Capitolo trentesimo

Dove Gufo mostra la sua abilità di scultore del legno e Aladina la sua di apprendista fattucchiera. Ma gli incantesimi sono difficili di questi tempi.

In luglio, già un’ora dopo il tramonto del sole a Paese Nuovo l’aria si è rinfrescata. Dopo due comincia a essere scuro, l’atmosfera si fa fredda e Aladina, seduta fuori dalla porta, sul gradino d’ingresso, ha qualche brivido, ma non si alza per andare a prendere uno scialle. È incantata dalla danza delle lucciole. Non le vede, le immagina dal lampeggiare del loro volo. Con lo sguardo ne sceglie una e cerca di precederla nel prossimo punto dello spazio, quando riaccenderà il lampioncino che tiene appeso alla coda. Ammesso che le lucciole abbiano la coda.

Dalla cucina le arriva il borbottio di Astorre, Cleo e Gildone. Discutono della prossima aratura e di cosa seminare nei vari appezzamenti del podere per quella che hanno chiamato rotazione delle colture. Per un po’, dopo cena, è rimasta ad ascoltare che un anno si semina grano, il secondo legumi e il terzo a maggese, cioè a riposo in modo che il terreno riprenda la perduta fertilità.

«Anche la terra ha bisogno di riposare?» ha chiesto.

Ha intravisto il lampeggiare di una lucciola attraversare lo spazio della porta spalancata sull’aia e non ha aspettato la risposta.

Uno scialle le cade sulle spalle mentre Cleo si raccomanda: «Copriti che è fresco e c’è umidità».

Aladina la guarda e si chiude lo scialle attorno al collo.

«Devo sempre pensarci io? Sei grande ormai» e aggiunge, tornando in cucina: «Dieci minuti e poi a letto».

«Se sono grande decido io quando andare a letto.»

«Nossignore. Decido io ancora per qualche annetto.»

Forse non passano dieci minuti. In cucina si è fatto silenzio, Astorre è tornato a preparare l’ambulatorio per domattina e Guidone le è passato accanto e si è dissolto nel buio, verso la stalla, per dare la buonanotte alle sue mucche.

«Saluta la Bianchina!» gli grida dietro.

Un attimo e poi una debole luce esce dalla porta della stalla: Guidone ha acceso la lumiera e per Aladina…

«È ora di andare a cuccia» annuncia Cleo.

Entrano nella stanza e la luce della lumiera portata a mano da Cleo muove le ombre sulle pareti. Si fissano appena la posa sul comò per andare a chiudere gli scuri.

«Lasciali aperti, per favore, Cleo.»

«Cos’è? Aspetti il tuo amore, stanotte?»

«Aspetto Codanera che viene a salutarmi ogni sera.»

«Ah sì? Un’altra delle tue invenzioni, benedetta figliola. Be’, salutalo anche da parte mia» e, lasciati gli scuri spalancati, riprende la lumiera e si avvia per andarsene.

«Senti» mormora la bambina.

«Dimmi.»

Aladina le fa segno di avvicinarsi al letto. «Cleo, tu hai avuto il fuso del comando?»

«Magari. Chissà dove sarei a ’stora

«Dove saresti?»

Cleo ci pensa e decide: «Forse qui, da te, come adesso».

«Qualcuno ha avuto un fuso del comando?»

«Ne ho sentite tante quand’ero bambina. Di un tale che lo avrebbe avuto, ma che è finito male, si diceva impiccato, perché se si usa male il comando, il fuso si rivolta contro chi ce l’ha. Adesso però dormi che ne parliamo domattina» e se ne va lasciando la camera al buio.

Per poco, che, appena gli occhi si adattano alla nuova situazione, il riflesso di una luna nel suo massimo splendore la avvolge.

Non dorme, Aladina. Cleo le ha detto del potere del fuso di ribellarsi a chi lo usa male. Quando e come lo si usa male? Se lo decide il fuso, lei comincia a dubitare che possederlo sia una cosa bella.

Chiude gli occhi decisa a non pensarci più.

Domattina chiederà altre informazioni a Cleo.

Arriva alle sue orecchie il soffio del vento che mormora il suo nome: «Aladina».

Non è il vento. È Gufo appoggiato al davanzale.

Aladina salta dal letto e corre da lui.

«Gufo, sei tu?»

«Sono io. Mi devi aiutare. Tu sai come si costruisce il fuso del comando.»

«Non lo so costruire. So cosa si fa quando ce l’hai.»

Gufo fruga in tasca e le mostra un coltello a serramanico. «Lo costruisco io e tu lo fai diventare magico.» Aladina, indecisa, non si muove. Gufo mette via il coltello. «C’è luna piena. Chissà quando ce ne sarà un’altra.»

«Aspetta» e Aladina si ritira per prendere la solita sedia, appoggiarla al muro, sotto la finestra, e salirci. A cavalcioni sul davanzale, le gambe nel vuoto, posa i piedi sullo stesso ramo sul quale li posa Gufo. Ormai è diventata esperta.

