Capitolo ventiduesimo
Aladina sente le campane, quindi l’autorità deve intervenire. Due personaggi della storia si incontrano ed espongono diverse teorie sulla fantasia e sulla realtà che lasciano le cose come sono: irrisolte. Ma il podestà ha un piano segreto per risolvere il dilemma e il Professore alcune abitudini da rispettare.
I comportamenti dei paesani verso Aladina sono arrivati, chissà come, anche alle orecchie del podestà e lo hanno preoccupato. È ufficiale: Aladina sente le campane e dunque la cosa si fa seria.
Il Professore si interessa a lei e dunque la cosa si fa grave.
La gente dell’intero territorio comunale non fa che parlarne e dunque, ancora, la cosa, da grave, sta diventando pericolosa.
«… soprattutto per la povera bambina» conclude il podestà, dopo aver esposto le sue inquietudini al Professore.
I due sono seduti al tavolo più lontano dall’ingresso, nell’osteria della Tina, e discutono sottovoce, anche se attorno non c’è ombra di clienti. Neppure l’ostessa c’è. Ha servito il mezzo ordinato ed è scesa in cantina a sistemare una partita di salami appena arrivati dalla Toscana sul carretto tirato da Morella e condotto da Milcare del Podetto. Scaricata la merce, Morella ha cominciato a scalpitare e a nitrire.
«Cos’ha la tua bestia, oggi?» ha chiesto Tina.
«Non è una bestia, tanto per cominciare. Poi ha tutto il diritto di voler tornare a casa: siamo in giro da stamattina alle quattro.» Ha rinunciato al bicchiere promesso, è montato a cassetta, ha allentato le briglie con un prolungato «Oh» e Morella ha smesso di scalpitare per prendere la strada di casa.
Così i due, podestà e Professore, hanno ripreso il dialogo da cospiratori.
«Le chiacchiere si diffondono e non fanno che alimentare superstizioni e miti del Medioevo, roba che di questi tempi dovrebbe essere morta e sepolta.»
«Di questi tempi!» esclama il Professore. «Mi meraviglio molto, caro Libertario: anche voi allineato con la presunta modernità del presunto pensiero fascista.»
«Cosa vi viene in mente adesso?» e il podestà si prende il tempo per riempire i due bicchieri che, intanto, si erano vuotati. «Sono preoccupato proprio perché queste stupidaggini vengono utilizzate da certi fascisti e, primo fra gli altri, il capo nucleo del Partito Panzagrassa Florindo» e giù un sorso. «Sapete come costui abbia mosso domineddio per cambiare nome e adesso sia registrato all’anagrafe come Panzacchi Ardito. Ardito, figuriamoci. No, per me era e resterà Panzagrassa Florindo, come suo nonno buonanima.» Prende fiato. «Il Panza, come lo chiamavano fino a qualche anno fa, il Panza» e fa una pausa prima di “grassa”.
«Panzagrassa va in giro raccontando dell’arrivo in paese di sovversivi plutomassonici al soldo di potenze clerico-giudaiche che diffondono il seme della disobbedienza al credo fascista. Insomma, è mio dovere intervenire, caro Professore, prima che dalle chiacchiere si passi ai fatti. Voi lo sapete come fan presto a uscir fuori una bottiglia di olio di ricino e un manganello.»
«Lo so, lo so, nel ’21…» e il Professore fa una smorfia al ricordo del sapore schifoso dell’olio di ricino che un losco individuo in camicianera gli versava in bocca mentre altri tre, ugualmente in camicianera, lo tenevano fermo. «Lo so, ma credo che ve la prendiate troppo per un fatto di poco conto. Si tratta di una bambina.»
«Proprio perché si tratta di una bambina ho il dovere di proteggerla.»
«Non ne ha bisogno. Basterebbe lasciare libera la sua fantasia di costruire il proprio mondo» e il Professore toglie la pipa dalla custodia di pelle, il porta-tabacco, pure di pelle, il curapipe e si accinge alla delicata operazione della carica. «Vi spiego» dice.
