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Harvester of eyes, that’s me.

Blue Öyster Cult, Harvester of Eyes59

L’ispettore investigativo Eric Wardle non era affatto contento che Jason e Tempest avessero mentito ai suoi uomini, ma Strike lo trovò meno arrabbiato di quanto si fosse aspettato quando lunedì sera s’incontrarono per una birra al Feathers, su invito dello stesso Wardle. La spiegazione per la sua sorprendente indulgenza era semplice: la rivelazione che Kelsey, dopo l’appuntamento al Café Rouge, fosse stata portata via da un uomo su una moto confermava la sua nuova teoria preferita.

«Ricordi il tipo chiamato Devotee che era sul loro sito web? Quello con la fissa delle amputazioni, che non si è più sentito dopo che Kelsey è stata uccisa?»

«Sì» rispose Strike, ricordando che Robin gli aveva detto di aver avuto un contatto con lui.

«Lo abbiamo scovato. Indovina cos’aveva in garage...»

Dal momento che non c’erano stati arresti, Strike immaginò che non fossero pezzi di cadavere, sicché azzardò, condiscendente: «Una moto?»

«Kawasaki Ninja» disse Wardle. «Lo so che stiamo cercando una Honda» aggiunse, prevenendo Strike, «ma se l’è fatta addosso quando ci ha visti arrivare».

«Succede a molta gente, quando si trova in casa gli agenti del Dipartimento di investigazione criminale. Continua pure».

«È un piccoletto sudato di nome Baxter, un rappresentante che non ha alibi per il fine settimana del due e tre, né per il ventinove. Divorziato, senza figli, dice che è rimasto a casa a guardare le nozze reali. Tu avresti guardato le nozze reali, senza una donna in casa?»

«No» rispose Strike, che aveva visto soltanto un servizio del telegiornale.

«Dice che la moto è di suo fratello e che lui gliela tiene e basta, ma dopo un po’ di domande ha ammesso di averla usata qualche volta. Quindi sa andare in moto e può aver noleggiato o essersi fatto prestare la Honda».

«Cosa ha detto del sito web?»

«Ha minimizzato, dice che ci entrava così, solo per cazzeggiare, che per lui non significa niente, che i moncherini non lo eccitano... Quando però gli abbiamo chiesto se potevamo dare un’occhiata al suo computer non gli è piaciuto per niente. Ha chiesto di parlare con il suo avvocato. L’abbiamo lasciato lì, ma domani ci torniamo. Due chiacchiere amichevoli».

«Ha ammesso di aver chattato con Kelsey?»

«Difficile per lui negarlo, dal momento che abbiamo il portatile di lei e tutti i dati di Tempest. Ha chiesto a Kelsey cos’aveva in mente di fare con la gamba e si è offerto d’incontrarla, e lei lo ha mandato al diavolo... online, naturalmente. Cavoli, vale la pena di andarci più a fondo, no?» disse Wardle in risposta all’occhiata scettica di Strike. «Non ha un alibi, va in moto, è attratto dall’amputazione e ha cercato di incontrarla!»

«Sì, certo» disse Strike. «Altre piste?»

«È per questo che volevo vederti. Abbiamo scovato il tuo Donald Laing. Si trova a Wollaston Close, a Elephant and Castle».

«Ah sì?» disse Strike, colto assolutamente alla sprovvista.

Felice di aver sorpreso Strike per una volta, Wardle fece un sorrisino.

«Sì, ed è malato. Lo abbiamo trovato grazie a una pagina di JustGiving. Ci siamo rivolti a loro e abbiamo avuto l’indirizzo».

Ecco la differenza fra Strike e Wardle: il secondo aveva i tesserini, l’autorità e il tipo di potere cui Strike aveva rinunciato lasciando l’esercito.

«Lo hai visto?» domandò Strike.

«Ho mandato un paio di ragazzi a controllare, ma non c’era, però i vicini hanno confermato che è il suo appartamento. È in affitto, vive solo ed è ridotto molto male, a quanto pare. Dicono che è tornato per qualche giorno in Scozia. Al funerale di un amico. Dovrebbe tornare presto».

«Col cazzo» bofonchiò Strike nel bicchiere di birra. «Se Laing ha ancora un amico in Scozia, mi mangio il bicchiere».

