Capitolo sedicesimo
Nel quale anche Aladina passa un bel pomeriggio, ma la vita non è tutta e sempre piacevole. Sorprese ne riserva molte e a volte sgradevoli, come Drago che…
Le rassicurazioni mattutine del Professore hanno il potere di far trascorrere al dottor Astorre una domenica tranquilla. Che prosegue con il degno pranzo festivo preparato da Cleonice e una mezz’oretta di pace sulla sdraio all’ombra della Grandequercia.
Ed è qui che, godendosi il sigaro del pomeriggio, gli torna il pensiero del Professor… del Professor…
«Be’, questa è bella!» borbotta.
Non ha mai saputo come si chiama.
Il Professor nonsocome sa tutto, e anche di più, di Paese Nuovo e dei suoi abitanti, mentre nessuno sa di lui: non il nome e non il cognome, non l’età, non da dove venga, non cos’abbia fatto durante la sua ormai lunga vita.
Eppure il dottor Astorre ha la massima fiducia in lui. L’ha conosciuto molti anni fa quando, ancora giovane e non ancora maritato all’altrettanto giovane Gialdiffa, frequentava il paese.
«Forse è vero» conclude il dottore dando un’occhiata al sigaro che si sta spegnendo, «il prossimo non è il nome né il cognome che porta, ma quello che fa, dice, come ragiona» e sentendo che i pensieri gli si annebbiano, spegne del tutto il sigaro schiacciandone la punta in terra e lasciandosi andare alla piacevole sonnolenza che lo sta avvolgendo.
Anche per Aladina è una piacevole domenica iniziata con il concerto delle campane, quelle vere che tutti sentono, Argentina, Tintinnabula e Gravona. È continuata con la salita al campanile. Soprattutto è piacevole per le parole del Professore. Ancora le girano nei pensieri:
“È accaduto anche a tua madre, a Gialdiffa. Io ti credo.”
La sua domenica prosegue con una passeggiata nell’aia dove le galline becchettano qua e là. Cominciano appena escono dal pollaio, al mattino presto, e smettono quando rientrano, la sera.
Aladina immagina come sarebbe lei se mangiasse per tutto il giorno, come le galline.
Cococo la vede arrivare, subito le corre incontro e per prima cosa le becca il piede là dove la scarpetta lascia scoperta la pelle.
«Buongiorno anche a te» le dice Aladina pensando che i leggeri tocchi del becco siano il modo di salutare della gallinella.
«Vado nella stalla, vieni con me?» e si avvia.
Quasi l’avesse capita, la pollastra le si mette accanto e continua con il suo sommesso cococo che somiglia al ronfare del gatto quando ha lo stomaco pieno ed è in pace con il mondo.
Le accoglie l’acre sentore del letame.
Appena arrivata dalla città, per Aladina quell’odore era fastidioso. Adesso le è familiare e non le dispiace del tutto.
Nella stalla le mucche ruminano tranquille. Una o due sospendono, voltano appena il muso alle nuove entrate e riprendono il rumor di croste. Accanto alla porta Guidone ha ammucchiato il fieno che servirà nelle mangiatoie quando le campane suoneranno le cinque. La ragazzina vi si lascia cadere sopra e respira il profumo di erba secca che ha sollevato.
Sul pavimento Cococo ha trovato qualcosa di meglio dei piedi di Aladina e sta facendo una scorpacciata di ciò che vede solo lei.
Esaurita la stalla, Aladina corre alla Grandequercia.
Cococo, occupata con il “qualcosa di meglio”, si accorge dell’uscita di Aladina e, per raggiungerla, si mette anche lei a correre.
Ma più che una corsa, il suo è un buffo dondolare a destra e a sinistra. Decisamente le galline non sono fatte per la corsa. Con grande gioia delle faine, delle donnole, dei rapaci…
Le pollastre e i pollastri sono alla mercé di una quantità di animali. Per questo cercano di restare vicine a casa il più possibile.
Cococo raggiunge Aladina sdraiata dov’era il dottore fino a qualche minuto prima. Ha gli occhi chiusi per ascoltare meglio i rumori del mondo che si muove sopra di lei, sull’albero secolare.