Finisce l’operazione ma non accende. Tiene la pipa nella destra e comincia: «Voi socialisti contate troppo sulla ragione che però, la conoscenza umana essendo limitata, non può spiegare ogni cosa. Quindi non siete in grado di immaginare una vita dove esistano fenomeni inspiegabili. Volete delle scimmiette ammaestrate con la cultura del passato. La libertà viene dal pensiero nuovo e un pensiero nuovo non potrà esserci se le radici della nostra cultura restano nel passato. Siamo chiusi in una prigione dalla quale non usciremo fino a quando le sbarre saranno i concetti che ci vengono imposti dalla nascita». Si sistema meglio sulla sedia e si china verso il podestà, come per confidargli un segreto: «Per quale motivo vietiamo ad Aladina di vivere nel suo mondo? Siamo così sicuri che il nostro sia quello giusto e il suo quello sbagliato? La verità è la nostra o la sua?». Si riappoggia allo schienale: «Aladina sente le campane e Gufo ci vede al buio. È normale? No, ma lei sente e lui ci vede e noi, con la nostra razionalità, non possiamo permetterglielo. La realtà la definiscono i grandi e in questa realtà le doti di Aladina e di Gufo non hanno posto». Si bagna le labbra con un sorso di vino e conclude: «Caro Libertario, la verità è in continuo movimento e ogni epoca ha la sua».
Preme delicatamente il tabacco nel fornello, ripone la pipa nel portapipe e mette tutto nelle capienti tasche della giaccona estiva. «È pronta per il dopo pranzo» dice a se stesso.
Nell’osteria resta a lungo il silenzio. I ragionamenti del Professore non sono lontani dalle convinzioni dell’ex anarchico. Ora socialista. E lo dice:
«Posso darvi ragione, almeno in parte, Professore, ma chiarisco alcune cose. Noi socialisti vogliamo il bene di una società che riteniamo ingiusta, ci guardiamo attorno e vediamo che molta, troppa gente soffre e cerchiamo di fare il possibile perché le cose cambino. Voi siete dei sognatori, vi illudete che la fantasia possa aiutare a star meglio. Avrete anche ragione, ma se noi addestriamo delle scimmiette, voi fabbricate dei disadattati…»
«Voi chiamate disadattati» lo interrompe il Professore «quelli che desiderano essere liberi di sognare, ma è la società che non si adatta alle loro esigenze o aspirazioni. Soprattutto a quelle dei bambini.»
«Per questo vi chiedo di darmi una mano, Professore. Siete amico del dottor Astorre e la piccola si fida di voi. Adesso vi spiego cos’intendo fare.»
Al termine dell’esposizione il podestà legge sul viso del Professore la perplessità. Chiede, e il tono è preoccupato: «Cosa ne dite? Mi aiuterete?».
«Ripeto: una bambina che sente le campane…»
«Che sostiene di sentire le campane» precisa il podestà. «Oppure siete anche voi fra coloro che le credono?»
Il Professore non risponde. Vuota l’ultimo sorso di vino e si alza. «È ora di pranzo» e fa per prendere di tasca il catuino per pagare la sua parte di bevuta.
«Lasciate stare, Professore, la bevuta l’offro io» e mette sul tavolo le monete che sa di dovere alla Tina. «Ma non mi avete risposto.»
Prima di uscire Libertario si affaccia alla scala di cantina e grida: «Tina, oh Tina, i soldi sono sul tavolo».
«Va bene, Libero, va bene» emerge cupa la voce dell’ostessa dal buio del sotterraneo.
Il podestà accompagna il Professore per un tratto di strada e quando deve prendere a sinistra, si ferma e aspetta la risposta. Sa che il suo compagno non è tipo da lasciare discorsi in sospeso.
