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The door opens both ways.
Blue Öyster Cult, Out of the Darkness53
«Guarda un po’» disse Elin il lunedì mattina, esterrefatta davanti al televisore con una tazza di cereali in mano. «Roba da non credere!»
Strike era appena entrato in cucina, fresco di doccia e già vestito, dopo l’abituale rendez-vous notturno della domenica. L’ambiente immacolato bianco e crema, le superfici di acciaio inossidabile e le luci soffuse facevano pensare a una sala operatoria dell’era spaziale. Un televisore al plasma era appeso alla parete dietro il tavolo. Sullo schermo c’era il presidente Obama, in piedi dietro un podio, e parlava.
«Hanno ucciso Osama bin Laden!» disse Elin.
«Porca vacca» esclamò Strike, immobilizzandosi per leggere i titoli che scorrevano sotto l’inquadratura.
Indumenti puliti e rasatura avevano migliorato di poco l’aria da cane bastonato dovuta alla stanchezza. Stava cominciando a pagare lo scotto delle ore passate a cercare Laing o Whittaker: aveva gli occhi iniettati di sangue e la pelle che virava al grigio.
Andò verso la caffettiera, riempì una tazza e la tracannò. Per poco non si era addormentato sopra Elin quella notte, e aver portato a termine quell’attività era fra i pochi, piccoli risultati conseguiti nella settimana. Adesso, appoggiato all’isola d’acciaio, guardava l’impeccabile presidente e lo invidiava con tutta l’anima. Lui, almeno, aveva preso il suo uomo.
I particolari divulgati sulla morte di bin Laden furono argomento di conversazione mentre Elin accompagnava Strike all’ingresso della metropolitana.
«Mi domando come facessero a essere sicuri che era lui» disse la donna, fermandosi fuori della stazione, «prima di fare quell’irruzione».
Se l’era chiesto anche Strike. Bin Laden aveva un aspetto fisico peculiare, d’accordo: alto più di uno e novanta... i pensieri di Strike deviarono subito su Brockbank, Laing e Whittaker, fino al momento in cui Elin richiamò la sua attenzione.
«Mercoledì sera ho organizzato un aperitivo con i colleghi, se tu potessi venire...» Sembrava un po’ imbarazzata. «Io e Duncan abbiamo raggiunto un accordo quasi su tutto. Sono stanca di fare le cose di nascosto».
«Mi spiace, non posso» rispose lui. «Ho un sacco di lavori di sorveglianza in corso, lo sai».
Aveva dovuto dirle che i pedinamenti di Brockbank, Laing e Whittaker erano lavori retribuiti, perché in caso contrario lei non avrebbe mai capito quella sua finora sterile ostinazione.
«Okay, bene, allora aspetto che mi chiami tu» disse Elin, e Strike colse, ma decise di ignorare, una punta di freddezza nella sua voce.
Ne vale la pena? si domandò scendendo nella metropolitana, lo zaino sulle spalle. Non pensava agli uomini che stava braccando, ma a Elin. Quello che era iniziato come un piacevole passatempo stava diventando un obbligo. La prevedibilità dei loro incontri – stessi ristoranti, stesse serate – stava cominciando a venirgli a noia, ma adesso che lei proponeva di rompere gli schemi, lui scopriva di non avere entusiasmo. Avrebbe potuto elencare senza riflettere almeno una dozzina di cose che gli sarebbe piaciuto fare in una serata libera, piuttosto che passarla con un gruppetto di presentatori di Radio Three. Dormire era in testa a tutte.
