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I’ve been stripped, the insulation’s gone.

Blue Öyster Cult, Lips in the Hills28

La prima volta che Robin era entrata nell’ufficio di Strike, era stato nel suo primo giorno da fidanzata. Aprendo oggi la porta a vetri, rammentò che allora aveva guardato il nuovo zaffiro al dito scurirsi, un attimo prima che Strike uscisse a precipizio dall’ufficio e per poco non la scaraventasse giù dalle scale.

L’anello al dito non c’era più. Il punto in cui era stato in tutti quei mesi sembrava ipersensibile, come se l’anello l’avesse marchiato. Robin aveva con sé una piccola sacca che conteneva un cambio di biancheria e pochi articoli da toilette.

Non puoi piangere qui. Non devi piangere qui.

In modo meccanico, ripeté le operazioni di routine che avviavano la giornata di lavoro: si tolse il soprabito, lo appese assieme alla borsa all’attaccapanni accanto alla porta, riempì e accese il bollitore, poi infilò la sacca sotto la scrivania, dove Strike non potesse vederla. Continuava a controllare di aver fatto quello che aveva in mente di fare, sentendosi disincarnata, come uno spettro le cui dita diacce possono passare attraverso i manici delle borse e i bollitori.

Erano bastati quattro giorni per distruggere un rapporto che durava da nove anni. Quattro giorni di risentimento crescente, di rancori palesati e di accuse vomitate. Alcune di queste apparivano così banali, col senno di poi. La Land Rover, il Grand National, la decisione di portarsi dietro il portatile. La domenica, c’era stato un futile litigio su chi dovesse pagare le auto per il matrimonio, se i genitori di lei o di lui, cosa che aveva portato ancora una volta a discutere del misero salario di Robin. Quando il lunedì mattina erano saliti sulla Land Rover per tornare a casa, non si erano quasi più parlati.

Poi, l’ultima notte, a casa in West Ealing, era arrivata la lite esplosiva che aveva reso tutte le baruffe precedenti insignificanti, semplici scosse d’avvertimento di un evento sismico che avrebbe distrutto ogni cosa.

Strike sarebbe sceso di lì a poco. Robin lo sentiva camminare nell’appartamento al piano di sopra. Sapeva che non doveva mostrarsi debole o inadeguata. La sola cosa che aveva, adesso, era il lavoro. Doveva trovarsi una stanza in subaffitto nell’appartamento di qualcuno, la sola cosa che si sarebbe potuta permettere con il poco che le dava Strike. Cercò di immaginare i futuri coinquilini. Sarebbe stato come tornare alla casa dello studente.

Non pensarci, adesso.

Mentre preparava il tè, si rese conto d’aver dimenticato di portare la lattina di bustine di tè Bettys che aveva comprato dopo aver provato il suo abito da sposa per l’ultima volta. Questo pensiero quasi la sconvolse, ma con un energico sforzo di volontà soppresse la voglia di piangere e portò la tazza accanto al computer, pronta a vagliare le e-mail cui non aveva potuto rispondere durante la settimana di esilio dall’ufficio.

Strike, sapeva, era appena tornato dalla Scozia: aveva viaggiato col treno notturno. Gli avrebbe chiesto com’era andata non appena fosse comparso, in modo da distogliere la sua attenzione dai propri occhi gonfi e arrossati. Prima di lasciare l’appartamento, quella mattina, aveva cercato di migliorare il proprio aspetto con ghiaccio e acqua fredda, ma con scarsi risultati.

Matthew aveva cercato di bloccarle la strada quando lei stava per uscire. Anche lui aveva una faccia orrenda.

«Senti, dobbiamo parlare. Dobbiamo».

Non più, pensava Robin, le cui mani tremavano mentre si portava il tè caldo alle labbra. Non farò mai più niente che non abbia voglia di fare.

Il coraggioso pensiero era minato da una singola calda lacrima che le scorse senza preavviso sulla guancia. Inorridita, la spazzò via; non credeva che le fossero rimaste ancora delle lacrime da versare. Si voltò verso il monitor e cominciò a digitare una risposta a un cliente che chiedeva una fattura, senza sapere bene cosa stesse scrivendo.

Udì dei passi sferraglianti sulla scala esterna e si tenne pronta. La porta si aprì. Robin alzò gli occhi. L’uomo sulla soglia non era Strike.