«Grazie per la bevuta, Libertario» e fa una pausa. «Se credo che Aladina senta le campane? È un discorso lungo, caro podestà. Ve lo riassumo così: molte ragazze del tempo andato affermavano di sentire le campane; Gialdiffa sosteneva di sentirle; la sua bambina dice di sentirle. Chi sono io per credere che queste brave figliole abbiano mentito in passato e mentano oggi? Poi, a che scopo lo farebbero?»
«Pensate allora che non dovrei fare l’esperimento?»
«Penso che non servirà. Resterà il dubbio: è possibile che alcune ragazze sentano le campane della chiesa annegata?»
«Dite bene voi, Professore, ma ho dei doveri verso i miei compaesani e ancor più verso Aladina.»
«Doveri» mormora il Professore, «doveri: quante ingiustizie nel vostro nome.» E ognuno per la propria strada.
Il Professore ha alcune abitudini delle quali fa a meno solo se costretto. Da anni, da quando è “passato a miglior vita”, come sostiene lui. Nel senso che, lasciato l’insegnamento universitario scarso di soddisfazioni, non per demerito suo ma per disinteresse degli allievi alle sue teorie, il pensionamento e il ritiro in montagna lo hanno riconciliato con la vita in virtù soprattutto di tali abitudini. La prima: dopo pranzo, un riposo di mezz’ora in poltrona. A seguire, la lettura per un paio d’ore. I libri non gli mancano.
Un’altra attività occupa il suo tempo: la scrittura. È meno assidua della lettura e si limita alla stesura di appunti che mai riprenderà per ampliarli e dar loro la forma di un romanzo o saggio. Lo sa, eppure non riesce a fare a meno di trasformare in scrittura pensieri, ipotesi, sogni, fantasie e in genere tutto ciò che nasce, si sviluppa, e spesso muore, nella sua mente.
Si alza dalla poltrona, prepara sul tavolino la bottiglietta del liquore di rugiada dell’Alfonsina buonanima, va allo scaffale e prende un libro. Per la scelta, lo hanno sollecitato i discorsi passati fra lui e il podestà. Il grosso volume gli è particolarmente caro e di tanto in tanto lo sfoglia per le belle illustrazioni e rilegge alcuni passi che apprezza. Come questo:
«Signore, che il diavolo si porti o uomo o gigante cavaliere di quelli che dice vostra signoria, se se ne vede uno solo in giro. Io, per lo meno, non li vedo: chissà che non sia tutto un incantesimo come i fantasmi di stanotte.»
«Come puoi dir ciò?» rispose don Chisciotte. «Non lo senti il nitrito dei cavalli, il suono delle trombe, il rullo dei tamburi?»
«Io non sento altro» disse Sancio «che belati di pecore e montoni.»
«È la paura, Sancio» disse don Chisciotte, «che non ti fa né udire né veder bene; perché uno degli effetti del timore è proprio quello di turbare i sensi e di far che le cose non paiano quel che sono; ma se temi tanto, tirati da parte e lasciami solo, che io da solo basto…»
«E lo chiamano pazzo» commenta sospendendo la lettura per un sorso di liquore. «È saggezza, libertà, invenzione, fantasia. Altro che follia» mormora. «È chi lo dice pazzo a non vedere la realtà della propria vita e degli avvenimenti. Non sono forse formati di pecore gli eserciti che si scontrano e si scannano da quando l’uomo ha messo piede sulla terra?» Sconfortato dalla considerazione, chiude il volume, si alza e va a riporlo nello scaffale.
«Meglio andar per passeggiate.»
Attorno alle cinque, con sole, pioggia, vento o neve, la passeggiata. Ogni volta percorsi diversi. Non gli piace la monotonia del paesaggio.
Quella di oggi lo porterà alla Casona: ha da raccontare ad Astorre il progetto di Libertario. Ne sarà coinvolta Aladina e il dottore, come padre, non solo deve esserne messo al corrente, ma dovrà anche dare il proprio assenso.