Presto, se lo sentiva, lei avrebbe voluto presentarlo alla figlia. In trentasette anni, Strike era riuscito a evitare la condizione di ‘fidanzato di mamma’. I ricordi degli uomini che avevano attraversato la vita di Leda, alcuni di loro decenti, per la gran parte no – una tendenza che aveva raggiunto il culmine con Whittaker – gli avevano lasciato un sapore amaro che rasentava la nausea. Non desiderava in alcun modo vedere negli occhi di un altro bambino la paura e la diffidenza che aveva letto in quelli di sua sorella Lucy ogni volta che la porta si apriva su un ennesimo sconosciuto. Quale fosse stata la sua espressione, Strike non avrebbe saputo dirlo. Fino a quando ci era riuscito, aveva fatto in modo di chiudere la mente a quella parte della vita di Leda, concentrandosi soltanto sui suoi abbracci e sulle sue risate, sul suo orgoglio materno quando lui riusciva bene in qualcosa.
Mentre arrancava per uscire dalla metropolitana a Notting Hill Gate diretto alla scuola, il suo cellulare fece un bip: la moglie separata di Babbomatto gli aveva mandato un messaggio.
Le ricordo che i bambini oggi non hanno scuola perché è festa. Sono con i nonni. Lui lì non ci va.
Strike imprecò sottovoce. Si era del tutto dimenticato che era festa. Se non altro, adesso era libero di tornare in ufficio, a sbrigare un po’ di arretrati, poi di andare a Catford Broadway finché c’era luce, tanto per cambiare. Si rammaricava soltanto del fatto che il messaggio non fosse arrivato prima di fargli prendere la direzione per Notting Hill.
Quarantacinque minuti dopo, Strike s’inerpicava su per le scale di metallo diretto al suo ufficio e si domandava per l’ennesima volta perché non avesse ancora chiamato l’amministratore dello stabile per fare riparare la gabbia dell’ascensore. Quando arrivò alla porta a vetri del suo ufficio, però, una domanda più urgente sorse spontanea: come mai le luci erano accese?
Strike spinse la porta con tanta forza che Robin, pur avendo sentito il suo faticoso avvicinarsi, sobbalzò sulla sedia. Si fissarono l’un l’altro, lei con aria di sfida, lui d’accusa.
«Cosa ci fai qui?»
«Lavoro» rispose Robin.
«Ti avevo detto di lavorare da casa».
«Ho finito» disse lei, battendo le dita su un fascio di fogli che giacevano sulla scrivania al suo fianco, pieni di appunti scritti a mano e di numeri di telefono. «Questi sono tutti i numeri che sono riuscita a trovare a Shoreditch».
Gli occhi di Strike seguirono la mano, ma ciò che catturò la sua attenzione non fu tanto il plico di fogli scritti ordinatamente che lei gli stava indicando, quanto lo zaffiro dell’anello di fidanzamento.
Ci fu un momento di silenzio. Robin si domandava perché il cuore le martellasse le costole. Era ridicolo mettersi sulla difensiva... erano affari suoi se decideva di sposare Matthew... era anche assurdo che sentisse il bisogno di dirlo a se stessa.
«Vi siete rimessi insieme?» domandò Strike, dandole le spalle per appendere il giubbotto e lo zaino.
«Sì» disse Robin.
Ci fu un altro breve silenzio. Strike si voltò verso di lei.
«Non ho lavoro a sufficienza per te. Siamo ridotti a un solo cliente. Posso pensare a Babbomatto da solo».
Lei strinse gli occhi grigio-azzurri.
«E cosa mi dici di Brockbank, Laing e Whittaker?»
«Cosa c’entrano?»
«Non li stai cercando?»
«Sì, ma questo non è...»
«Quindi come farai a stare dietro a quattro casi?»
«Non sono casi. Nessuno ci paga...»
«Quindi sono una specie di hobby, eh?» disse Robin. «È per hobby che ho cercato i numeri per tutto il fine settimana?»
«Senti... voglio trovarli, è vero» disse Strike, cercando di riordinare i pensieri nonostante la pesante stanchezza e altre, più indefinibili emozioni (erano tornati insieme... lo sapeva che sarebbe potuto succedere... lasciarla a casa, concederle più tempo da passare con Matthew poteva aver aiutato, certo), «però io non...»
