Capitolo nono
Dove Codanera e lo strano animale che gli fa compagnia sulla Grandequercia offrono una noce ad Aladina, e Aladina scopre che nascosti nel cavo di un antico castagno ci si sente più sicuri che nel Palazzaccio, protetto da un gigante cattivo e tutto nero.
Il sole tramonta alle otto e quarantanove. Il 21 giugno.
È tramontato da mezz’ora quando Cleonice rimbocca le coperte ad Aladina, ancora pallida per la brutta avventura al Palazzaccio. Prima di salire in camera le ha dato una tazza di brodo caldo «che ti farà solo bene e ti aiuterà a riposare».
Alla Casona l’avevano aspettata fino alle sette e poi il dottor Astorre aveva mandato Cleonice a prenderla dal Professore. Sarebbe andato lui se non avesse avuto ancora qualche paziente da visitare.
Cleonice era tornata senza la ragazzina e molto preoccupata: da tempo, il Professore non sapeva quanto, Aladina se n’era andata.
Mobilitazione generale in paese: Guidone, marito di Cleonice, e Milcare del Podetto, sul calesse tirato da Morella, puledra sempre in movimento, erano andati verso il lago; Gilberto detto Sicuro, il meccanico, aveva messo in moto la sua Guzzi GT 500 Norge ed era partito verso valle, nel caso in cui la ragazzina avesse sbagliato strada nel ritorno a casa; Cleonice, Teresotta e Fringuella avevano il compito di cercare nei viottoli del paese; il dottor Astorre era andato dal Professore per saperne di più su quando, come e perché Aladina avesse preso la strada di casa senza aspettarlo, come d’accordo.
Le donne, Cleonice e le due bambine, avevano avuto l’idea di passare dalla Tina e l’avevano trovata appoggiata allo stipite dell’osteria in attesa dei clienti per la solita partita a carte e un bicchiere di vino prima di andare a dormire.
Le avevano chiesto di Aladina.
«Certo che l’ho vista. Ha preso la strà nóva per il Palazzaccio che saranno state le sei e qualcosa. Il sole era ancora sopra la cima della Donnamorta, ma cominciava a rinfrescare.» E tutte e quattro via di corsa verso il Palazzaccio.
L’avevano trovata solo perché Teresotta, che ha l’orecchio più fino, aveva sentito un sospiro che diceva: «Cleo, sono qui».
Veniva dal cavo di un antico castagno sul bordo della strada. Aladina, impaurita, pallida, tremante per il freddo, c’era rannicchiata dentro.
In paese mobilitazione cessata e tutti a casa felici, contenti e per la cena. Una cena ritardata, che da queste parti ci si siede a tavola un’ora prima delle campane dell’Avemaria.
Cleonice si avvia a lasciare la stanza: Aladina dà un’occhiata alle due compagne, Teresotta e Fringuella, anch’esse sotto le coperte e forse già nel mondo dei sogni.
«Cleo» sussurra. La donna torna al letto. «Il Professore mi ha detto che nessuno abita al Palazzaccio, ma io ho visto un gigante tutto nero…»
«Si chiama Barbaza e chi ne sa più di me sostiene che è l’ultimo gigante della montagna. Al tempo dei tempi, la montagna era popolata da giganti… Un giorno te ne parlerò. Quello che tu hai incontrato ha barba e capelli fino alla cintura, scuri come la notte senza luna e senza stelle. Vive nella boscaglia attorno al Palazzaccio e, come un cane da guardia, lo protegge dagli estranei.»
«Perché lo protegge?»
«Nessuno lo sa: il compito glielo ha affidato l’ultimo padrone del Palazzaccio prima di morire.»
«È lui che apre ogni giorno una finestra tranne il 29 febbraio?»
«Non tornare mai più al Palazzaccio da sola, mi raccomando» e, prima di andare, la donna si china sulla ragazza. «Adesso dormi e fa’ un bel sogno.»
Chissà se farà un bel sogno?
