20
I never realized she was so undone.
Blue Öyster Cult, Debbie Denise,30
parole di Patti Smith
Robin aveva dimenticato di avere promesso a Strike di non restare mai fuori casa col buio. In verità, quasi non si era accorta che il sole era tramontato fino al momento in cui si era resa conto che le auto avevano acceso i fari e i negozi le luci. Platinum aveva cambiato i suoi orari, oggi. A quell’ora, di solito, era già dentro lo Spearmint Rhino da parecchio tempo, a dimenarsi seminuda per la gioia di strani uomini, non per strada a camminare completamente vestita con tanto di jeans, stivali dal tacco alto e giubbotto di pelle scamosciata a frange. Probabilmente aveva cambiato turno, ma di lì a un momento sarebbe andata a ruotare intorno al palo, il che lasciava insoluto il problema di dove Robin avrebbe passato la notte.
Il suo cellulare aveva continuato a vibrare nella tasca del soprabito per tutto il giorno. Matthew aveva mandato più di trenta sms.
Dobbiamo parlare.
Chiamami, ti prego.
Robin, non arriveremo a niente se non mi parli.
Quando la giornata era passata e lei non aveva rotto il silenzio, Matthew aveva cominciato a cercare di chiamarla. Poi il tono dei suoi sms era cambiato.
Robin, sai che ti amo.
Vorrei che non fosse successo. Vorrei cambiare le cose ma non posso.
È te che amo, Robin. Ti ho sempre amata e sempre ti amerò.
Lei non aveva risposto ai messaggi, non aveva risposto alle telefonate, non l’aveva richiamato. Continuava a ripetere a se stessa che non poteva sopportare di tornare nell’appartamento, non quella sera. Non aveva idea di cosa sarebbe successo l’indomani, o il giorno dopo ancora. Era affamata, stanca e intorpidita.
Strike era diventato quasi altrettanto insistente verso il tardo pomeriggio.
Dove sei? Chiamami per favore.
Gli aveva risposto con un sms, perché non sopportava l’idea di parlare, nemmeno con lui.
Non posso parlare. Platinum non è al lavoro.
Lei e Strike tenevano una certa distanza emozionale, sempre, e Robin temeva che se Strike si fosse mostrato gentile lei sarebbe scoppiata in lacrime, rivelando quella debolezza che lui non avrebbe approvato in un’assistente. Senza più alcun caso da risolvere, con la minaccia incombente su di lei dell’uomo che aveva spedito la gamba, non doveva fornire a Strike un’altra ragione per dirle di starsene a casa.
Strike non era rimasto soddisfatto della risposta.
Chiamami appena puoi.
Robin aveva ignorato il messaggio con la scusa che avrebbe potuto benissimo non averlo ricevuto, visto che era vicina alla metropolitana quando lui l’aveva spedito e poco dopo non aveva più avuto campo perché aveva seguito Platinum sul treno fino a Tottenham Court Road. Uscendo dalla stazione, Robin aveva trovato sul cellulare un’altra chiamata persa di Strike, nonché un altro sms di Matthew.
Devo sapere se verrai a casa stanotte. Sono molto in pensiero per te. Manda un messaggio soltanto per dirmi che sei viva, non chiedo altro.
«Oh, non illuderti» mormorò Robin. «Mica mi uccido per te».
Un uomo panciuto stranamente familiare vestito con un abito intero le passò davanti, illuminato dal baluginio della pensilina dello Spearmint Rhino. Era Due-Volte. Robin si domandò se se l’era immaginato o se il tipo le aveva fatto davvero un sorrisino.
Stava entrando a guardare la sua ragazza ballare per altri uomini? Gli piaceva vedere la propria vita sessuale documentata? Che tipo di pervertito era, esattamente?
Robin si allontanò. Doveva prendere una decisione su cosa fare quella notte. Un uomo grosso con un berretto di lana stava litigando al cellulare in un andito, un centinaio di metri più avanti.
La sparizione di Platinum aveva privato Robin di ogni obiettivo. Dove sarebbe andata a dormire? Mentre se ne stava lì indecisa, un gruppo di ragazzi le passò davanti, deliberatamente vicino, e uno di loro le sfiorò la sacca. Robin ne sentì la puzza di birra.