Robin fu assalita da un’ancestrale, istintiva paura. Non c’era il tempo di analizzare perché l’estraneo le faceva un simile effetto: sapeva soltanto che era un tipo pericoloso. In un attimo aveva calcolato che non sarebbe stata in grado di raggiungere la porta in tempo, che il suo allarme antistupro si trovava nella tasca del soprabito e che la sua arma migliore era l’affilato tagliacarte posato a una decina di centimetri dalla sua mano sinistra.

L’uomo era magro e pallido, aveva la testa rasata, poche lentiggini intorno al naso e la bocca larga con labbra spesse. Tatuaggi gli coprivano i polsi, le nocche e il collo. Un dente d’oro luccicava su un lato del sorriso ghignante. Una profonda cicatrice correva dalla metà del labbro superiore verso lo zigomo e gli tirava la bocca verso l’alto in un’eterna smorfia stile Elvis. Indossava jeans larghi e la parte superiore di una tuta da ginnastica e puzzava di tabacco vecchio e di cannabis.

«Come butta?» disse. Facendo schioccare ripetutamente le dita di entrambe le mani penzoloni sui fianchi, entrò nella stanza. Click, click, click. «Tutta sola?»

«No» disse lei, con la salivazione azzerata. Voleva afferrare il tagliacarte prima che lui si avvicinasse. Click, click, click. «Il mio capo è...»

«Shanker» disse la voce di Strike dalla soglia dell’ufficio.

L’estraneo si voltò.

«Bunsen» disse, smettendo di schioccare le dita. Tese la mano e salutò Strike pugno contro pugno. «Cosa combini, fra’?»

Buon Dio, pensò Robin, rilassandosi. Perché Strike non le aveva detto che stava arrivando quell’uomo? Si girò, tornando alle e-mail in modo che Strike non potesse vederla in faccia. Mentre Strike portava Shanker nell’ufficio interno e chiudeva la porta, lei colse il nome ‘Whittaker’.

In condizioni normali, avrebbe voluto essere dentro con loro ad ascoltare. Finì con le e-mail e pensò di offrire ai due un caffè. Per prima cosa, andò a inumidirsi di nuovo la faccia con l’acqua fredda nel bagnetto del pianerottolo, dove ristagnava un forte tanfo di fogna nonostante tutto il deodorante per ambienti che lei comprava con i soldi della cassa.

Strike, nel frattempo, aveva colto di Robin quanto bastava per preoccuparsi del suo aspetto. Non l’aveva mai vista così pallida, o con gli occhi così gonfi e iniettati di sangue. Seduto alla scrivania, per quanto impaziente di sentire quali informazioni su Whittaker aveva raccolto Shanker, un pensiero gli attraversò la mente: Cosa le ha fatto quel bastardo? E, per una frazione di secondo, prima di concentrare l’attenzione su Shanker, Strike immaginò di prendere a pugni Matthew e di provarne piacere.

«Come mai quella brutta faccia, Bunsen?» domandò Shanker, stirandosi nella sedia di fronte alla sua e facendo schioccare le dita in modo frenetico. Aveva quel tic fin da quand’era bambino e Strike compativa la persona che avesse tentato di farlo smettere.

«Sono fuso» disse Strike. «Sono tornato dalla Scozia da un paio d’ore».

«Mai stato in Scozia» disse Shanker.

A Strike non risultava che Shanker si fosse mai mosso da Londra.

«Allora, cos’hai per me?»

«È ancora in giro» disse Shanker, smettendo di schioccare le dita per tirar fuori dalla tasca un pacchetto di Mayfair. Ne accese una con un accendino senza chiedere a Strike se poteva farlo. Con un’alzata di spalle mentale, Strike tirò fuori le sue Benson & Hedges e si fece passare l’accendino. «Ho visto il suo spacciatore. Dice che sta a Catford».

«Ha lasciato Hackney?»

«Se non si è lasciato dietro un clone, dev’essere così, Bunsen. Non ho controllato i cloni. Dammi un altro centone e vado a vedere».

Divertito, Strike fece una risatina nasale. La gente sottovalutava Shanker a proprio rischio e pericolo. Dal momento che dava l’impressione di uno che aveva fatto uso di tutte le sostanze illegali possibili e immaginabili, la sua agitazione veniva spesso attribuita dai suoi conoscenti a un qualche stupefacente. In verità, era più sveglio e più sobrio di molti uomini d’affari alla fine della loro giornata di lavoro, pur restando un criminale incallito.

«Hai un indirizzo?» domandò Strike, tirando un taccuino verso di sé.

«Non ancora» rispose Shanker.

«Lavora?»

«Dice a tutti che è il manager di un gruppo metal».

«Ma?»

