleva riprendersi il fuso? Cleonice non ha tempo: deve andare a levar le uova per il mercato, mentre Cococo…
«Già le nove e non s’è ancora vista. Vado su e le do la sveglia» borbotta Cleonice. La tavola per la colazione è pronta dalle sette e mezza per il dottor Astorre e dalle otto per Aladina, che di solito, puntuale come un orologio svizzero, alle otto scende le scale di corsa e reclama quanto dovuto a una bambina.
Senza far rumore per non darle un brutto risveglio, sale le scale e apre la porta. La finestra della stanza è spalancata, vetri e scuretti, e sul davanzale Codanera sta rosicchiando la solita noce mentre guarda la bambina addormentata. All’ingresso di Cleonice non si sbilancia: le dà appena un’occhiata e continua a masticare a bocca chiusa.
«Via, via, brutta bestiaccia!» e va verso la finestra.
Senza abbandonare la noce, Codanera aspetta che la donna si avvicini e, quando è a portata di noce, gliela spedisce sulla fronte. Salta sul ramo che ormai raggiunge la finestra e si ferma in zona sicurezza per vedere il seguito.
Cleonice si affaccia e gli grida: «Se ti rivedo sul davanzale ti tiro dietro una ciabatta».
Un altro balzo e Codanera sparisce fra il fogliame.
Sul davanzale resta il risultato del buchetto praticato nel guscio e cioè un poco di polvere che somiglia alla segatura.
La voce della donna ha svegliato Aladina che, stiracchiandosi e per metà abbondante ancora nel suo mondo dei sogni, dice: «Non sgridarlo che è mio amico».
«La finestra spalancata. Come te lo devo dire che di notte c’è umidità e devi tener chiusi almeno gli scuri?»
«Ho sonno e voglio dormire ancora.»
«Dormi da dodici ore, poltrona, non ti bastano?»
«Stanotte sono tornata tardi.»
Un’altra occhiata alla Grandequercia, una soffiata sul davanzale per far sparire la segatura da guscio di noce e Cleonice si volta. «Ah sì? E dov’è stata la signorina stanotte? Al ballo del principe azzurro nel castello incantato?»
«Meglio. Sono stata a preparare il fuso del comando» e mette i piedi fuori dalle coperte.
«Meno male. Così potrai comandare tutto quello che desideri.»
«Purtroppo no, Cleo. Non ha funzionato.»
«Forse non hai fatto come avresti dovuto. Adesso vestiti e lavati mani e faccia che la colazione è pronta. Me ne parlerai mentre mangi» e versa l’acqua dalla brocca nel catino.
Acqua, brocca e catino di terracotta e asciugamano di canapa ruvida hanno il loro posto nel trabiccolo di ferro battuto, da sempre sistemato accanto alla finestra.
Lentamente, scalza, Aladina va a lavarsi. Immerge le mani nell’acqua, ne raccoglie una manciata e la porta alla faccia. Ha un brivido: «È fredda».
«Lo diceva anche tua madre, da piccola.»
Ad Aladina fa piacere ripetere lo stesso rituale di Gialdiffa.
Sedute una di fronte all’altra, Cleonice, gomiti sul tavolo e mento sostenuto dalle mani, aspetta che Aladina beva un paio di sorsi di caffelatte e mandi giù qualche boccone addentato dalla grande fetta imburrata e coperta di marmellata. Poi le chiede:
«Perché non mi racconti il tuo nuovo sogno e come mai il fuso del comando non ha funzionato?»
In fretta la piccola manda giù il boccone con un sorso di caffelatte e «Non ho sognato!» esclama indispettita. Con lo stesso tono, continua: «C’era o no la luna piena stanotte?».
Cleonice si alza e va a controllare sull’almanacco e: «Sì, luna piena» conferma.
«Ecco, vedi! Per questo siamo andati al lago e lui ha costruito un fuso.»
«Lui?»
«Sì, Gufo» e racconta senza omettere alcun dettaglio, interrompendosi ogni tanto per un boccone e un sorso, la notte trascorsa assieme all’amico sulla riva del lago.
L’anziana la lascia parlare. Commenta con aria di rimprovero: «E così saresti stata fuori fino all’alba con quel monellaccio. E noi non ci saremmo accorti di niente».
Aladina non la guarda e continua a mangiare. Sembra non sentire la ramanzina di Cleonice. Le brillano ancora gli occhi per la nottata piena di meraviglie. La donna se ne accorge e riprende, più calma:
«E in tutti i modi due cosette non mi convincono. Che qualcuno abbia potuto costruire un fuso in pochi minuti e che stanotte ci siano stati un tuono e un fulmine che hanno sconquassato il lago.» Si alza per sparecchiare. La ferma Aladina, prendendola per un braccio.
«Ora ti faccio vedere» e corre su per le scale.