«Il costume l’hai lasciato dentro, tesoro?»
Si rese conto che era ferma davanti a un locale di spogliarello. Mentre si volgeva istintivamente in direzione dell’ufficio di Strike, il suo cellulare trillò. Senza pensarci, rispose.
«Dove diavolo eri?» le urlò nell’orecchio la voce infuriata di Strike.
Ebbe appena il tempo di rallegrarsi che non fosse Matthew, prima che Strike dicesse:
«È tutto il giorno che ti cerco! Dove sei?»
«In Tottenham Court Road» rispose lei, allontanandosi in fretta dai giovani che ancora ridacchiavano. «Platinum è appena entrata e Due-volte...»
«Ma non ti ho detto di non star fuori dopo il tramonto?»
«È molto illuminato» ribatté Robin.
Stava cercando di ricordare se avesse mai notato un Travelodge da quelle parti. Aveva bisogno di un posto pulito ed economico. Doveva essere economico, perché stava prelevando dal conto corrente cointestato ed era decisa a non spendere più di quello che lei ci aveva depositato.
«Stai bene?» domandò Strike, un po’ meno aggressivo.
Robin si sentì un nodo in gola.
«Benissimo» rispose, con tutta la forza che riuscì a trovare. Stava cercando di essere professionale, di essere come voleva Strike.
«Sono ancora in ufficio» riprese lui. «Hai detto Tottenham Court Road?»
«Mi spiace, ma devo andare» disse Robin in tono secco e freddo, mettendo fine alla telefonata.
La paura di piangere era diventata così forte che aveva dovuto riattaccare. Temeva che lui stesse per proporle di incontrarla, e se si fossero visti lei gli avrebbe detto tutto, cosa che non doveva succedere.
Le lacrime le stavano già rigando la faccia. Non aveva nessun altro. Ecco! L’aveva ammesso, alla fine. Le persone con cui uscivano a pranzo nei fine settimana, quelle con cui andavano alla partita di rugby: erano tutti amici di Matthew, colleghi di lavoro di Matthew, ex compagni di università di Matthew. Lei non aveva nessuno di suo, a parte Strike.
«Oddio» mormorò, asciugandosi occhi e naso con la manica del soprabito.
«Tutto bene, tesoro?» le domandò un barbone sdentato dalla soglia di una casa.
Non sapeva perché fosse finita al Tottenham, se non per il fatto che il personale del bar la conosceva, perché sapeva dov’erano le toilette, e perché era un posto dove Matthew non era mai stato. La sola cosa che voleva era un angolino tranquillo dove mettersi a cercare un posto economico per dormire. Aveva anche voglia di bere, cosa che non era propriamente da lei. Dopo essersi sciacquata la faccia con l’acqua fredda in bagno, ordinò al banco un bicchiere di vino rosso, se lo portò a un tavolo e tirò di nuovo fuori il telefono. Aveva perso un’altra chiamata di Strike.
Gli uomini al bancone la guardavano. Lei sapeva di cosa doveva avere l’aria, bagnata di lacrime, sola, una sacca accanto a sé. Be’, non poteva farci niente. Digitò sul cellulare: Travelodge vicino a Tottenham Court Road e aspettò la lenta risposta, bevendo il vino forse più in fretta di quanto avrebbe dovuto, a stomaco vuoto. Niente colazione, niente pranzo: un sacchetto di patatine e una mela consumati nella mensa studentesca dove Platinum si era messa a studiare erano tutto quello che aveva mandato giù quel giorno.
C’era un Travelodge in High Holborn. Andava benissimo. Si sentì un po’ più calma ora che sapeva dove avrebbe passato la notte. Attenta a non incrociare lo sguardo di nessuno degli uomini al banco, si alzò per un secondo bicchiere di vino. Forse avrebbe dovuto chiamare sua madre, pensò all’improvviso, ma la prospettiva le fece daccapo venire voglia di piangere. Non poteva affrontare l’amore e la delusione di Linda, non ancora.