«Fa il pappa» disse Shanker piattamente.

Bussarono alla porta.

«Qualcuno vuole del caffè?» domandò Robin. Strike si accorse che stava deliberatamente tenendo la faccia in penombra. I suoi occhi andarono alla mano sinistra della ragazza. L’anello di fidanzamento non c’era più.

«Grazie» disse Shanker. «Due zollette».

«Un tè sarebbe meraviglioso, grazie» disse Strike, guardandola uscire mentre lui prendeva dalla scrivania il vecchio posacenere di latta sgraffignato in un bar tedesco. Lo spinse verso Shanker prima che buttasse la cenere sul pavimento.

«Come sai che fa il pappa?»

«Conosco un altro tipo che l’ha incontrato con la brass» disse Shanker. Strike conosceva il cockney: brass nail stava per tail: sciacquetta, prostituta. «Dice che Whittaker vive con lei. Giovanissima. Appena maggiorenne».

«Bene» disse Strike.

Aveva avuto a che fare con la prostituzione nei suoi vari aspetti fin da quando era diventato investigatore, ma qui era diverso: qui si parlava del suo ex patrigno, un uomo che sua madre aveva amato e idealizzato, al quale aveva dato un figlio. Gli sembrò quasi di risentire l’odore di Whittaker nella stanza: i suoi vestiti lerci, il suo afrore animale.

«Catford» ripeté Strike.

«Sì. Continuo a cercare, se vuoi» disse Shanker, ignorando il posacenere e lasciando cadere la cenere sul pavimento. «Quanto sei disposto a sborsare, Bunsen?»

Mentre contrattavano il compenso di Shanker, una discussione che procedeva con bonomia ma anche con l’implicita serietà di due uomini consapevoli del fatto che Shanker non avrebbe mosso un dito senza essere pagato, Robin entrò con il caffè. Con la piena luce sulla faccia, aveva un aspetto orribile.

«Ho risposto alle e-mail più importanti» disse a Strike, fingendo di non notare il suo sguardo interrogativo. «Adesso vado a fare un po’ di Platinum».

Shanker sembrava molto incuriosito da quell’annuncio, ma nessuno gli spiegò.

«Stai bene?» le domandò Strike, desiderando che Shanker non fosse presente.

«Benissimo» disse Robin, con un patetico tentativo di sorriso. «Ci vediamo dopo».

«Vado a fare un po’ di platino?» ripeté Shanker, curioso, sul rumore della porta esterna che si chiudeva.

«Non è una roba bella come sembra» disse Strike, buttandosi indietro sulla sedia per guardare fuori dalla finestra. Robin uscì dall’edificio in soprabito e s’incamminò lungo Denmark Street sparendo alla vista. Un omone con un berretto di lana uscì dal negozio di chitarre sul lato opposto della strada e si avviò nella stessa direzione, ma l’attenzione di Strike era già stata richiamata da Shanker che diceva:

«Ti hanno davvero mandato una cazzo di gamba, Bunsen?»

«Già» disse Strike. «Tagliata, impacchettata e consegnata a mano».

«’sti cazzi» esclamò Shanker, che pure non si faceva impressionare facilmente.

Dopo che Shanker fu uscito con una mazzetta di contante per i servigi già resi e la promessa di ricevere altrettanto per ulteriori particolari su Whittaker, Strike telefonò a Robin. Lei non rispose, cosa non insolita se si trovava in un posto dove non poteva parlare liberamente. Le mandò un messaggio:

 

Fammi sapere quando arrivi in un punto dove posso incontrarti

 

Poi andò a mettersi sulla sedia di lei, pronto a fare la sua parte di e-mail e fatture.

Nondimeno, trovava difficile concentrarsi dopo la seconda nottata in vagone letto. Cinque minuti dopo controllò il cellulare, ma Robin non aveva risposto, sicché si alzò per prepararsi un’altra tazza di tè. Mentre si portava la tazza alle labbra colse un vago sentore di cannabis, passato di mano in mano quando lui e Shanker si erano salutati.

Shanker era arrivato in origine da Canning Town, ma aveva dei cugini a Whitechapel che, vent’anni prima, erano stati coinvolti in una guerra con una banda rivale. Il suo desiderio di aiutare i cugini l’aveva fatto finire in un canale di scolo in fondo a Fulbourne Street, sanguinante dal profondo taglio alla bocca e alla guancia che lo sfigurava ancora oggi. Era lì che Leda Strike, di ritorno da un’uscita a tarda sera per comprare le cartine, lo aveva trovato.

