Capitolo settimo

Alle prese con un libro di novelle, un genietto malevolo che si prende gioco dei mondi di Aladina, e la strana richiesta della ragazza al dottor Astorre.

Attorno alla lumiera tremola un chiarore ocra che rende opachi i contorni delle cose. Aladina, rannicchiata sotto le coperte accanto alle due compagne, guarda l’alone sfocato e si sfrega gli occhi. Non riesce a dormire.

Il ripiano del comò, il vaso da fiori e la cornice col ritratto di una giovane donna sconosciuta fluttuano attorno al lume come non avessero corpo. Per terra di fianco al mobile una massa scura s’intravede appena. È il baule personale di Aladina con le sue cose di città, un baule che solo lei può aprire e non l’ha ancora fatto dall’arrivo in paese.

Si tira su adagio per non svegliare le bambine, di cui sente il respiro pesante, e con cautela, perché le foglie di pannocchia scricchiolano al più piccolo movimento. Scende dal letto e va al baule. Solleva il coperchio e così nel buio, a tentoni, cerca all’interno. Ricorda perfettamente dove ha sistemato ogni oggetto, e la forma che le dita percorrono le fa capire di cosa si tratta.

Raccoglie dal fondo un grosso libro. Lo riconosce dalla spessa copertina gialla di cartone rigido e dalla costa ricoperta di panno rosso. I colori naturalmente non li vede, ma li sa a memoria.

Sono molti mesi che non lo legge, forse un anno; in passato se lo portava a letto, lo appoggiava sulle ginocchia e lo sfogliava prima di mettersi a dormire. Non seguiva nemmeno più le storie: le conosceva bene. Leggeva qualche frase qua e là, guardava le figure. Quel libro ha delle illustrazioni meravigliose, con colori tenui, linee morbide, e una sottile riga nera che segue il profilo delle figure rendendole nette e ben riconoscibili.

Da un po’ però non lo riprendeva in mano.

Prova una strana sensazione, da una parte si sente affascinata e desidera ancora una volta lasciarsi cullare nel sonno da parole e colori di uno strano mondo così familiare, dall’altra sente una specie d’incredulità, forse quasi diffidenza, come se un genietto malevolo le sussurrasse all’orecchio con una piccola penetrante voce: “Non crederai che siano cose vere, eh? Non crederai che esistano nel mondo?”.

Adesso è arrivato il momento di capire se il genietto ha ragione o se, invece, i racconti sono belli come un tempo.

Appoggia il libro sul comò, sotto la luce della lumiera. Sulla copertina, un cavaliere con elmo e scudo su un cavallo rampante. Lettere rosso scarlatto dicono Grimm. 50 novelle.

Sa quale pagina cercare. E trova subito l’illustrazione: seduta su una poltrona malmessa da chissà quanti secoli di utilizzo, una vecchina rugosa, lo sguardo buono dietro gli occhiali rotondi, porge un’asta appuntita a una giovane principessa con le piume in testa e l’abito pieno di sbuffi. Dal bracciolo penzola un bacchetto ricoperto di filamenti morbidi e chiari. Aladina riconosce il fuso e la rocca simili a quelli che ha visto fra le mani di Cleonice.

«Allora è vero.»

Scorre la pagina con gli occhi e trova il testo.

Ora avvenne che proprio il giorno in cui compì quindici anni, il re e la regina erano fuori ed ella rimase sola nel castello. Girò dappertutto, visitò ogni stanza a piacer suo e giunse infine a una vecchia torre. Salì una stretta scaletta che la condusse fino a una porticina. Nella serratura c’era una chiave arrugginita e quand’ella la girò, la porta si spalancò: in una piccola stanzetta c’era una vecchia con un fuso che filava con solerzia il suo lino.

“Oh, nonnina” disse la principessa, “che cosa stai facendo?”

“Filo” rispose la vecchia, e assentì con il capo.

“Come gira quest’aggeggio!” esclamò la fanciulla, e prese in mano il filo per filare anche lei. Ma non appena lo toccò, si compì l’incantesimo ed ella si punse un dito.

Come sentì la puntura, cadde a terra in un sonno profondo. E il re e la regina, che stavano rincasando, si addormentarono anch’essi con tutta la corte. I cavalli si addormentarono nelle stalle, i cani nel cortile, le colombe sul tetto, le mosche sulla parete; persino il fuoco che fiammeggiava nel camino si smorzò e si assopì, l’arrosto smise di sfrigolare e il cuoco, che voleva prendere per i capelli uno sguattero colto in flagrante, lo lasciò andare e si addormentò anche lui. Tutto ciò che aveva parvenza di vita tacque e dormì.

