Capitolo quindicesimo

Dove si vede il paese e dintorni dall’alto, Aladina non ottiene risposta alla sua domanda, i campanari suonano la mezza, il Professore sta dalla parte della ragazzina e alcune altre cose notevoli.

«Sì, sì, andiamo in cima al campanile!» gridano le tre bambine alla proposta del Professore.

«Bene, allacciatevi le scarpe che comincia il nostro assalto al cielo.»

Stranamente eretto nella persona e con passo svelto, per essere un anziano con una ragguardevole età, si dirige verso la porticina posteriore del campanile. La sospinge – era semplicemente socchiusa –, e subito i rintocchi escono più sonori come se la lunga canna del campanile fosse una cassa di risonanza.

Le tre ragazzine cominciano la salita di corsa. Il Professore le lascia andare. Sa che si fermeranno presto a riprendere fiato.

I rintocchi, sempre più forti salendo, fanno oscillare il campanile. Come se accompagnasse il vibrare delle onde sonore. Subito la sensazione è di paura, poi ci si abitua e diventa piacevole. Come volare.

Le ragazzine sono a metà salita quando i campanari fermano il doppio. Resta nell’aria il ronzio modulato del bronzo. Esce dai finestroni e si distende attorno, per tutto il paese e fino ai borghi più lontani.

«E che ci fanno tre sorcette quassù?» dice stupito il campanaro anziano vedendo tre teste di bambina spuntare dall’ultima rampa.

Lo chiamano Fredo ma non viene da Al-fredo, come diventano tutti gli Alfredo della montagna. Viene da Frede-rico. Frederico, sì! Forse per un errore di scrittura dell’ufficiale di stato civile quando il padre andò in Comune, anni e anni fa, a denunciarne la nascita. O, più credibilmente, lo stesso ufficiale aveva bevuto un bicchiere di troppo.

Fatto sta che Frederico fu scritto e restò, sulla carta e nella vita, per omnia saecula saeculorum amen.

Un Federico con una erre di troppo.

Ci sono altri tre campanari, oltre a Frederico detto Fredo. I due più giovani son seduti sul davanzale dei finestroni. Frederico e il suo coetaneo su una panca addossata alla parete. Tutti e quattro si tengono fuori dal pericoloso semicerchio descritto dalle tre campane sia quando sono tirate a corda, e cioè quando vengono suonate dal basso mediante le funi, che quando le manovrano dalla cima, a mano.

Sul pavimento di mattoni e accanto alla panca c’è un fiasco che, all’inizio del concerto, doveva essere pieno. Adesso sta tirando gli ultimi e ancora pieni o pieni per metà sono i bicchieri che i quattro campanari tengono in mano.

«E che ci fanno tre sorcette quassù?»

«Le ho portate su io, caro Frederico. Volevo vedessero le tre voci più autorevoli del paese.»

«Professore, e come siete arrivato fin quassù?» dice ancor più stupito il campanaro anziano. «Di tutto mi sarei aspettato oggi, che vedere il Professore in cima al campanile» dice, stavolta rivolto ai tre compari. «E senza neppure ansimare. Siete un giovanotto.»

«Sì, a volte mi capita.»

«Beato voi. Comunque accontentiamo le sorcette. Questa…» e dà un cricco alla prima campana, la più grossa, ottenendo un debole, cupo ronzio. «Questa è nostra signora la Gravona. E questa…» altro cricco alla mezzana e ronzio meno cupo, «… è la signorina Tintinnabula.» Ultimo cricco all’ultima campana, la più piccola. «Vi presento una vostra compagna di giochi, Argentina la ragazzina. Salutate i visitatori» e i tre compari di campanile, assieme, battono le nocche sui tre bronzi traendone vibrazioni che, fondendosi, formano un suono nuovo.

Le tre bambine guardano stupite le campane sospese ai loro sostegni e con i batacchi ancora dondolanti.

«Non vi ho portato quassù per mostrarvi solo le campane» dice il Professore.

Durante le presentazioni delle tre campane, il Professore si era tenuto sull’ultimo gradino della lunga rampa. Adesso mette piede sull’impalcato, si avvicina al finestrone di levante e si sporge all’esterno.

«Proprio così: non vi ho portato quassù per mostrarvi solo Gravona, Tintinnabula e Argentina. Voglio che vediate il vostro paese dal cielo. Soprattutto» e con un ampio gesto del braccio prende dentro il paese che sta sotto e l’intera valle del Cigolo. «Soprattutto il meraviglioso mondo che vi circonda. Fino a oggi l’avete visto dal basso e vi è sfuggita la parte più bella. Ecco, è vostra, godetevela.»