Due minuti ed è di nuovo in cucina. Agita in aria il fuso di Gufo. Cleonice lo guarda, sorpresa. Lo prende e se lo rigira fra le mani. Scuote il capo: «Non può funzionare, Aladina, non può».
«Perché?» chiede preoccupata la piccola.
«Aspetta.»
Va e torna con il suo fuso. Lo posa sul tavolo, accanto a quello di Gufo. «Guarda un po’» e aspetta il commento.
«È più bello» conferma Aladina.
«Non solo. Quando gli do il frullo gira senza dondolare qua e là e senza spostarsi di un millimetro dal piombo. Insomma è equilibrato, liscio e lucido e poi, senti…» Lo porge alla piccola che lo tiene con due mani, come se fosse un passerotto. «Adesso l’altro. C’è differenza?»
Aladina annuisce: «Il tuo è caldo, quasi morbido. Il nostro è… è…».
«È freddo, grezzo, squilibrato… Insomma è senza grazia. Come può diventare un fuso del comando?»
Aladina annuisce e mette su il broncio: «Non me lo avevi detto».
«Molte cose non ti ho ancora detto.» Siede e si prende vicino la piccola. «Tante sono anche quelle che non mi hai detto tu. Nel tuo sogno c’erano il fulmine e l’onda che stava portandosi via il fuso…»
«Insomma! Non ho sognato!»
«Va bene. Allora dimmi: perché né io né il dottore, né Gildone… Insomma, nessuno ha sentito un tuono stanotte? Non siamo lontani dal lago e un tuono lo senti anche a molti chilometri. Vedo un fulmine cadere sulla cima di monte Guardone e subito dopo arriva il tuono qui, alla Casona. Scommettiamo che non l’ha sentito neppure san Cigolino che abita più vicino al lago di noi? Scommettiamo?»
Aladina scuote il capo: «E invece ci sono stati il fulmine, il tuono e l’onda» ripete stizzita.
«Va bene, c’è stato tutto. Nel tuo sogno.»
La bimba ha le lacrime agli occhi. Cleo la prende sulle ginocchia e le accarezza la testa. «Un sogno tanto vero che ti ha lasciato il fuso di Gufo.» Sospira e riprende: «Piccola mia, a volte la vita è un sogno e ci aiuta a vivere. E tu ne hai bisogno, come Gialdiffa». Se la coccola con lo sguardo. «Sai che si fa ora, io e te?» Aladina nega col capo. Quando ha il broncio risponde a cenni. «Io e te si va nel pollaio a levare le uova e si portano al mercato. Se ne leviamo una dozzina, possiamo anche cavarne cinque o sei Vituriètt.1 Ti va?»
Aladina annuisce. Prende la tazza e manda giù d’un fiato l’ultimo sorso di caffelatte.
Escono, Cleo con il cestino per le uova al braccio; Aladina con quanto resta della fetta di pane, burro e marmellata. Nell’aia c’è solo Cococo.
«Dove sono le altre?» chiede la bambina.
«Alcune in giro dietro casa a cercare cibo e le altre nel pollaio a far uova o da qualche parte, a covare in un nido nascosto.»
Appena la vede, Cococo le corre incontro: ha visto cadere una briciola di pane dalle mani della piccola e subito la raccoglie col becco. Guarda in alto e ne aspetta altre.
«Cococo non fa le uova?»
«La tua amica è ancora una pollastrella. Le farà tra qualche settimana.»
Aladina si china e le sbriciola un po’ di fetta.
«Mentre fate due chiacchiere, io vado a uova.»
Subito Aladina pensa che non sia una cattiva idea fare due chiacchiere con la pollastrella. Le resta accoccolata davanti e le racconta la sua notte sul lago. Sembra che la gallinella l’ascolti attentamente. La fissa muovendo di continuo la testa come se annuisse. Smette appena ha qualche briciola che la bambina lascia cadere, ma con parsimonia. Non vuole perdere un’ascoltatrice attenta.
«Lo hai sentito il tuono, vero?» La pollastrella piega il capo di lato e la guarda con l’occhio destro. Poi col sinistro. Come se annuisse. «Lo sapevo. E Cleonice non mi crede.»
La prima gallina che ha fatto l’uovo lascia il pollaio, si ferma davanti al pertugio, si guarda attorno e, soddisfatta, lancia il suo coccodè. Annuncia al mondo di aver appena fatto il proprio dovere di animale da cortile.
Altre la seguono e l’aria si riempie di annunci.
Esce anche Cleo. Mostra il cestino ad Aladina: «Sedici. La giornata comincia bene. Adesso mi preparo e si va al mercato. Abbiamo quattro formaggi stagionati da vendere e dodici uova».
«Hai detto sedici.»
«Quattro sono per Aladina, fresche, fresche.»
1. Il Vituriètt (Vittorietto) era la moneta da 50 centesimi che aveva sul verso l’effigie di Vittorio Emanuele III.