Ignorare un ragazzo dell’età di suo figlio che giaceva sanguinante nel canale sarebbe stato impossibile per Leda. Il fatto che il ragazzo stringesse in pugno un coltello insanguinato, che stesse urlando bestemmie e fosse chiaramente sotto l’effetto di qualche tipo di droga non faceva differenza. Shanker si ritrovò lavato e ripulito ad ascoltare parole che nessuno gli aveva più detto dal giorno in cui era morta sua madre, quando lui aveva otto anni. Non volle assolutamente che la strana donna chiamasse un’ambulanza, per paura di quello che gli avrebbe fatto la polizia (Shanker aveva appena pugnalato alla coscia il suo aggressore), e quindi Leda fece la sola cosa che le sembrava possibile: se lo portò nello squat e se ne prese cura personalmente. Dopo aver tagliato dei pezzi di cerotto e averglieli appiccicati maldestramente sul taglio a mo’ di punti di sutura, gli preparò una sbobba piena di cenere di sigaretta e disse al proprio figlio sconcertato di trovare un materasso dove Shanker potesse dormire.

Leda trattò fin dall’inizio Shanker come se fosse un nipote che non vedeva da un pezzo, e in cambio lui la venerava come soltanto un ragazzo spezzato che si aggrappa al ricordo di una madre amorevole può fare. Una volta guarito, accolse il sincero invito di lei di passare a trovarla ogni volta che ne aveva voglia. Shanker parlava a Leda come non parlava a nessun altro essere umano ed era forse la sola persona al mondo a non vedere in lei alcun difetto. Nei confronti di Strike, estendeva il rispetto che provava per sua madre. I due ragazzi, che sotto tutti gli altri aspetti erano diversi che più diversi non si poteva, furono ulteriormente legati da una tacita ma fortissima avversione per Whittaker, che si era rivelato follemente geloso di quella nuova presenza nella vita di Leda ma non osava trattarlo con lo stesso disprezzo che mostrava per Strike.

Strike era sicuro che Whittaker avesse riscontrato in Shanker lo stesso disturbo che affliggeva anche lui: l’assenza di limiti. Whittaker aveva capito, giustamente, che il suo figliastro poteva anche volerlo morto, ma era frenato dal desiderio di non addolorare la madre, dal rispetto per la legge e dalla determinazione a non compiere un atto irrevocabile che poteva compromettere per sempre le sue aspettative. Shanker, invece, non conosceva simili restrizioni e il suo lungo periodo di coabitazione con la cosiddetta famiglia mise un freno, ancorché precario, alla crescente propensione di Whittaker alla violenza.

Era stata proprio la regolare presenza di Shanker nello squat a permettere a Strike di uscire col cuore sereno per frequentare l’università. Non aveva avuto il coraggio di dire chiaramente al coetaneo qual era la sua paura più grande nel momento in cui prese congedo da lui, ma Shanker aveva comunque capito.

«Non ti preoccupare, Bunsen, socio. Non ti preoccupare».

Ma Shanker non poteva essere lì tutto il tempo. Il giorno in cui Leda era morta, Shanker era fuori per uno dei suoi giri di droga. Strike non avrebbe mai dimenticato il dolore di Shanker, il suo rimorso, le sue lacrime irrefrenabili quando si erano incontrati, dopo. Mentre Shanker stava contrattando un buon prezzo per un chilo di cocaina boliviana a Kentish Town, Leda Strike si stava pian piano irrigidendo su un lercio materasso. Il referto dell’autopsia diceva che aveva smesso di respirare almeno sei ore prima che qualcuno fra gli occupanti dello squat cercasse di svegliarla da quello che era stato scambiato per un profondo torpore.

Come Strike, Shanker si era convinto fin da subito che fosse stato Whittaker a ucciderla, e la violenza del suo dolore e del suo desiderio di vendetta immediata erano stati tali che Whittaker poteva ritenersi fortunato di essersi ritrovato in stato di detenzione preventiva prima che Shanker potesse mettergli le mani addosso. Imprudentemente ammesso al banco dei testimoni per descrivere una donna materna che non aveva mai toccato eroina in vita sua, Shanker aveva urlato: «È stato quello stronzo!», aveva cercato di scavalcare la sbarra per avventarsi su Whittaker ed era stato scaraventato senza tante cerimonie fuori dall’aula.

Allontanando deliberatamente quei ricordi del passato sepolto, che per essere stato riesumato non aveva un odore migliore, Strike bevve un sorso di tè caldo e guardò di nuovo il cellulare. Ancora nessuna notizia da Robin.