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Nighttime flowers, evening roses,
Bless this garden that never closes.
Blue Öyster Cult, Tenderloin43
Il morale di Robin si risollevò il giorno dopo, grazie a uno splendido mattino primaverile che la salutò appena mise piede fuori casa. Fu ben attenta a non abbassare mai la guardia nella metropolitana verso Tottenham Court Road, ma non vide traccia di uomini grossi col berretto. Quella che saltava all’occhio nel suo tragitto mattutino era la crescente eccitazione giornalistica per le nozze reali. Kate Middleton era sulla prima pagina di tutti o quasi i quotidiani in mano ai pendolari. Robin sentì ancora più nudo quel punto del suo anulare dove un anello di fidanzamento aveva alloggiato per un anno. Tuttavia, eccitata com’era al pensiero di condividere con Strike i risultati del suo solitario lavoro d’indagine, non si lasciò deprimere.
Era appena uscita dalla stazione di Tottenham Court Road quando sentì un uomo che urlava il suo nome. Per una frazione di secondo temette un’imboscata di Matthew, poi apparve Strike, che si apriva un varco in mezzo alla folla, lo zaino su una spalla. Robin dedusse che aveva passato la notte con Elin.
«’giorno. Come è andato il fine settimana?» le domandò. Poi, prima che Robin potesse rispondere: «Scusa. No. Male, ovviamente».
«Una parte è andata abbastanza bene» disse Robin, mentre si cimentavano nella solita corsa a ostacoli fra transenne e buche nella strada.
«Cos’hai scovato?» domandò Strike, quasi urlando per sovrastare gli eterni martelli pneumatici.
«Scusa?» urlò lei di rimando.
«Cosa. Hai. Scoperto?»
«Come sai che ho scoperto qualcosa?»
«Te l’ho letto in faccia» disse Strike. «Hai la faccia di quando muori dalla voglia di dirmi qualcosa».
Lei sogghignò.
«Mi serve un computer per mostrartelo».
Svoltarono in Denmark Street. Un uomo vestito completamente di nero era fermo davanti alla porta del loro ufficio e aveva in mano un gigantesco mazzo di rose rosse.
«Oh, Dio santo» ansimò Robin.
Uno spasmo di terrore che svanì subito: la sua mente aveva temporaneamente cancellato il fascio di fiori e visto soltanto l’uomo in nero... ma non era quel fattorino, ovviamente. Questo, vide Robin avvicinandosi, era un giovane con i capelli lunghi, un fattorino Interflora senza casco. Strike sospettò che il ragazzo non avesse mai consegnato cinquanta rose rosse a un destinatario meno entusiasta.
«È stato suo padre» disse Robin cupamente, mentre Strike le teneva aperta la porta e lei entrava senza mostrare alcun riguardo per quello sfoggio floreale dondolante. «‘A tutte le donne piacciono le rose’ gli avrà detto. Un mazzo di fiori e via andare».
Strike la seguì su per la scala metallica, divertito ma badando di non darlo a vedere. Aprì la porta dell’ufficio e Robin lo attraversò per andare alla scrivania e posarci sopra il mazzo in malo modo: le rose tremolarono nel loro sacchetto d’acqua verdastra. Attaccato al fiocco c’era un biglietto. Lei non voleva aprirlo davanti a Strike.
«Allora?» domandò lui, appendendo lo zaino all’attaccapanni accanto alla porta. «Cos’hai scoperto?»
Prima che Robin potesse aprir bocca, si sentì bussare alla porta. La silhouette di Wardle era facilmente riconoscibile al di là del vetro smerigliato: i capelli folti, il giubbotto di pelle.
«Ero in zona. Non è troppo presto, eh? Quello del piano di sotto mi ha fatto entrare».
Gli occhi di Wardle andarono immediatamente alle rose sulla scrivania di Robin.
«Compleanno?»
«No» tagliò corto lei. «Qualcuno vuole un caffè?»
«Ci penso io» disse Strike, andando verso il bollitore e continuando a parlare con Robin. «Wardle ha qualcosa da mostrarci».
L’entusiasmo di Robin si spense: era la stessa cosa che aveva trovato lei? Perché non aveva chiamato Strike sabato sera, quando aveva fatto la scoperta?
Wardle si sedette sul divano di finta pelle che, non appena ci si sedeva qualcuno al di sopra di un certo peso, emetteva possenti scorregge. Palesemente sorpreso, il poliziotto si riposizionò con cautela e aprì una cartella.
«Si è scoperto che Kelsey postava su un sito web per persone che volevano amputarsi degli arti» disse Wardle a Robin.
Robin era seduta al suo posto di sempre dietro la scrivania. Le rose le impedivano di vedere Wardle; spazientita, le posò sul pavimento accanto a sé.
«Parlava di Strike» continuò Wardle. «Ha chiesto se c’era qualcuno che sapeva qualcosa di lui».
«Usava il nickname Senzaritorno?» domandò Robin, cercando di mantenere un tono disinvolto. Wardle la guardò esterrefatto, e Strike si voltò, un cucchiaino sospeso a mezz’aria.