Le bambine si affacciano e subito si ritraggono: l’altezza le ha spaventate. Mai, nella loro ancor breve vita, hanno guardato la terra da tanto in alto.

La prima a sporgersi di nuovo è Aladina. Timorose, la imitano Teresotta e Fringuella.

«Che bello!» commentano assieme dopo un istante di esitazione.

Il panorama è davvero bello. Soprattutto nuovo.

Il paese è una sfilata di tetti appoggiati l’uno all’altro, incastrati, accavallati, coincidenti e di un’infinità di colori. Dal grigio scuro delle lastre di arenaria sovrapposte le une alle altre per i fabbricati più antichi, al rosa tenue degli anni nei quali i coppi le hanno sostituite. Poi c’è il verde sporco del muschio nato fra le connessure delle tegole; c’è il grigio chiaro del cemento che spunta qua e là; il rosso cupo della ruggine di certe lastre di lamiera posate su coperture che avevano ceduto.

«Sì, molto bello» dice il Professore. «Il fabbricato scuro che vedete sopra il paese è il Palazzaccio con le tante finestre chiuse. Più sopra vedete i ruderi del castello di Matilde… Un giorno vi parlerò di lei. Si chiamava Matilde di Canossa ed è stata una donna davvero straordinaria. Per la verità, il castello l’aveva fatto costruire il padre, Bonifacio marchese di Toscana» e continua a indicare a destra, sinistra, sopra, sotto. «Ecco la Casa delle Beghine e la Casona dove abita Aladina…»

«E la mia dov’è?»

«E la mia?»

Paziente, il Professore rintraccia fra la sfilata di tetti e vicoli i segreti del paese: «In cima alla roccia a strapiombo sul lago, c’è il Santuario di san Cigolino. Sotto, vedete?, il buco nero dal quale il Cigolo si butta nella Buca del Diavolo dove si dice sia scomparsa la triste Melania. Ma è accaduto mille e mille anni fa».

Posa la mano sulla spalla di Aladina: «Per te, ecco il lago. Se guardi bene in questa direzione, dovresti vedere la chiesa annegata».

Aladina segue con lo sguardo la direzione indicata dal braccio del Professore. Vaga attorno, sulla superficie. Allarga il raggio.

Rinuncia.

Guarda il Professore, che aspetta impaziente la sua risposta, e scuote il capo.

Sul viso del Professore la delusione è più grande che sul viso della ragazzina.

«Mi dispiace» dice lui. «Adesso possiamo scendere.»

Comincia Teresotta, la segue Fringuella.

Prima di imboccare la scala dietro le due compagne, Aladina dà un ultimo sguardo al lago e…

«La vedo, Professore, la vedo!» grida.

Il Professore la raggiunge e chiede, ansioso: «Sei… sei sicura?».

«Sì, eccola!»

Tutta la combriccola riunita sul campanile si affaccia verso il lago e: «Io non la vedo» dice Teresotta.

«Neppure io» conferma Fringuella.

I quattro campanari non parlano, ma si capisce che la pensano come le due ragazzine.

«Eccola» ripete Aladina, sottovoce stavolta.

La madre gliene aveva parlato. È esattamente come la immaginava dalle sue descrizioni: la sagoma imprecisa del campanile, il tetto della chiesa e la facciata. L’immagine è filtrata dal velo dell’acqua e tremola per il lieve movimento delle onde.

Il ricordo appannato di una favola raccontata da Gialdiffa.

Il Professore aspetta che Aladina si riempia occhi e memoria e chiede, sempre più eccitato: «Guarda bene e dimmi… dimmi: da che parte della facciata della chiesa sta il campanile, a destra o a sinistra?».

Lei guarda bene. Guarda ancora meglio e, sorridendo, torna al Professore: «Né a destra né a sinistra. Il campanile è al centro, dietro la chiesa».

«È così, è così!» e il Professore si lascia andare a un profondo sospiro liberatorio. «Una visione indimenticabile riservata a poche fortunate come te» dice sottovoce.

Teresotta e Fringuella continuano a guardare.

«Io non vedo niente…»

«Nemmeno io…»

«Se può consolarvi» dice il Professore, «nemmeno io la vedo. Forse Aladina ha occhi diversi dai nostri.»

«Sì» sorride Teresotta, «adesso ci vede al buio come Gufo.»

Aladina torna alla chiesa sommersa. Vuol essere certa.

Come mai gli altri non la vedono? Eppure…

«Là, guardate, dritto dove c’è l’albero sulla riva.» Le due amiche guardano e continuano a scuotere il capo. «Siete cieche, accidenti! Là, proprio là…»

«Aladina, non siamo tutti uguali» cerca di rassicurare il Professore.