Li apre e fruga con lo sguardo tra le foglie e i rami della Grandequercia. Le piacerebbe vedere Codanera alla luce del sole. E anche lo strano essere che gli stava accanto qualche mattina fa all’alba.
Rinuncia: troppe foglie, troppi rami.
Cococo ha trovato qualcos’altro da beccare.
«Non quello, Cococo! Non si mangia!» e le strappa dal becco il sigaro spento.
Per la gallinella è troppo: prima la lascia sola assieme a bestie cento volte più grosse di lei e adesso le toglie il cibo. Che ne sa la ragazzina di cosa piace e cosa non piace alle galline? Se ne va tutta sdegnosa con la coda dritta.
La coda dritta ce l’ha anche Codanera. Una noce fra le zampette e nascosto fra le foglie, ha visto la piccola arrivare sotto la quercia assieme a Cococo. Ha continuato a rosicchiare il gheriglio, pezzetto per pezzetto, estraendolo dal minuscolo forellino che ha fatto nel guscio con i denti.
Ha finito, cambia ramo per trovarsi esattamente sopra la bambina e lascia cadere la noce vuota. Sulla fronte, preciso preciso.
Aladina non se l’aspettava e non trattiene un grido che blocca le bestiole indaffarate sulla Grandequercia. Tranne Codanera. Per lui è normale. Normale centrare la fronte di chi si sdraia sotto la sua proprietà, normale che il centrato emetta un urlo di sorpresa, normale che poi il colpito guardi su e normale che lui si giri mostrando il culetto e sparisca in alto, dove solo un’aquila potrebbe vederlo.
«Grazie Codanera!» grida Aladina, felice di aver visto lo scoiattolo, anche se per pochi secondi.
Il guscio, dopo averle colpito la fronte, è rotolato nell’erba. Aladina lo raccoglie, si accorge che è vuoto e ha un forellino. «Grazie, ma la prossima la vorrei con la noce da mangiare» grida ancora.
Codanera ha smesso da un bel po’ di meravigliarsi della stupidità degli esseri verticali. La bambina dovrebbe ringraziarlo. Ma è arrivata da poco e non sa quante cose si possono fare con una noce ancora quasi intatta, se pure vuota. Per esempio, delle nacchere. Oppure, praticandovi un altro forellino, si può ottenere un fischietto. O, staccando le due metà, uno strumento musicale da suonare modulando opportunamente le labbra e facendo scorrere le metà l’una sull’altra davanti alla bocca.
Aladina cerca ancora Codanera fra i rami e le foglie.
Le urla di Drago, balzato fuori dalla siepe, la distolgono dalla ricerca. Il ragazzino la raggiunge e le saltella attorno gridando: «Aladina che sente le campane! Aladina che sente le campane!» e si ferma davanti a lei a gambe larghe.
La bambina fa per parlare, ma Drago le fa segno di tacere.
Da dietro la siepe, improvviso, arriva il suono disordinato di alcuni campanelli a mano, di quelli molto grossi e con il manico di legno.
Drago riprende a saltellare attorno alla ragazzina e riprende a gridare: «Sento le campane! Anch’io sento le campane! Sento le campane!» mentre dalla siepe escono Biondo, Pulce e Cassadamorto agitando tre campanacci e urlando:
«Sento le campane! Anch’io sento le campane! Sento le campane!»
Si stringono attorno alla bambina agitando sempre più i campanacci. Tanto assordanti che Aladina si mette le mani sulle orecchie e grida:
«Basta! Basta! Per favore!»
La banda di Drago non ci pensa neppure.
«Smettetela!»
Il grido, tanto alto da farsi intendere sopra lo scampanellare, arriva dalla Grandequercia e riesce, finalmente, a far tacere i ragazzi e i loro campanacci.
Immobile e con i campanacci sollevati ma silenziosi, la banda dei quattro guarda l’albero secolare.
È un attimo: uno strano essere coperto di foglie, spuntato dal folto della chioma, piomba a terra, a quattro zampe, e, restando accucciato, fissa i ragazzini.