Un’imponente figura imberrettata era entrata nel pub, ma l’attenzione di Robin era risolutamente volta al suo resto e al vino: non doveva dare a nessuno degli uomini speranzosi appostati al banco la minima ragione di supporre che lei desiderasse compagnia.
Il secondo bicchiere di vino la fece sentire molto più rilassata. Ricordava come Strike, proprio lì dentro, in quel pub, si fosse ubriacato al punto da non reggersi quasi in piedi. Era stata la sola sera in cui lui aveva confidato delle informazioni sulla sua persona. Forse era proprio quella la vera ragione per cui lei era approdata lì, pensò, alzando gli occhi alla cupola colorata sopra la sua testa. Quello era il bar in cui entravi a bere quando scoprivi che la persona che amavi ti aveva tradito.
«Sola?» domandò una voce maschile.
«Aspetto una persona» disse lei.
Lo vide leggermente sfocato quando alzò gli occhi: un biondino magro con occhi azzurri slavati, e avrebbe potuto giurare che non le credeva.
«Posso aspettare con lei?»
«No che non puoi» disse un’altra voce familiare.
Strike era lì, grande e grosso, corrucciato, e fissava l’estraneo, che tornò scornato dal paio di amici rimasti al banco.
«Cosa ci fai, qui?» domandò Robin, sorpresa nel constatare quanto fosse torpida e spessa la sua lingua, dopo due bicchieri di vino.
«Cercavo te» disse Strike.
«Come facevi a sapere dov’ero?»
«Sono un investigatore. Quanti te ne sei fatti?» domandò, fissando il bicchiere di vino.
«Uno solo» mentì lei, al che Strike andò al bar a prenderne un altro, assieme a un boccale di Doom Bar per sé. Mentre ordinava, un uomo robusto con un berretto di lana era sgattaiolato fuori dalla porta. Strike, però, stava ancora tenendo d’occhio il biondo, che smise di fissare Robin soltanto quando Strike tornò al tavolo con i due bicchieri e, torvo, si sedette di fronte a lei.
«Cos’è successo?»
«Niente».
«Non mentire. Hai una faccia da cadavere».
«Be’, grazie» disse Robin, dopo una lunga sorsata di vino, «adesso sì che sto meglio».
Strike fece una risatina.
«Come mai ti porti dietro una sacca?» Vedendo che lei non rispondeva, aggiunse: «Dov’è il tuo anello di fidanzamento?»
Robin aprì la bocca per rispondere, ma un’infida voglia di piangere montò in lei a soffocare le parole. Dopo una breve lotta interna e un altro sorso di vino, ammise: «Non sono più fidanzata».
«Come mai?»
«Questa è buona, venendo da te».
Sono ubriaca, pensò, come guardandosi dal di fuori del proprio corpo. Guardami. Sono sbronza dopo due bicchieri e mezzo di vino, senza mangiare e senza dormire.
«Perché, scusa?» domandò Strike, confuso.
«Noi non parliamo... tu non parli di roba personale».
«Mi sembra di ricordare di essermi svuotato l’anima con te proprio in questo pub».
«Una volta» disse Robin.
Dalle guance rosse e dalle parole impastate Strike sospettò che Robin non fosse soltanto al secondo bicchiere di vino. Divertito e a un tempo preoccupato, disse:
«Credo che tu debba mangiare qualcosa».
«Sono le stesse parole che ti ho detto io» gli ricordò Robin, «la sera in cui eri... e poi siamo finiti a mangiare un kebab... e io» continuò con compostezza, «non voglio un kebab».
«Be’» disse Strike, «siamo a Londra. Probabilmente riusciremo a trovarti qualcosa che non sia un kebab».
«Mi piacciono le patatine» disse Robin, e lui andò a prenderne.
«Cos’è successo?» ripeté, appena tornato. Dopo pochi secondi passati a guardarla lottare col sacchetto, lo prese e glielo aprì.
«Niente, stanotte vado a dormire in un Travelodge, tutto qui».
«Un Travelodge».
«Sì. Ce n’è uno in... ce n’è uno...»
