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Vengeance (The Pact)74

 

Il club era pieno di gente. Era stato costruito dentro due arcate della ferrovia, come quelle davanti al suo appartamento, e l’interno aveva l’aria di un sotterraneo, accentuata dal soffitto curvo di lamiera ondulata. Un riflettore proiettava luci psichedeliche sulle increspature metalliche. La musica era assordante.

Non erano stati proprio entusiasti di lasciarlo entrare. Aveva dovuto sorbirsi la strafottenza dei buttafuori: per un attimo aveva temuto che lo perquisissero, perché aveva i coltelli nascosti nel giubbotto.

Sembrava il più vecchio di tutti quelli che vedeva e la cosa lo infastidiva. Ecco cos’aveva fatto su di lui l’artrite psoriasica: l’aveva lasciato butterato e gonfio di steroidi. Il suo corpo muscoloso tendeva a ingrassare già quando faceva pugilato, ai tempi di Cipro era tornato facilmente in forma, ma ora non più. Sapeva di non avere alcuna possibilità con nessuna di quelle centinaia di puttanelle sciamannate accalcate sotto la palla stroboscopica. Quasi nessuna di loro era vestita come si sarebbe aspettato di vedere in un club. Molte erano in jeans e T-shirt, come un branco di lesbiche.

Dov’era la segretaria di Strike, col suo splendido culo e la sua deliziosa svagatezza? Non erano molte le nere alte; avrebbe dovuto essere facile individuarla, eppure aveva passato al setaccio bar e pista da ballo senza vederne l’ombra. Era sembrato provvidenziale che lei avesse fatto il nome di quel club così vicino al suo appartamento; lui aveva pensato che fosse un segno del ritorno allo stato divino, dell’universo che ancora una volta si ricomponeva a suo vantaggio. Ma quella sensazione di onnipotenza era stata effimera ed era quasi completamente svanita dopo il litigio con Cosa.

La musica gli rimbombava in testa. Avrebbe preferito essere a casa, ad ascoltare i Blue Öyster Cult, a masturbarsi sulle sue reliquie, ma aveva sentito quella ragazza dire che sarebbe andata lì... Cazzo, c’era tanta di quella gente che avrebbe potuto semplicemente appoggiarsi contro di lei e pugnalarla, senza che nessuno lo notasse o sentisse le urla... Dov’era la troia?

Lo stronzo con la T-shirt delle Wild Flag lo aveva spinto così tante volte che gli era venuta la voglia di prenderlo a calci in bocca. Invece, sgomitò per allontanarsi dal bar e tornare a osservare la pista da ballo. Le luci semoventi sorvolavano un mare ondeggiante di braccia e di facce sudate. Uno scintillio d’oro... una bocca sfregiata e ghignante...

Si aprì la strada tra la gente, senza badare a quante puttanelle spintonava.

Il tipo con la cicatrice era in metropolitana. Lui si voltò indietro. Lo sfregiato sembrava aver perso di vista qualcuno: si era alzato sulle punte dei piedi e si guardava attorno.

C’era qualcosa che non andava. Se lo sentiva. Qualcosa di poco chiaro. Piegando leggermente le ginocchia, il modo migliore per confondersi nella folla, si aprì un varco verso un’uscita di sicurezza.

«Scusa, capo, devi uscire da...»

«Vaffanculo».

Era fuori di lì prima che chiunque potesse fermarlo, aveva forzato il maniglione antipanico e si era tuffato nel buio. Camminò lungo il muro esterno e girò in un angolo dove, finalmente solo, respirò profondamente, valutando il da farsi.

Tranquillo, disse a se stesso. Tranquillo. Nessuno ha niente contro di te.

Ma era vero?

Di tutti i club che avrebbe potuto nominare, la troia aveva scelto quello a due minuti da casa sua. E se non fosse stato un dono della provvidenza, ma qualcosa di completamente diverso? E se qualcuno stava cercando di incastrarlo?

No, non era possibile. Strike gli aveva mandato gli sbirri in casa e non avevano trovato niente. Poteva stare tranquillo. Non c’era niente che lo collegasse a una di loro...

Solo che quel tipo dalla faccia sfregiata era sulla metropolitana fin da Finchley. Le implicazioni che ne discendevano intralciarono per un attimo il corso dei suoi pensieri. Se qualcuno non stava seguendo Donald Laing ma un uomo del tutto diverso, lui era assolutamente fottuto...

Riprese a camminare, mettendosi perfino a correre per brevi tratti. Le stampelle, utili come costume di scena, gli servivano solo a guadagnarsi la compassione di qualche credulona, per ingannare i servizi sociali e, naturalmente, per farlo sembrare un uomo troppo malconcio per andare a caccia di piccole Kelsey Platt. L’artrite se n’era andata da sola anni prima, ma si era rivelata un’eccellente fonte di reddito e gli teneva basso l’affitto dell’appartamento di Wollaston Close...

Attraversando svelto il parcheggio, alzò gli occhi al suo appartamento. Le tende erano chiuse. Strano, avrebbe giurato di averle lasciate aperte.