«Come ti pare» disse Wardle, metà divertito e metà insofferente. «Pensavo che ti facesse piacere sapere che stiamo dietro ai tuoi sospetti».

«E me ne fa, infatti» rispose Strike. «Malato, hai detto?»

«Il vicino dice che ha bisogno delle stampelle. Pare che faccia dentro e fuori dall’ospedale».

Sullo schermo a parete foderato di pelle si vedeva la partita Arsenal-Liverpool del mese precedente, senza audio. Strike guardò van Persie segnare il rigore che, quando aveva visto la partita sul portatile nell’appartamento, aveva pensato potesse portare l’Arsenal a un’importantissima vittoria. Non era successo, naturalmente. La fortuna dell’Arsenal, al momento, stava andando a ramengo come la sua.

«Ti vedi con qualcuna?» domandò Wardle di punto in bianco.

«Come?» disse Strike, sorpreso.

«A Coco sei piaciuto» spiegò Wardle, accertandosi che Strike vedesse il suo sorrisino, per fargli capire che trovava la cosa assurda. «L’amica di mia moglie, Coco. Capelli rossi, ricordi?»

Strike ricordava che Coco era una ballerina di burlesque.

«Ho detto che avrei chiesto» continuò Wardle. «L’ho avvertita che sei un povero stronzo. Dice che se ne frega».

«Ringraziala da parte mia» disse Strike, sincero, «però... sì, mi vedo con qualcuna».

«Non sarà mica la tua socia?» domandò Wardle.

«No» rispose Strike. «Sta per sposarsi».

«Ogni lasciata è persa» disse Wardle, sbadigliando. «Io ci avrei fatto un pensierino».

 

«Dunque, fammi capire» disse Robin in ufficio la mattina dopo. «Ora che abbiamo saputo che Laing vive davvero a Wollaston Close, vuoi che io smetta di sorvegliarlo...»

«Ascoltami bene» insisté Strike mentre preparava il tè. «È via, dicono i vicini».

«Ma mi hai appena detto che non credi che sia andato in Scozia!»

«Il fatto che la porta del suo appartamento sia rimasta chiusa per tutto il tempo che l’hai sorvegliata vuol dire che da qualche parte è andato».

Strike preparò le bustine in due tazze.

«Non mi bevo la balla del funerale dell’amico, ma non mi sorprenderebbe se avesse fatto una capatina a Melrose per cercare di spillare un po’ di grana alla madre demente. È proprio l’idea di vacanza che potrebbe avere il nostro Donnie».

«Uno di noi dovrebbe essere lì quando torna...»

«Uno di noi ci sarà» dichiarò Strike, rassicurante, «ma nel frattempo è meglio che tu passi a...»

«Brockbank?»

«No, Brockbank lo faccio io» disse Strike. «Voglio che tu stia dietro a Stephanie».

«Chi?»

«Stephanie. La ragazza di Whittaker».

«Perché?» domandò Robin alzando il tono, per coprire il gorgoglio del bollitore, mentre la condensa appannava la finestra.

«Vorrei capire se sa cosa stava facendo Whittaker il giorno in cui Kelsey è stata uccisa, e la notte in cui sono state amputate le dita di quella ragazza a Shacklewell. Il tre e il ventinove aprile, per la precisione».

Strike versò l’acqua sulle bustine di tè e aggiunse il latte, facendo tintinnare il cucchiaino contro la tazza. Robin non sapeva se essere contenta o delusa della proposta di cambio della sua routine.

Tutto sommato, pensava di essere contenta, ma i recenti sospetti che Strike stesse cercando di tenerla in disparte non erano facili da scacciare.

«Pensi ancora che Whittaker possa essere l’assassino?»

«Sì» disse Strike.

«Ma non hai...»

«Non ho prove contro nessuno di loro, no?» replicò Strike. «Sto semplicemente andando avanti con la speranza di trovarne qualcuna o di scagionarli tutti».

Le porse una tazza di tè e sprofondò nel divano di finta pelle, che per una volta non scorreggiò sotto il suo peso. Un trionfo da poco ma, in mancanza d’altri, sempre meglio di niente.