Il gioco della chiesa sommersa finisce lì. Per Teresotta e Fringuella.

Non per Aladina. Guarda ancora la superficie del lago: «Professore, è di là, da quel campanile che vengono i rintocchi che ho sentito ieri sera?».

Il silenzio che segue la costringe a voltarsi.

Il Professore si è fatto serio; Teresotta e Fringuella la guardano a bocca socchiusa. La guardano anche i quattro campanari.

Frederico interviene: «Cos’è ’sto mortorio? Sveglia giovanotti, sveglia che dobbiamo suonare la mezza! Siamo già in ritardo di due minuti».

Ogni campanaro si mette al lavoro e, con una precisione da orologiai svizzeri, le campane cominciano il loro viaggio sonoro per annunciare al mondo dintorno l’ora di mettersi a tavola.

Al primo rintocco le ragazzine si sono subito tappate le orecchie con le mani e capiscono il significato della battuta: sordo come un campanaro.

Malattia professionale.

Ci vuole qualcuno che la rischi per ricordare alla gente, soprattutto della montagna, il trascorrere delle ore. Dal levar del sole al calare delle tenebre. Ogni ora ha il suo rintocco. Dalla campana mattutina per la sveglia dei contadini, all’Avemaria delle ventitré: all’Avemaria, o a casa o per via.

La giornata di lavoro è finita.

Significa anche altro. Essere alle ventitré vuol dire: il tuo viaggio in questo mondo sta per finire.

«Tranquille, sorcette, tranquille, che il campanile non crolla» urla Frederico.

Tornano tranquille appena cessano i rintocchi. Ed è incredibile come basti poca forza per fermare l’enorme peso delle campane.

Si perde all’esterno l’ultima vibrazione della Gravona e i campanari si preparano a scendere. Rimettono la giacca della domenica, tolta per l’occasione, sulla camicia di bucato e stirata di fresco. Danno un’occhiata attorno che tutto sia in ordine. Raccolgono il fiaschetto e aspettano che gli ospiti imbocchino la rampa.

«Ditemi una cosa, Frederico.»

«Che volete sapere, Professore?»

«Ieri sera verso l’ora dell’Avemaria avete suonato un doppio?»

Fredo guarda i compagni e poi Aladina. Dice: «No. L’ultimo doppio, prima di quelli di oggi, l’abbiamo mandato domenica scorsa».

«Grazie. Adesso possiamo scendere» dice il Professore.

«Prima le sorcette, in fila e tenetevi al corrimano» si raccomanda Frederico.

La discesa è meno faticosa della salita, ma anche meno allegra. Triste.

Sul sagrato c’è ancora gente che si scambia le ultime chiacchiere prima di sedere a pranzo.

Teresotta e Fringuella salutano Aladina e corrono verso casa.

Rimasti soli, il Professore chiede alla ragazzina: «Hai sentito cos’ha detto Frederico?». Aladina annuisce. «Sei ancora sicura dei rintocchi di ieri sera?»

Nuovo assenso vigoroso e stizzito: «Sono sicura, sicurissima! Perché i grandi non mi credono?».

«È accaduto anche a tua madre, a Gialdiffa. Io ti credo. Lo faranno anche gli altri, vedrai» e l’assicurazione tranquillizza Aladina.

Il dottor Astorre li ha scorti, si alza dal muretto e va loro incontro.

«Ci siamo divertiti, vero Aladina?» dice subito il Professore.

«Sì, e ho visto pure la chiesa sotto l’acqua.»

Astorre guarda il Professore. Che dice: «È stata una giornata importante, dottore».

Il dottore indica la cima del campanile: «Ma come? Di lassù hai visto la chiesa annegata?».

«Sì, bellissima.»

«A volte capita» interviene il Professore. «Cielo terso, niente umidità e vento, acque chete… Insomma, le migliori condizioni possibili per una visione perfetta. A proposito: non avete nulla di cui preoccuparvi. Anzi, uno dei prossimi giorni io e Aladina faremo una passeggiata sulle rive del lago.»

«Davvero?» grida felice la bambina.

Il Professore solleva le mani, mette i due indici uno sull’altro a formare una croce e li tiene a mezz’aria mentre pronuncia: «Gâta gaténa, a prumet stamaténa…».

Anche Aladina sistema gli indici in croce, li solleva e i due recitano assieme: «… gâta gatóna, la prummésa l’è bóna».

I due portano la croce simbolica alle labbra per un veloce bacio a suggello solenne della promessa.

Ride felice, Aladina: quante volte ha ripetuto il rito assieme a Gialdiffa.