«Sì» rispose il poliziotto, fissandola. «Come fa a saperlo?»
«Ho trovato quel messaggio nel forum» disse Robin. «Ho pensato che Senzaritorno potesse essere la ragazza che ha scritto la lettera».
«Cristo» disse Wardle, spostando lo sguardo da Robin a Strike. «Dovremmo darle un lavoro».
«Ce l’ha già» disse Strike. «Continua. Kelsey comunicava...»
«Sì, be’, ha scambiato indirizzi e-mail con quei due tizi. Niente di particolarmente utile, ma stiamo cercando di stabilire se si sono visti... nella vita reale, cioè» disse Wardle.
Strike porse a Wardle e a Robin i caffè, poi andò nel suo ufficio interno per prendere una sedia, preferendo non condividere il divano scorreggiante con Wardle.
Quando tornò, Wardle stava mostrando a Robin delle foto di due persone prese da Facebook.
La ragazza esaminò ciascuna delle foto attentamente, poi le passò a Strike. Una era di una giovane tozza con la faccia tonda e pallida, capelli neri a caschetto e occhiali. L’altra mostrava un uomo dai capelli chiari, sulla ventina, con occhi asimmetrici.
«Lei nel suo blog dice di essere ‘transabile’, qualunque cosa voglia dire, e lui in tutti i forum chiede di essere aiutato ad amputarsi dei pezzi. Sono tutt’e due malati nella testa, dico io. Riconoscete qualcuno dei due?»
Strike scosse la testa, lo stesso fece Robin. Wardle sospirò e riprese i fogli.
«Ci ho provato».
«Si sa se ha frequentato qualche uomo? Un ragazzo, un professore?» domandò Strike, ripensando alle domande che gli erano venute in mente quel sabato.
«Be’, la sorella dice che Kelsey sosteneva di avere un misterioso fidanzato che non le hanno mai permesso di frequentare. Hazel non crede alla sua esistenza. Abbiamo parlato a un paio di compagni di Kelsey e nessuno di loro ha mai visto un fidanzato, ma continuiamo a cercare.
«A proposito di Hazel» continuò Wardle, prendendo il caffè e bevendone un sorso prima di continuare. «Le ho detto che avrei trasmesso il suo messaggio. Vorrebbe incontrarti».
«Incontrare me?» disse Strike, sorpreso. «Perché?»
«Non so» rispose Wardle. «Credo che desideri scusarsi con tutti. È veramente a pezzi».
«Scusarsi?»
«È tormentata dai sensi di colpa perché ha sempre considerato la faccenda della gamba come una stravaganza e un modo per attirare l’attenzione, e pensa che sia per questo che Kelsey si è rivolta ad altri».
«Lo sa che non le ho mai risposto? Che non ho mai avuto contatti con lei?»
«Sì, sì, gliel’ho spiegato. Vuole parlare con te lo stesso. Non so» disse Wardle con una leggera impazienza, «ti hanno mandato la gamba di sua sorella... sai com’è la gente quando è in stato di shock. E poi tu sei tu, no?» disse Wardle, con una punta di stizza nella voce. «Penserà che il Supereroe risolverà il caso mentre la polizia non ci capisce un cazzo».
Robin e Strike evitarono di guardarsi e Wardle aggiunse a denti stretti: «Avremmo potuto trattarla meglio, quella Hazel. Secondo lei, i nostri ragazzi hanno interrogato il suo compagno con un po’ troppa aggressività. E lei s’è messa sulla difensiva. Forse le piace l’idea di tirarti dalla sua parte: l’investigatore che ha già salvato una povera innocente dalla galera...»
Strike decise di ignorare l’implicito atto di scusa celato in quelle parole.
«Ovviamente dovevamo interrogare il tipo che vive con lei» aggiunse Wardle a beneficio di Robin. «È routine».
«Sì» disse Robin. «Naturalmente».
«Nessun altro uomo nella sua vita, oltre al partner della sorella e quel presunto fidanzato?» domandò Strike.
«Vedeva un consulente, un nero magro sulla cinquantina che nel fine settimana in cui lei è morta era in visita a una famiglia di Bristol, e c’era il capo di un’associazione religiosa giovanile di nome Darrell» disse Wardle, «un ciccione in salopette. Ha pianto come un vitello durante tutto l’interrogatorio. Era regolarmente in chiesa la domenica; per il resto non ha alibi, ma non riesco proprio a immaginarmelo con una mannaia in mano. Questo è tutto quello che sappiamo. Nel suo corso erano quasi tutte femmine».
«Nessun ragazzo nell’associazione religiosa?»
«Anche lì, quasi tutte donne. Il ragazzo più vecchio ha quattordici anni».
«Come vede la polizia il fatto che io parli con Hazel?» domandò Strike.
«Non possiamo impedirtelo» rispose Wardle, facendo spallucce. «Io sono favorevole, se resta inteso che ci passerai ogni informazione utile, anche se dubito che ci sia ancora qualcosa da sapere. Abbiamo interrogato tutti, abbiamo ispezionato la stanza di Kelsey, abbiamo il suo portatile e sono pronto a scommettere che nessuno di quelli con cui abbiamo parlato sa niente. Pensavano tutti che fosse in un pensionato per studenti».