Si rialza e si strappa le foglie: «Lasciatela in pace» dice.
Drago è il primo a rimettersi dalla sorpresa. «Io faccio quello che mi pare, Gufo» e, con cattive intenzioni, si avvicina al ragazzo della Grandequercia.
«Prendimi se sei capace» e Gufo parte veloce verso il boschetto dietro la Casona.
«Ci vuol poco. Andiamo! Cassadamorto, raggiungilo!»
Nonostante il soprannome, Cassadamorto è il più veloce della banda, riconosciuto da tutti. Anche da Drago.
Sarà pure il più veloce della banda, ma Gufo è veloce quanto lui e presto i due si lasciano dietro Drago, Biondo e Pulce, che raggiungono Cassadamorto solo perché si è fermato lungo il sentiero, appoggiato con entrambe le mani al tronco di un castagno, a riprendere fiato.
«Dov’è?» gli chiede Drago, anche lui con il respiro corto.
Cassadamorto indica il sentiero che si perde nel sottobosco. «È sparito» ansima. «Era davanti a me e improvvisamente è scomparso.»
«Devi essere tocco: come ha fatto a scomparire?»
«Non lo so.»
Lo sa Gufo che li sta guardando e ascoltando dall’alto di un castagno cavo. Vi si è infilato alla base, un secondo prima che Cassadamorto spuntasse dalla curva del sentiero e adesso la sua testa esce appena dalla parte superiore del tronco, seminascosta dal fogliame.
«Sei proprio un pistolone, Cassadamorto» così lo ringrazia Drago.
E gli dà pure un tozzo sulla nuca.
Il tozzo sarebbe una botta data a pugno chiuso e con la nocca del medio leggermente sporgente. Fa più male.
Cassadamorto se n’è accorto da tempo. Si massaggia la nuca e borbotta: «’St’altra volta ci corri dietro tu».
Nel calmo pomeriggio domenicale, il trambusto sotto la Grandequercia, soprattutto il suono dei campanacci, non è passato inascoltato. È arrivata Cleonice, è arrivato Gildone suo marito, è arrivato il dottor Astorre.
È arrivata anche Cococo, ma se n’è andata vedendo tanta gente attorno ad Aladina.
«Cos’è successo?»
«Dei bambini con campanacci…»
«Ecco cos’erano, campanacci.»
«Uno deve essere quel monello di Drago. Un prepotente.»
«Dove sono?»
«Se ne sono andati appena Gufo è saltato giù dalla Grandequercia.»
«Un gufo è saltato giù dalla quercia?» e qui il dottore comincia a non capirci più niente.
«Gufo, non un gufo» dice forte Aladina. «Ho sentito Drago chiamarlo così.»
«Sì, dottore, Gufo è il figlio di Verginia. Se la ricorda Verginia? Gli piace la Grandequercia e ci sale spesso.»
«Verginia sale sulla Grandequercia?»
Aladina scoppia in una risata: «Ma no, cosa dici, Astorre? È Gufo che sale sulla Grandequercia».
«E questo Gufo non sarebbe un gufo, ma un ragazzino? Che ci va a fare sulla Grandequercia?»
«Un bravo ragazzo, sempre solo…» cerca di spiegare Cleonice.
«Prima Codanera mi ha regalato…» e Aladina mostra la noce vuota.
«Codanera? Un altro ragazzino che sale sugli alberi?» e il dottor Astorre è sempre più preoccupato.
«No! Codanera è uno scoiattolo!»
«Non è uno scoiattolo, piccola mia» continua a spiegare Cleo. «È un ghiro che si crede padrone della Grandequercia.»
Aladina si diverte con questo dialogo degli equivoci dentro il quale Astorre si perde. Infatti:
«Oh, non ci capisco più niente!» e il dottore se ne va indispettito. «Che modi di parlare. Sono diventati tutti matti.»
Lo aspetta il volume di Jung. Ci si è appassionato e vuole saperne di più su questa nuova scienza che piace poco al regime fascista.
Forse dopo capirà gli strani comportamenti e i dialoghi delle persone che lo circondano.
È la sua speranza.