Abbassò gli occhi sul cellulare spento e si rese conto che la sera prima aveva dimenticato di metterlo in carica.
«Non mi ricordo dov’è» disse. «Ma tu puoi lasciarmi qui, sto bene» aggiunse, frugando nella sacca in cerca di qualcosa con cui soffiarsi il naso.
«Certo» disse lui gravemente. «Ora che ti ho vista sono tranquillo...»
«Sto bene» insisté lei orgogliosamente. «Domani sarò regolarmente al lavoro, aspetta e vedrai».
«Credi che sia venuto a cercarti perché mi preoccupa il lavoro?»
«Non essere gentile!» grugnì lei, nascondendo il viso nel fazzoletto. «Non lo sopporto! Sii normale!»
«Normale, come?» domandò lui, confuso.
«Sco... scorbutico e poco co... comunicativo...»
«E cosa vorresti che comunicassi?»
«Niente» mentì lei. «Pensavo soltanto... mantenere le cose sul piano professionale...»
«Cos’è successo fra te e Matthew?»
«Cosa succede fra te ed Elin?» domandò lei di rimando.
«E questo cosa c’entra?» chiese lui.
«È la stessa cosa» disse lei in modo vago, scolando il terzo bicchiere. «Ne vorrei un altro...»
«Stavolta avrai un analcolico».
Robin esaminò il soffitto, mentre lo aspettava. C’erano dipinte scene di teatro: Bottom saltellante con Titania fra un gruppo di fate.
«Le cose con Elin stanno andando bene» le disse Strike quando tornò a sedersi, dopo aver deciso che uno scambio d’informazioni era il modo migliore per indurla a parlare dei suoi problemi. «Mi sta bene tenere le cose un po’ sotto traccia. Lei ha una figlia e non vuole che la frequenti. Un divorzio rognoso».
«Oh» fece di nuovo Robin, strizzando gli occhi da sopra il bicchiere di Coca. «Come l’hai conosciuta?»
«Grazie a Nick e Ilsa».
«E loro come l’hanno conosciuta?»
«Non la conoscono. Avevano dato una festa e lei è arrivata con il fratello. È un medico, lavora con Nick. Non l’avevano mai vista prima».
«Oh» disse di nuovo Robin.
Per un momento aveva dimenticato i suoi guai, distratta da quella visione del mondo privato di Strike. Così normale, così insignificante! Una festa e lui aveva attaccato bottone con la bella bionda. Strike piaceva alle donne: lei se n’era accorta in quei mesi di lavoro insieme. Non si era resa conto del suo fascino quando aveva cominciato a lavorare per lui. Era così diverso da Matthew.
«A Ilsa piace Elin?» domandò Robin.
Strike fu colpito da quella dimostrazione d’intuito.
«Eh... boh, penso di sì» mentì.
Robin sorseggiò la Coca.
«Okay» disse Strike, stentando a frenare l’impazienza, «ora tocca a te».
«Abbiamo rotto» disse Robin.
La tecnica dell’interrogatorio suggerì a Strike di rimanere in silenzio e dopo un minuto o poco più quella decisione diede frutto.
«Lui... mi ha detto una cosa» riprese lei. «La notte scorsa».
Strike aspettò.
«E non posso tornare indietro da quella cosa. Da quella no».
Era pallida e calma, ma Strike percepì la sua angoscia dietro le parole. Aspettò ancora.
«È andato a letto con un’altra» disse Robin a voce bassa e tesa.
Ci fu una pausa. Lei prese il sacchetto di patatine, si accorse che l’aveva vuotato e tornò a posarlo sul tavolo.
«Cazzo» disse Strike.
Era sorpreso: non del fatto che Matthew fosse andato a letto con un’altra, ma che lo avesse confessato. La sua impressione del bel contabile era quella di un uomo capace di gestire la propria vita come voleva, di tenere separate le cose quando era necessario.
«E non una sola volta» continuò Robin, sullo stesso tono teso. «La cosa è andata avanti per mesi. Con una persona che conosciamo entrambi. Sarah Shadlock. Una sua vecchia amica fin dall’università».
«Cristo» disse Strike. «Mi spiace».