Dopo i ringraziamenti per il caffè e un sorriso particolarmente caldo per Robin, a stento ricambiato, Wardle se ne andò.
«Non una parola su Brockbank, Laing o Whittaker» borbottò Strike, non appena il rumore dei passi di Wardle non fu più udibile. «E tu non mi hai mai detto che stai cercando su Internet» aggiunse rivolto a Robin.
«Non avevo prove che fosse la stessa ragazza che ha scritto la lettera» disse Robin, «ma ho pensato che Kelsey potesse aver cercato aiuto online».
Strike si alzò in piedi, prese la tazza dalla scrivania e stava andando verso la porta quando Robin disse, indignata: «Non t’interessa sapere cosa volevo dirti?»
Lui si girò, sorpreso.
«Non era tutto?»
«No!»
«Be’?»
«Penso di aver trovato Donald Laing».
Strike non aprì bocca, era rimasto fermo, inespressivo, una tazza in ogni mano.
«Hai... cosa? Come?»
Robin accese il computer, invitò Strike ad avvicinarsi e cominciò a digitare. Lui le girò dietro per guardare da sopra la sua spalla.
«Per prima cosa» disse Robin, «ho dovuto imparare a scrivere correttamente ‘artrite psoriasica’. Poi... guarda qua».
Aveva aperto una pagina dell’associazione JustGiving. In una piccola foto in testa alla pagina c’era un uomo.
«Porco demonio, è lui!» disse Strike, a voce così alta che Robin fece un sobbalzo. Strike posò le tazze e tirò la sedia vicino alla scrivania per guardare lo schermo. Così facendo, calpestò le rose di Robin.
«Merda... scusa...»
«Non m’importa» disse Robin. «Siediti, poi le metto via».
Si mosse con la sedia girevole per fare posto a Strike.
Era una piccola foto, che Strike ingrandì cliccandoci sopra. Lo scozzese era in piedi su un minuscolo balcone con una balaustra di fitta erba verdognola, serio in volto, con una stampella sotto il braccio destro. I corti capelli ispidi gli nascevano bassi sulla fronte, ma nel corso degli anni si erano scuriti e non erano più rossicci come pelo di volpe. Ben rasata, la pelle era butterata. Non aveva la faccia così gonfia come nella foto di Lorraine, ma aveva messo su peso dai giorni in cui era stato muscoloso come un Atlante di marmo e aveva morsicato Strike in faccia. Indossava una T-shirt gialla e sull’avambraccio sinistro c’era la rosa tatuata, che però aveva subito una modifica: adesso era trafitta da uno stiletto e delle gocce di sangue cadevano dai petali verso il polso. Dietro Laing, sul balcone, si vedevano sfocate finestre nere e grigio-argentee disposte in modo irregolare.
Aveva usato il suo vero nome:
Donald Laing, appello per raccolta di fondi
Sono un veterano britannico malato di artrite psoriasica.
Sto raccogliendo fondi per la ricerca sull’artrite.
Vi prego di dare quel che potete.
La pagina era stata creata tre mesi prima. Aveva raccolto lo zero per cento del migliaio di sterline che aveva fissato come obiettivo.
«Non dice un cazzo di cosa farà dei soldi» osservò Strike. «Datemeli e basta».
«Non a lui» lo corresse Robin dal pavimento, dove stava asciugando con dello scottex l’acqua uscita dai fiori. «Li raccoglie per la ricerca».
«Così dice».
Strike stava studiando lo sfondo dietro le spalle di Laing.
«Ti ricordano qualcosa? Quelle finestre?»
«Da principio ho pensato al Gherkin, il Cetriolo» disse Robin, buttando lo scottex zuppo nel cestino e alzandosi in piedi, «ma le forme sono diverse».
«Non dice niente di dove vive» disse Strike, cliccando dappertutto nella pagina per vedere se era possibile scoprire altre informazioni. «JustGiving avrà pure delle coordinate da qualche parte...»
«Non si pensa mai che i cattivi si ammalino» disse Robin.
Guardò l’orologio.
«Tra un quarto d’ora devo pedinare Platinum. È meglio che vada».
«Sì» disse Strike, continuando a fissare l’immagine di Laing. «Resta in contatto e... ah, sì: devi fare una cosa».
Tirò fuori il cellulare dalla tasca.
«Brockbank».
«Allora pensi ancora che possa essere lui?» disse Robin, bloccandosi nell’atto di indossare la giacca.
«Forse. Dovresti chiamarlo: continua con la storia di Venetia Hall, avvocato specializzato in lesioni personali».
«Oh, okay» disse lei prendendo il proprio cellulare e memorizzando il numero che lui le mostrava, ma, sotto i suoi modi disinvolti, esultava intimamente. Venetia era stata una sua idea, una sua creazione, e adesso Strike le stava affidando tutta la linea d’indagine.
Robin era già a metà di Denmark Street, sotto il sole, quando ricordò che assieme alle rose ormai sciupate c’era anche un biglietto e che lei aveva dimenticato di leggerlo.