«Speravo di poter escludere Whittaker per come si presenta adesso» continuò Strike, «ma in realtà è del tutto possibile che quello col berretto di lana fosse lui. Una cosa è certa: è esattamente lo stesso bastardo che era quando lo conoscevo. Con Stephanie ho rovinato tutto, quindi non avrà nessuna voglia di parlare con me, però non è detto che tu non riesca a cavarne qualcosa. Se può fornirgli un alibi per quelle date, o indirizzarci verso qualcun altro che può farlo, ci ripenseremo. Altrimenti, lui resta sull’elenco».

«E tu cos’hai intenzione di fare, mentre io penso a Stephanie?»

«Brockbank» disse Strike, stirando le gambe e prendendo una corroborante sorsata di tè. «Ho deciso che oggi vado dentro allo strip club, e vedo se sanno qualcosa di lui. Sono stufo di mangiare kebab e girare per i negozi di vestiti aspettando che lui metta fuori il naso».

Robin non disse niente.

«Cosa c’è?» domandò Strike, notando la sua espressione.

«Niente».

«Sputa il rospo».

«Va bene... e se lui c’è

«Correrò il rischio... Non lo prenderò a pugni» la rassicurò Strike, interpretando correttamente i suoi pensieri.

«Okay» disse Robin, ma poi aggiunse: «Whittaker l’hai colpito, però».

«È diverso» disse Strike e, dato che lei non parlava: «Whittaker è speciale. È di famiglia».

Lei rise, ma a denti stretti.

 

 

Quando Strike prelevò cinquanta sterline da un bancomat, prima di entrare al Saracen da Commercial Road, la macchina gli mostrò con malagrazia il saldo negativo del suo conto corrente. L’aria corrucciata, Strike porse una banconota da dieci al buttafuori senza collo sulla porta e passò attraverso le strisce di plastica nera che occultavano l’interno, scarsamente illuminato, ma non abbastanza da mascherare l’aria di generale squallore.

L’arredamento interno del vecchio pub era stato rimosso completamente. Il nuovo arredo faceva pensare a un centro sociale avariato, con luci fioche e senz’anima. Il pavimento era di pino lucido e rifletteva la fila di neon che correva lungo il bar, il quale occupava un intero lato della sala.

Era da poco passato mezzogiorno, ma c’era già una ragazza che si esibiva su un piccolo palco in fondo al pub. Immersa in una luce rossa e in piedi davanti a specchi angolati che permettevano di apprezzare ogni fossetta della sua carne, si stava togliendo il reggiseno al ritmo di Start Me Up dei Rolling Stones. Quattro uomini in tutto erano seduti su alti sgabelli, ciascuno a un tavolo rialzato, e dividevano la loro attenzione tra la ragazza che ora si dondolava goffamente intorno al palo e un televisore a schermo gigante sintonizzato su Sky Sport.

Strike andò direttamente al bar, dove si ritrovò davanti a un cartello che diceva: «Chi viene sorpreso a masturbarsi verrà espulso».

«Cosa posso servirti, tesoro?» chiese una ragazza con i capelli lunghi, ombretto viola e anello al naso.

Strike ordinò una pinta di John Smith’s e si sedette al banco. A parte il buttafuori, il solo altro impiegato maschio visibile era l’uomo seduto dietro una console accanto alla spogliarellista. Era tozzo, biondo, di mezza età e non somigliava nemmeno lontanamente a Brockbank.

«Speravo di incontrare un amico» disse Strike alla barista che, non avendo altri clienti, stava appoggiata al banco a contemplare la televisione e a tormentarsi le lunghe unghie.

«Davvero?» fece lei in tono annoiato.

«Sì» disse Strike. «Ha detto che lavorava qui».

Un uomo in giacca fluorescente si accostò al banco e la barista si allontanò per servirlo senza dire altro.

Start Me Up finì e così anche lo strip. La ragazza, nuda, saltò giù dal palco, afferrò uno scialle e sparì dietro una tenda in fondo al pub. Nessuno applaudì.