Era dispiaciuto, sinceramente dispiaciuto, per il dolore di lei. La rivelazione però aveva fatto sì che altri sentimenti – sentimenti che di solito teneva a freno, ritenendoli fuorvianti e pericolosi – si agitassero in lui, quasi a saggiare la loro forza contro le costrizioni che li vincolavano.
Non fare il coglione, disse a se stesso. È una cosa che non può succedere. Sarebbe un disastro.
«Cosa lo ha spinto a dirtelo?» domandò Strike.
Lei non rispose, ma la domanda le fece rivivere la scena con impressionante vividezza.
Il loro salotto color magnolia era davvero troppo minuscolo per contenere una coppia in un simile stato di agitazione. Erano tornati dallo Yorkshire sulla Land Rover che Matthew non avrebbe voluto. A un certo punto, un Matthew furente aveva asserito che era soltanto una questione di tempo prima che Strike le facesse delle avance e, quel che è peggio, sospettava che lei le avrebbe gradite.
«È un mio amico e basta!» aveva urlato lei a Matthew da un’estremità del loro divano da due soldi, le borse del fine settimana ancora in corridoio. «Come fai a pensare che mi ecciti il fatto che abbia una gamba...»
«Sei una povera ingenua!» aveva mugghiato lui. «È tuo amico finché non cerca di portarti a letto, Robin...»
«Chi sei tu per giudicarlo? Tu cosa fai, non vedi l’ora di saltare addosso alle tue colleghe?»
«Ovvio che no, ma tu lo adori, cazzo... lui è un uomo, e in ufficio ci siete soltanto voi due...»
«È un mio amico, come tu sei amico di Sarah Shadlock... Non per questo voi due...»
Gliel’aveva letto in faccia. Un’espressione che non gli aveva mai visto prima l’aveva velata come un’ombra. Il senso di colpa gli era passato materialmente sugli alti zigomi, sul mento pulito, sugli occhi nocciola che lei aveva amato per anni.
«... l’avete fatto?» aveva detto Robin, la voce d’improvviso colma di stupore. «Lo avete fatto?»
Lui aveva esitato troppo a lungo.
«No» aveva risposto con forza, come un film in pausa che riparte. «Certo che n...»
«Sì, invece. Ci sei andato a letto».
Glielo leggeva in faccia. Lui non credeva nell’amicizia uomo-donna perché non l’aveva mai sperimentata. Sì, lui e Sarah erano andati a letto insieme.
«Quando?» aveva domandato Robin. «Non... sarà stato allora?»
«Io non...»
Ascoltò la fiacca protesta di un uomo che sapeva di aver perso, che aveva addirittura voluto perdere. Che l’aveva assillata tutta la notte e tutto il giorno: in qualche modo, aveva voluto che Robin sapesse.
La strana calma di lei, più di stupefazione che di accusa, lo aveva indotto a dirle tutto. Sì, era stato allora. Ne soffriva orribilmente, ne aveva sempre sofferto... ma lui e Robin non andavano più a letto insieme in quel periodo e, una notte, Sarah era andata a consolarlo e, be’, la cosa gli era sfuggita di mano...
«Lei consolava te?» aveva ripetuto Robin. La rabbia era arrivata, alla fine, strappandola al suo stato di incredulo stupore. «Lei consolava te?»
«Era un momento difficile anche per me, cosa credi!» aveva esclamato Matthew.
Strike guardava Robin che scuoteva il capo in modo meccanico, cercando di chiarirsi le idee, ma i ricordi l’avevano fatta arrossire e i suoi occhi erano tornati a luccicare.
«Cosa hai detto?» domandò a Strike, confusa.
«Chiedevo cosa lo ha spinto a confessare».
«Non lo so. Stavamo litigando. Lui pensa...» Tirò un lungo respiro. Due terzi di una bottiglia di vino a stomaco vuoto la stavano portando a emulare l’onestà di Matthew. «Non crede che tu e io siamo soltanto amici».
La cosa non sorprendeva Strike. Aveva scorto il sospetto in ogni occhiata che Matthew gli aveva rivolto, sentito la sua insicurezza in ogni frecciatina che gli aveva indirizzato.