Intorno al castello crebbe una siepe di fitte spine, che ogni anno diventava sempre più alta finché arrivò a cingerlo completamente e a ricoprirlo tutto; così non se ne vide più nulla, neanche le bandiere sul tetto.

Ricordava bene, parola per parola.

Batte le palpebre che le pizzicano nello sforzo.

Torna a letto portandosi il libro.

Si stende adagio, un’occhiata a Teresotta e Fringuella per accertarsi che non si siano accorte di niente, e si copre con il pesante panno.

Girata su un fianco prova a leggere ancora qualche riga ma non distingue quasi nulla. L’immagine tremola sotto i suoi occhi sempre più stanchi. Pensando: “Domani è questa la prima cosa che chiederò al Professore”, piano piano scivola nel sonno.

Si sveglia presto e, accanto a lei, le due compagne sono ancora nel loro mondo dei sogni. Con precauzione, scende dal letto, fa le scale di corsa, di corsa arriva in ambulatorio, apre la porta ed entra. Il dottor Astorre sta visitando e il paziente, in mutande, si copre alla meglio con le mani.

«Aladina, che modi sono?»

«Voglio che mi porti dal Professore e voglio che mi accompagni oggi.»

«Piano Aladina, si parla così a tuo padre? A ogni modo ho visite tutto il giorno.»

«Allora ci vado da sola» e a culo dritto fa per uscire.

Il dottore si accorge che la ragazzina è finalmente cambiata da così a così e non se la sente di deluderla.

«Troverò il tempo, ma dimmi perché ci vuoi andare.»

«Un segreto» e, sorriso sulle labbra e culo al posto giusto, va a far colazione.

Il dottore non se l’aspettava. È sorpreso e felice. L’apatia della figlia gli pareva senza soluzione e lo preoccupava seriamente; felice perché stamattina la piccola sembra tornata quella di un tempo. Non sa perché e non chiede. Gli basta la luce che sorride negli occhi di lei. Certo, l’accompagnerà dal Professore quel pomeriggio stesso.

Le due amiche sono già a tavola:

«Dove sei stata?» le chiede Teresotta.

«Ci siamo svegliate e non eri più a letto» dice Fringuella.

«Un segreto» e anche lei fa colazione.

«Scommetto che c’entra il Professore» commenta Cleonice.

Aladina non fa né sì né no. Sorride e la donna sa di aver vinto la scommessa.

La casa, un edificio di pietra a vista aggrappato ad altri a formare un minuscolo borgo poco fuori dal paese, ha l’aria di una tozza torre a tre piani. Dentro, tre ambienti sovrapposti, collegati da una scala di legno.

Aladina e il padre salgono la prima rampa e gli antichi gradini sembrano lamentarsi sotto i passi. Entrano in una stanza piena di libri, carte, giornali su scaffalature alle pareti e impilati sul tavolo, la cassettiera e le sedie sparse. Mobili pesanti e scuri nella penombra perché la grande finestra di fronte all’uscio d’ingresso è per metà coperta da una tenda di velluto color cremisi. Un posto dove tutto è fermo, silenzioso, come se nessuno muovesse più nulla da secoli.

Anche il vecchio è immobile sulla poltrona accanto al caminetto, un panno sulle ginocchia, ma quando li vede entrare si piega in avanti come per alzarsi.

«State, state, Professore. Vi ho portato mia figlia, che vuole chiedervi qualcosa sul paese e i suoi abitanti. E voi ne sapete più di tutti. Tornerò a prenderla quando chiuderò l’ambulatorio.»

«Aladina, la piccola di Gialdiffa. Che piacere cara, vieni avanti, vieni, siedi qui» e il Professore indica il divanetto di fronte al focolare, anche questo coperto di giornali. «E sposta pure le carte, trovati uno spazio.»

Il Professore ha un gran barbone grigio e i capelli crespi e dello stesso colore sono lunghi fin sulle spalle. Porta un paio di piccoli occhiali tondi, che si toglie appena la bambina si siede.

Indossa una papalina di lana e uno sciarpone, anche se siamo in giugno.

Aladina ha un brivido e si accorge che fa fresco. Nel camino arde un piccolo fuoco di brace.

«Allora, cara, di cosa volevi parlarmi?»

Aladina gli parla del racconto di Cleonice la sera prima e «… poi ha detto che voi sapete tutto e sapete anche cosa c’è scritto nel ponderoso manoscritto».