Non riesce a dormire. Risente le parole del Professore: “Dicono anche che le porte si aprono a una cert’ora della notte, ma attenzione! Se non sei una persona dal puro cuore, non entrare”.
Avrebbe voluto fargli una domanda, ma il grido improvviso dell’uomo, “Non ne usciresti più!”, gliel’aveva impedito.
La fa a se stessa, ora in piena notte: «Sono una persona dal puro cuore?».
«Potrai saperlo solo mettendoti alla prova» e la risposta che arriva con la voce del Professore la sorprende, seduta sul letto, occhi spalancati.
Dalle persiane socchiuse entrano il riverbero della luna e il fruscio della vita notturna sulla Grandequercia. Aladina ascolta e piano piano si calma.
“Il mondo non si ferma mai” pensa.
Le due amiche dormono tranquille.
Com’era successo la mattina prima, Aladina si sveglia che fuori è ancora scuro e le due compagne sono profondamente addormentate accanto a lei. Con precauzione scende dal letto. Con precauzione socchiude le imposte e guarda, attraverso la fessura, la Grandequercia e i suoi abitanti che si danno da fare in attesa del primo tiepido sole che filtrerà fra le foglie.
Il ghiro Codanera, seduto su un ramo, guarda con il distacco e la superiorità del padrone di casa gli altri esseri che si agitano attorno a lui. Tiene fra le zampe una grossa noce.
Dove abbia trovato una grossa noce in giugno, lo sa solo lui. Forse fa ancora parte della scorta alimentare accatastata nella tana durante l’autunno precedente. Comunque, tiene fra le zampe una grossa noce e con i denti aguzzi sta praticando un forellino nel guscio legnoso. Dal forellino estrarrà pezzetti del gustoso seme, ideale per darsi la carica in una splendida mattina di inizio estate.
Il nostro ghiro lo sa bene: il seme della noce è consigliato dalla medicina per chi svolge un’intensa attività intellettuale come studenti, insegnanti, ragazzini in crescita e, naturalmente, ghiri che, quanto ad attività intellettuale, non hanno rivali.
Codanera si accorge degli occhietti che lo spiano dalla fessura fra gli scuri, sospende il lavorio di denti, spicca un salto dal suo ramo al davanzale, vi deposita la noce, sorride ad Aladina (o così immagina lei) come a dirle: “Tu hai più bisogno della noce di me” e torna sulla Grandequercia.
Poi aspetta che Aladina infili la mano nella fessura e ritiri la noce, torna sul suo ramo, dà un’altra occhiata alla ragazza, come per rassicurarla, e sparisce fra il fogliame.
Riappare poco dopo con un’altra noce fra le zampe anteriori e riprende a rosicchiare.
Assieme al ghiro c’è un altro strano essere. Da quel poco che Aladina riesce a vedere di lui, è molto più grande e grosso di Codanera e se ne sta nascosto dal fogliame. Si vedono bene gli occhi, luminosi come quelli di un gatto. Brillano nella luce tenue della notte che ancora non è giorno. La bimba apre gli scuri.
Gli occhi, curiosi, si spostano da lei a Codanera, come se fra i due sulla Grandequercia ci fosse un’intesa nel prendersi gioco della bambina, immobile nel vano della finestra e con in mano la noce.
Lentamente l’essere sconosciuto si ritira, continuando a guardare Aladina. Gli occhi brillanti spariscono dietro le fronde della Grandequercia.
Codanera finisce tranquillo di masticare il frutto, si gira mostrando il culetto, agita la coda come per un saluto e segue il compagno più grande e grosso.
Anche la ragazza si ritira. In punta di piedi per non svegliare Teresotta e Fringuella. Posa la noce sul comodino e s’infila sotto le coperte ancora calde del suo corpo.
Se fosse rimasta qualche minuto in più alla finestra avrebbe visto il primo raggio di sole frugare tra i rami della Grandequercia per arrivare poi alla finestra della camera.
Avrebbe visto lo strano essere scendere dall’albero, agile come un gatto, guardarsi attorno e correre via, veloce, ancora coperto dalle foglie che lo mimetizzavano.