«Allora» continuò Robin con voce incerta, «ho ribadito che noi siamo soltanto amici, e che lui stesso ha un’amicizia platonica con la cara vecchia Sarah Shadlock. Così è venuto fuori tutto. Lui e Sarah hanno avuto una storia all’università mentre io ero... mentre io ero a casa».
«Così tanto tempo fa?» disse Strike.
«Pensi che non mi debba importare perché è successo sette anni fa?» domandò lei. «Anche se ha mentito fin da allora e continuiamo a frequentarla?»
«Mi sorprende soltanto» disse Strike in tono pacato, rifiutando di farsi trascinare in una disputa, «che lui l’abbia ammesso dopo tutto questo tempo».
«Ah» disse Robin. «Be’, si vergognava. Per via del momento in cui è successo».
«All’università?» disse Strike, confuso.
«È successo dopo che io ho lasciato l’università» precisò Robin.
«Ah» disse Strike.
Non avevano mai parlato del perché lei avesse lasciato la facoltà di psicologia e fosse tornata a Masham.
Robin non aveva mai voluto raccontare a Strike quella storia, ma tutti i propositi erano allo sbando quella sera nel piccolo mare di alcol con cui lei aveva riempito il suo corpo stanco e affamato. Cosa importava, adesso, se gli diceva tutto? Senza quella informazione, lui non avrebbe avuto il quadro preciso né sarebbe stato in grado di consigliarla. Lei faceva affidamento su Strike, si rese conto confusamente, perché la aiutasse. Le piacesse o no – gli piacesse o no – Strike era il suo migliore amico a Londra. Non aveva mai guardato in faccia quella realtà, fino a quel momento. L’alcol ti tiene a galla e ti schiarisce la vista. Si dice in vino veritas, no? Strike lo avrebbe saputo. A volte, stranamente, gli capitava di fare qualche citazione in latino.
«Io non volevo lasciare l’università» disse Robin lentamente, la testa che le girava, «ma è successa una cosa e dopo ho avuto dei problemi...»
Non andava bene. Non si capiva.
«Stavo rientrando dopo essere stata da un’amica, in un altro pensionato studentesco» disse. «Non era tardi... saranno state le otto... ma avevano diramato un avviso su di lui – ai telegiornali locali...»
No, nemmeno così. Troppi particolari. Doveva dare una piatta enunciazione dei fatti, non soffermarsi su ogni cosa, come se fosse in tribunale.
Tirò un lungo respiro, guardò Strike in faccia e si accorse che stava cominciando a capire. Rinfrancata dal pensiero di non dover spiegare tutto, domandò:
«Per favore, potrei avere delle altre patatine?»
Quando tornò dal bar, Strike gliele porse in silenzio. A Robin non piacque l’espressione del suo volto.
«Non pensarci... non fa alcuna differenza!» gli disse in tono disperato. «Si tratta di venti minuti della mia vita. È una cosa che mi è successa. Non sono io. Non mi definisce!»
Strike intuì che erano frasi che aveva imparato a far sue in una qualche terapia. Lui aveva parlato con delle vittime di stupro. Conosceva il genere di parole che venivano suggerite per dare un senso a qualcosa che, per una donna, era incomprensibile. Un sacco di cose su Robin trovavano una spiegazione adesso. Il lungo attaccamento a Matthew, per esempio: l’affidabile ragazzo di casa.
Ma Robin, sbronza, lesse nel silenzio di Strike quel che aveva più temuto: un cambiamento nel modo in cui lui la vedeva, da eguale a vittima.
«Non fa differenza» ripeté lei con rabbia. «Sono sempre la stessa!»
«Questo lo so» disse lui, «ma cazzo, è una cosa orribile che ti è successa».
«Be’, sì... è vero...» mormorò lei, addolcita. Poi, tornando a infervorarsi: «La mia testimonianza lo ha incastrato. Avevo notato dei particolari di lui mentre... Aveva quella macchia bianca sotto l’orecchio – la chiamano vitiligine – e una delle sue pupille era fissa, dilatata».