Una donna in kimono cortissimo di nylon e autoreggenti uscì da dietro la tenda e si mise a girare per il pub, porgendo un bicchiere da birra vuoto ai clienti che, uno alla volta, infilarono le mani in tasca e le dettero qualche spicciolo. Per ultimo, arrivò da Strike. Lui fece cadere nel bicchiere un paio di sterline. La ragazza andò dritta verso il palco, posò con attenzione il boccale con il denaro accanto alla console del DJ, si liberò del kimono e salì sul palco in reggiseno, mutandine, autoreggenti e tacchi alti.

«Signori, questo vi piacerà... Un caloroso benvenuto alla bella Mia!»

La ragazza cominciò a dimenarsi sulle note di Are ‘Friends’ Electric? di Gary Numan. Non c’era il minimo sincronismo fra i suoi movimenti e la musica.

La barista riprese la posizione oziosa vicino a Strike. La televisione si vedeva meglio da lì.

«Come stavo dicendo» ricominciò Strike, «un mio amico mi ha detto che lavora qui».

«Mm-hm» fece lei.

«Si chiama Noel Brockbank».

«Sì? Non lo conosco».

«Be’» disse Strike, facendo finta di guardarsi intorno, anche se aveva già visto che Brockbank non c’era. «Forse ho sbagliato posto».

La prima spogliarellista uscì da dietro la tenda, in un miniabito rosa confetto con spalline sottili che le copriva a stento il pube, in qualche modo più indecente adesso che nuda. Si avvicinò all’uomo dalla giacca fluorescente e gli domandò qualcosa, ma lui scosse la testa. Guardandosi attorno, incrociò lo sguardo di Strike, sorrise e gli si accostò.

«Ciao» disse. Aveva un accento irlandese. I suoi capelli, che Strike aveva preso per biondi nella luce rossastra del palco, si rivelarono di un vivido color rame. Sotto lo spesso rossetto arancione e le folte ciglia finte si nascondeva una ragazza che sembrava appena uscita da scuola. «Io sono Orla. E tu?»

«Cameron» disse Strike, che era il modo in cui di solito veniva chiamato dalle persone che non avevano capito il suo vero nome.

«Ti piacerebbe che facessi un balletto solo per te, Cameron?»

«E dove lo faresti?»

«Lì dietro» disse lei, indicando la tenda dietro cui si era cambiata. «Non ti ho mai visto prima, qui».

«Infatti, sto cercando una persona».

«Come si chiama la tipa?»

«È un tipo».

«Sei venuto nel posto sbagliato per i tipi, tesoro» disse la ragazza.

Era così giovane che Strike si sentì quasi sporco solo a sentirsi chiamare tesoro.

«Posso offrirti da bere?» le chiese.

Lei esitò. I balletti privati le fruttavano di più, ma magari quello era il tipo che aveva bisogno di scaldarsi, prima.

«Certo».

Strike pagò una cifra esorbitante per una vodka al lime, che lei bevve compostamente su uno sgabello accanto a lui. Gran parte del seno le usciva dal vestito e la consistenza della sua pelle ricordò a Strike la povera Kelsey: liscia e soda, con tanto adipe giovanile. Aveva tre stelline azzurre tatuate su una spalla.

«Magari tu conosci il mio amico...» disse Strike. «Noel Brockbank».

Non era stupida, la piccola Orla. C’erano sospetto e calcolo insieme nell’occhiata in tralice con cui lo fissò. Si stava chiedendo, come già la massaggiatrice di Market Harborough, se non era della polizia.

«Mi deve dei soldi» spiegò Strike.

Lei continuò a scrutarlo per un momento, la fronte liscia accigliata, e alla fine si bevve la frottola.

«Noel» ripeté. «Penso che se ne sia andato. Un momento... Edie?»

L’annoiata barista non staccava gli occhi dal televisore.

«Mmm?»

«Come si chiamava quel tipo che Des ha licenziato la settimana scorsa? Quello che è durato soltanto pochi giorni?»

«Non lo so».

«Sì, credo che fosse proprio Noel» rispose Orla rivolta a Strike. Poi, con improvvisa e disarmante faccia tosta, aggiunse: «Dammi un deca e verifico».

Con un sospiro mentale, Strike porse la banconota.

«Aspetta qui» disse Orla gentilmente. Scivolò giù dallo sgabello del bar, infilò le dieci sterline nell’elastico delle mutandine, si tirò giù il vestito con gesto poco elegante e andò verso il DJ, che guardò storto Strike mentre Orla gli parlava. Annuì seccamente, il faccione flaccido che baluginava nella luce rossastra, e Orla tornò trotterellando con aria soddisfatta.