Lei davanti e lui dietro con le mani sulle sue spalle come per tranquillizzarla, rifanno il percorso sui rami per scendere a terra.

Gufo si appende al ramo più basso, dondola nel vuoto e si lascia andare. Guarda in su Aladina e con un cenno la invita a imitarlo. Sa che lo farà, ha imparato ma, in caso di bisogno, l’aspetta con i piedi ben piantati a terra.

Non serve: Aladina è una bambina sveglia e non ha le paure delle altre. Per questo gli piace.

Le tende la mano, come fa ogni notte che vanno in giro per avventure.

«Non serve, ci vedo benissimo» lo rassicura.

Infatti non c’è bisogno di vederci al buio per andar sicuri. La luna, lampada enorme accesa in cielo, illumina il sentiero e vi stampa sopra le loro ombre che le asperità del terreno deformano a ogni passo.

Sfrecciano emozionati nella libertà e nel silenzio della loro notte.

Ansimanti, arrivano sul greto del lago e si lasciano cadere sull’erba morbida bagnata di rugiada sotto l’albero del fuso, diventato caro alla bambina. Come lo era per Gialdiffa, Aladina ne è certa.

Riprendono fiato. Attorno, solo il delicato sciacquio di onde lievi che vengono a morire sull’arrotondata ghiaietta della sponda.

«Adesso?» chiede Gufo. Ha fretta di cominciare l’incantesimo.

«Adesso serve il fuso» risponde lei.

Gufo si alza e fa vedere il coltello. «So come farlo. Basta prendere un ramo dell’eno… dell’enovi…»

«Evonimo» lo aiuta lei.

«Sì, è questo. Prendo un ramo qualsiasi?»

Aladina ricorda bene la tiritera di Cleo e la recita a memoria: «Si ottiene da un ramo, da una brocca, come la chiamiamo qui».

Sempre più impaziente Gufo sta per tagliare una brocca

«Aspetta» lo ferma Aladina. «Devi fare come ha detto Cleo. Mentre la tagli devi guardare…» e riprende a recitare: «il Santuario di san Cigolino, ma deve essere una notte di luna piena.»

«C’è, la luna piena c’è» la rassicura Gufo. «E il Santuario…»

Entrambi guardano verso il roccione che sovrasta il lago.

Il Santuario di san Cigolino risplende illuminato dall’enorme lampada accesa dalla natura per il loro rito.

«Aspetta» lo ferma ancora lei. «Non avere fretta. Cleo ha detto anche: “Dunque, si taglia e prima che dal ramo esca la magia lo si lavora velocemente per farlo fuso, lo si immerge nell’acqua del lago e si dice con voce alta e chiara posso, comando e voglio”. Adesso puoi tagliare la brocca

Più calmo, Gufo saggia alcuni rami, ne trova uno più malleabile degli altri e, con uno sguardo, chiede consiglio alla bambina. Lo saggia anche lei e annuisce. Entrambi alzano lo sguardo al Santuario e con alcuni colpi di coltello la brocca si stacca dal fusto ed è pronta per essere trasformata in fuso.

Velocemente, come prescrive la narrazione di Cleonice, Gufo comincia a intagliare e dimostra una buona predisposizione a lavorare il legno.

«Che bravo» dice Aladina. «Hai già fatto dei fusi?»

Senza smettere il lavoro per non rischiare che la magia esca dal ramo, Gufo nega con il capo. Dice: «Faccio degli gnomi. Ho fatto anche una Borda».

«Chi è la Borda?»

«Un’altra volta. Adesso devo far presto.»

La bambina non lo disturba più e guarda il ramo prendere velocemente la forma del fuso.

«Ecco» dice Gufo sollevandolo e puntandolo verso la luna piena. «Va bene così?»

«Quello di Cleo è lucido e liscio.»

«Non si può rifinire il fuso qui, senza il tornio e la carta vetrata. Anche gli altri lo finiscono dopo, a casa» e prima che la bambina gli dia il benestare corre sul bordo del lago. Tenendo il fuso fra l’indice e il pollice della destra aspetta che Aladina si chini accanto a lui e immerge completamente il fuso nell’acqua. Chiede: «Adesso?».

«Sì. Assieme: uno, due, tre» e la formula per l’incantesimo, recitata a due voci, corre sulla superficie del lago e forse arriverà fino al Santuario di san Cigolino. «Posso, comando e voglio!»

Rimbalzato contro chissà quale roccia, torna a loro un sussurrato “Posso, comando e voglio”.

Si guardano e sorridono, i due bambini.

«Devi lasciarlo assorbire bene» si raccomanda lei.

In silenzio i due aspettano che una parte del rito si compia. Guardano la superficie del lago che, lenta, accarezza la riva e la mano di Gufo. Alzano gli occhi anche agli altri due elementi indispensabili al compimento dell’incantesimo: il Santuario e la luna piena.