Adesso balbettava leggermente, divorando il terzo sacchetto di patatine.
«Ha cercato di strozzarmi; io mi sono afflosciata e ho finto d’esser morta e lui è scappato. Aveva aggredito altre due ragazze indossando la maschera e nessuna di loro aveva saputo dire niente alla polizia. È stata la mia testimonianza a farlo arrestare».
«La cosa non mi sorprende» disse Strike.
Questo commento di Strike le piacque. Finì le patatine, in silenzio.
«Solo che, dopo, non riuscivo più a lasciare la mia stanza» continuò Robin, come se non ci fosse stata alcuna interruzione. «Alla fine, l’università mi ha mandato a casa. Pensavo di perdere al massimo un semestre... ma non ci sono più tornata».
Robin rifletté, fissando il vuoto. Matthew le aveva raccomandato di starsene a casa. Quando l’agorafobia era passata, e ci era voluto più di un anno, lei aveva cominciato ad andarlo a trovare nella sua università di Bath, per passeggiare mano nella mano fra le dimore in pietra tenera dei Cotswolds, fra le strade a mezzaluna stile Regency, lungo le sponde alberate del fiume Avon. Ogni volta che erano usciti con i suoi amici, c’era sempre anche Sarah Shadlock, che si sbellicava alle battute di Matthew, gli toccava il braccio, portava costantemente la conversazione sui bei giorni in cui loro se la spassavano e Robin, la noiosa fidanzatina del paese, non c’era...
Mi consolava. Era un momento difficile anche per me, cosa credi!
«Okay» disse Strike, «dobbiamo cercare un posto dove farti passare la notte».
«Vado al Travel...»
«No».
Non voleva che dormisse in un posto dove chiunque poteva girare per i corridoi, o entrare senza controllo. Forse stava diventando paranoico, ma la voleva in un posto dove un suo eventuale urlo non si sarebbe perso fra le grida avvinazzate di un addio al celibato.
«Potrei dormire in ufficio» disse Robin, ondeggiando nel tentativo di alzarsi; lui l’afferrò per un braccio. «Se hai ancora quel lettino da campeggio...»
«Non dormirai in ufficio» disse Strike. «Conosco io un buon posto. Ci stavano i miei zii quando sono venuti a vedere Trappola per topi. Su, dammi la sacca».
Già una volta aveva messo il braccio sulle spalle di Robin, ma era una situazione molto diversa: l’aveva usata come bastone per sostenersi. Stavolta era lei che non riusciva a procedere in linea retta. Strike la prese per la vita e lasciarono il pub.
«A Matthew» disse Robin mentre si avviavano, «non piacerebbe per niente».
Strike non rispose. Nonostante tutto quello che aveva sentito, lui non era sicuro come Robin che la loro storia fosse finita. Erano stati insieme nove anni e c’era un abito da sposa pronto che la aspettava a Masham. Era stato attento a non esprimere giudizi su Matthew che Robin avrebbe potuto riportare al suo ex fidanzato alla ripresa delle ostilità, che ci sarebbe sicuramente stata. I legami annodati in nove anni non potevano essere annientati in una sola notte. Quella sua reticenza era per il bene di Robin più che per il proprio. Lui non aveva paura di Matthew.
«Chi era quell’uomo?» domandò Robin, torpida, dopo che avevano percorso un centinaio di metri in silenzio.
«Quale uomo?»
«L’uomo di stamattina... Ho pensato che potesse essere quello della gamba... Mi ha spaventata a morte».
«Ah... è Shanker. Un vecchio amico».
«È terrificante».
«Shanker non ti farebbe mai del male» la rassicurò Strike. Poi, come se avesse avuto un ripensamento: «Ma non lasciarlo mai da solo in ufficio».
«Perché no?»
«Si porterebbe via qualunque cosa che non è inchiodata. È uno che non fa niente per niente».
«Dove l’hai conosciuto?»
La storia di Shanker e Leda li tenne impegnati per tutto il tragitto fino a Frith Street, dove pacifiche villette a schiera li fissavano dall’alto trasudando dignità e ordine.