«Lo sapevo!» disse a Strike. «Non ero qui quando è successo, ma ha avuto tipo un attacco».

«Un attacco?» ripeté Strike.

«Sì, era qui soltanto da una settimana. Uno grosso, no? Con un grosso mento?»

«Giusto» disse Strike.

«Sì, era in ritardo, e Des era seccato. Des è quello là» aggiunse non richiesta, indicando il DJ che stava osservando Strike con diffidenza mentre toglieva Are ‘Friends’ Electric? per mettere Girls Just Want to Have Fun di Cyndi Lauper. «Des lo stava rimproverando per il ritardo e il tuo amico è caduto per terra e ha cominciato a dimenarsi. Dicono» aggiunse Orla con un sorrisino, «che si è pisciato addosso».

Strike non pensava che Brockbank potesse pisciarsi addosso solo per sottrarsi a una ramanzina di Des. C’era da credere che avesse avuto un vero attacco epilettico.

«E poi?»

«La ragazza del tuo amico è arrivata di corsa dal retro...»

«Che ragazza sarebbe?»

«Aspetta... Edie?»

«Mmm?»

«Chi è quella ragazza nera con le extension? Quella con le tettone? Quella che non piace a Des?»

«Alyssa» rispose Edie.

«Alyssa» disse Orla a Strike. «È arrivata di corsa dal retro e ha urlato a Des di chiamare l’ambulanza».

«E lui l’ha fatto?»

«Sì. L’hanno portato via e Alyssa è andata con lui».

«E Brock... Noel non è più tornato?»

«A cosa serve un buttafuori che casca per terra e si piscia addosso soltanto perché uno gli urla in faccia?» disse Orla. «Ho sentito che Alyssa voleva che Des gli desse una seconda possibilità, ma Des non dà seconde possibilità».

«Allora Alyssa ha chiamato Des stronzo di merda» intervenne Edie, strappandosi di colpo dalla sua apatia, «e Des ha licenziato anche lei. La cogliona. A lei i soldi servono. Ha dei figli».

«Quando è successo tutto questo?» domandò Strike a Orla e Edie.

«Un paio di settimane fa» rispose Edie. «Ma era un verme, quel tipo. Una bella liberazione».

«In che senso era un verme?» domandò Strike.

«Si capisce subito» disse Edie con una sorta di amareggiata stanchezza. «Subito. Alyssa ha dei gusti del cazzo in fatto di uomini».

Adesso la seconda spogliarellista si stava abbassando il tanga e scuoteva vigorosamente le natiche verso lo scarso pubblico. Due uomini più anziani erano appena entrati nel club ed esitavano ad avvicinarsi al bar, gli occhi puntati sul tanga che stava chiaramente per cadere.

«Non sai dove lo posso trovare?» domandò Strike a Edie, che sembrava troppo annoiata per chiedere soldi per l’informazione.

«Vive con Alyssa, da qualche parte nel Bow» disse la barista. «Era riuscita ad avere una casa popolare, ma si lamentava sempre del posto. Non so esattamente dove» aggiunse, anticipando la domanda di Strike. «Non ci sono mai stata...»

«Io pensavo che si trovasse bene» buttò lì Orla in modo vago. «Diceva che c’era un bell’asilo».

La spogliarellista si era tolta il tanga e lo faceva roteare sopra la testa come un lazo. Avendo visto tutto quello che c’era da vedere, i due nuovi avventori si accostarono al bar. Uno di loro, un uomo vecchio quanto bastava per essere il nonno di Orla, puntò gli occhi acquosi sulla scollatura della ragazza. Lei lo studiò con aria professionale, poi si voltò di nuovo verso Strike.

«Allora, vuoi un balletto privato o no?»

«No, penso di no» rispose Strike.

Prima ancora che le parole finissero di uscirgli di bocca, lei aveva posato il bicchiere, era scivolata giù dalla sedia e si era diretta verso il sessantenne, che sorrise mettendo in mostra più buchi che denti.

Una figura massiccia apparve al fianco di Strike: il buttafuori senza collo.