«Qui?» disse Robin, fissando a bocca aperta l’Hazlitt’s Hotel. «Non posso stare qui... costerà una fortuna!»
«Pago io» disse Strike. «Considerala la tua gratifica annuale. Non discutere» aggiunse mentre la porta si apriva e un giovanotto sorridente arretrava di un passo per farli entrare. «È colpa mia se hai bisogno di un posto sicuro».
L’ingresso rivestito di legno era accogliente, sembrava una casa privata. C’era un solo ingresso e nessuno poteva aprire la porta dall’esterno.
Dopo aver dato la carta di credito al giovanotto, Strike guardò la vacillante Robin ai piedi delle scale.
«Domattina puoi prendere ferie, se vuoi...»
«Sarò in ufficio alle nove» disse lei. «Cormoran, grazie di... di...»
«Nessun problema. Dormi bene!»
Frith Street era tranquilla quando Strike si chiuse la porta dell’Hazlitt’s alle spalle. Si avviò, le mani sprofondate nelle tasche, perso nei suoi pensieri.
Era stata stuprata e lasciata per morta. Porca troia.
Otto giorni prima, qualche bastardo le aveva mandato una gamba di donna mozzata e lei non aveva detto una parola sul suo passato, non aveva chiesto di prendere delle ferie, non si era discostata di un millimetro dalla professionalità assoluta di cui dava prova al lavoro ogni mattina. Era stato lui, senza conoscere la sua storia, a insistere perché si portasse dietro il miglior allarme esistente sul mercato, a vietarle di prendere iniziative dopo il tramonto, a chiamarla a intervalli regolari durante la giornata di lavoro...
Nel preciso momento in cui Strike si rese conto di stare andando in direzione opposta a Denmark Street, vide un uomo imberrettato a una ventina di metri di distanza, appostato all’angolo di Soho Square. La punta aranciata della sigaretta sparì in un attimo, l’uomo si voltò e cominciò ad allontanarsi frettolosamente.
«Scusi!» lo chiamò Strike.
La sua voce echeggiò nel silenzio dell’incrocio, e lui accelerò il passo. L’uomo col berretto di lana non si voltò a guardare, ma prese a correre.
«Ehi!»
Anche Strike si mise a correre, il ginocchio che protestava a ogni sobbalzo. Il suo bersaglio guardò indietro una volta, poi svoltò di colpo a sinistra. Strike lo inseguì più svelto che poteva. Imboccando Carlisle Street, Strike vide davanti a sé la ressa all’entrata del Toucan e si chiese se il suo uomo si fosse ficcato lì in mezzo. Ansante, passò di corsa davanti ai clienti del pub, arrivò all’incrocio con Dean Street e girò su se stesso, cercando la sua preda. Poteva scegliere se voltare a destra, a sinistra o andare dritto continuando per Carlisle Street: ogni via offriva una moltitudine di portoni e seminterrati in cui l’uomo imberrettato poteva essersi nascosto, sempreché non fosse salito al volo su un taxi di passaggio.
«Cazzo» borbottò Strike. Il moncherino gli doleva dove sfregava contro la protesi. Gli era rimasta solo un’impressione di grande altezza e di vasta mole, un giaccone e un berretto neri e la circostanza sospetta che l’uomo fosse scappato quando Strike l’aveva chiamato, prima che potesse chiedergli l’ora, o da accendere, o un’indicazione.
Si guardò intorno e girò a destra in Dean Street. Il traffico gli frusciava accanto in entrambi i sensi di marcia. Per quasi un’ora Strike continuò ad aggirarsi furtivamente, esplorando anditi e seminterrati. Sapeva che era quasi certamente un’impresa folle, ma se – se – lui e Robin erano stati seguiti dall’uomo della gamba, si trattava chiaramente di un bastardo spericolato che l’infruttuoso inseguimento di Strike non avrebbe convinto a desistere.
Uomini in sacco a pelo lo guardarono muoversi più vicino a loro di quanto osassero fare i normali passanti; per due volte spaventò dei gatti nascosti dietro i bidoni della spazzatura, ma l’uomo col berretto di lana era sparito.