«Des vuole parlare con te» annunciò in quello che sarebbe potuto essere un tono intimidatorio se la sua voce non fosse stata sorprendentemente acuta in un uomo così grosso.

Strike si guardò attorno. Il DJ, che lo fissava truce dal capo opposto della sala, gli fece un cenno.

«C’è qualche problema?» domandò Strike al buttafuori.

«Te lo dice Des, se c’è» fu la risposta velatamente minacciosa.

Strike attraversò la sala per parlare con il DJ e rimase ritto accanto alla console come un gigantesco studente convocato dal preside. Pienamente consapevole dell’assurdità della situazione, dovette aspettare che una terza spogliarellista posasse il bicchiere con i soldi accanto alla console, si liberasse del kimono viola e salisse sul palco in pizzo nero e tacchi di perspex. Aveva moltissimi tatuaggi e, sotto il trucco pesante, i brufoli.

«Signori, tette e culo di alta classe da... Jackaline!»

Si sentì l’inizio di Africa dei Toto. Jackaline cominciò a girare intorno al palo, esercizio in cui era di gran lunga più esperta delle sue colleghe, e Des coprì il microfono con la mano e si sporse verso Strike.

«Senti, bello».

Appariva più anziano e più duro di quanto fosse sembrato alla luce rossa del palco, gli occhi scaltri, una cicatrice profonda come quella di Shanker che gli correva lungo la mascella.

«Cosa vuoi sapere di quel buttafuori?»

«È un mio amico».

«Non ha mai avuto un contratto».

«Non ho mai detto il contrario».

«Scordati il licenziamento senza giusta causa. Non mi ha mai detto che aveva quegli attacchi del cazzo. Ti ha mandato quella troia di Alyssa?»

«No» disse Strike. «Mi avevano detto che Noel lavorava qui».

«È una stronza vacca fuori di testa».

«Non ne ho idea. Io sto cercando lui».

Grattandosi un’ascella, Des lanciò un’occhiata torva a Strike intanto che, a un metro e mezzo di distanza, Jackaline faceva scivolare le spalline del reggiseno e fissava i cinque o sei avventori che la guardavano.

«È una cazzata che quel bastardo è stato nelle Forze Speciali» lo aggredì Des, come se Strike avesse sostenuto che invece c’era stato.

«Te l’ha detto lui?»

«Me l’ha detto Alyssa. Non avrebbero mai preso un fottuto rottame come quello. Comunque» continuò Des, gli occhi ridotti a fessure, «c’erano altre cose che non mi piacevano».

«Tipo?»

«Cazzi miei. Dillo ad Alyssa da parte mia. Non è stata soltanto la sua crisi del cazzo. Dille di chiedere a Mia perché non lo rivoglio, e dille anche che se mi fa qualche altra stronzata alla macchina o manda un altro dei suoi amici a cercare di scoprire qualcosa sul mio conto, la porto in tribunale, porca troia. Diglielo!»

«D’accordo» rispose Strike. «Hai un indirizzo?»

«Fanculo, okay?» disse Des con una specie di ringhio. «Fanculo e fuori di qui».

Si chinò sul microfono.

«Meraviglioso» disse, con un’occhiata piena di una specie di malizia professionale, mentre Jackaline faceva oscillare ritmicamente le tette nella luce scarlatta. Des mostrò il dito medio a Strike e tornò alla sua pila di vecchi dischi in vinile.

Accettando l’inevitabile, Strike si lasciò scortare alla porta. Nessuno lo guardò; l’attenzione del pubblico restava divisa tra Jackaline e Lionel Messi in tv. Sulla soglia, Strike si fermò per far passare un gruppo di giovani benvestiti, tutti già evidentemente alticci.

«Tette!» urlò il primo di loro, indicando la spogliarellista. «Tette!»

Il buttafuori ebbe da ridire su questa modalità di ingresso. Ne seguì un battibecco: chi aveva strillato venne minacciato dagli amici e dal buttafuori, il quale accompagnò i suoi improperi con colpi di indice sul petto del ragazzo.

Strike aspettò pazientemente che tornasse la calma. Quando ai giovani fu finalmente permesso di entrare, Strike uscì sulle note di apertura di The Only Way Is Up, di Yazz.