«Sei stato piuttosto contento di farti scarrozzare fino a Barrow» continuò Robin, che si era preparata a quella discussione. Sapeva benissimo che lui non la voleva più in ufficio. «Non ti sei preoccupato quando ho interrogato Holly Brockbank e Lorraine MacNaughton, no? Dov’è la differenza?»
«Hai ricevuto un altro pezzo di cadavere, cazzo, ecco dov’è la differenza, Robin!»
Non era stata sua intenzione urlare, ma la sua voce rimbombò tra gli schedari.
Robin restò impassibile. Aveva già visto Strike arrabbiato, l’aveva già sentito imprecare, l’aveva visto prendere a pugni quegli stessi cassetti di metallo pesante. Non le faceva né caldo né freddo.
«Sì» disse con calma, «e mi ha sconvolta. Penso che la maggior parte della gente sarebbe rimasta sconvolta nel ricevere il dito di un piede incollato a un biglietto. Tu stesso non avevi una bella faccia...»
«Sì, ma è proprio per questo che...»
«... stai tentando di seguire quattro casi da solo e mi mandi a casa. Io non ti ho chiesto ferie».
Nell’euforia seguita al ritorno dell’anello al dito, Matthew l’aveva persino aiutata a fare le prove per difendere le sue ragioni. Era stata una cosa quasi incredibile, a ripensarci: lui che faceva la parte di Strike e lei che ripeteva le sue argomentazioni, ma Matthew era stato disponibile a fare qualsiasi cosa, purché Robin acconsentisse a sposarlo il due di luglio.
«Volevo tornare subito a...»
«Il fatto che tu volessi tornare al lavoro» disse Strike, «non significa che questa fosse la cosa migliore per te».
«Oh, non sapevo che fossi un esperto di terapia occupazionale» commentò Robin, con delicato sarcasmo.
«Senti» disse Strike, esasperato dalla sua distaccata razionalità più di quanto lo sarebbe stato dall’ira o dalle lacrime (lo zaffiro lampeggiò di nuovo al suo dito), «io sono il tuo datore di lavoro e sta a me...»
«Pensavo di essere tua socia» disse Robin.
«Non cambia niente» ribatté Strike. «Socia o no, è pur sempre mia responsabilità...»
«Dunque preferisci vedere questa agenzia fallire che farmi tornare a lavorare?» chiese Robin, e un empito di rabbia le colorì la faccia pallida. Pur sentendo di star perdendo terreno, Strike trasse un oscuro piacere nell’accorgersi che la freddezza di lei stava vacillando. «Io ti ho aiutato a metterla in piedi! Stai facendo il suo gioco, tenendomi fuori, trascurando i clienti che pagano per fare le ore piccole...»
«Come fai a sapere che...?»
«Perché hai una faccia da far schifo» disse Robin, e Strike, colto di sorpresa, si mise quasi a ridere per la prima volta in tanti giorni.
«Insomma» proseguì lei in tono perentorio. «O sono tua socia o non lo sono. Se continui a trattarmi come un vaso di porcellana per le occasioni speciali da tirar fuori solo quando pensi che nessuno possa farmi del male, siamo... siamo spacciati. L’agenzia è spacciata. Farei meglio a seguire il consiglio di Wardle...»
«Che consiglio?»
«Di fare domanda in polizia» disse Robin, guardando Strike dritto in faccia. «Questo non è un gioco per me, sai? Non sono una bambina. Sono sopravvissuta a cose ben peggiori che ricevere un dito per posta. Dunque...» Chiamò a raccolta il coraggio. Aveva sperato di non arrivare a un ultimatum. «Decidi. Decidi se sono tua socia o un... un peso. Se non puoi fare affidamento su di me, se non puoi lasciare che io corra i tuoi stessi rischi, allora preferisco...»
La sua voce per poco non si ruppe, ma lei si costrinse a continuare.
«... preferisco togliermi dai piedi» concluse.
Per l’emozione fece ruotare la sedia con un po’ troppo slancio, e invece di tornare a guardare il computer si ritrovò faccia al muro. Dopo aver fatto appello a quel poco di dignità che sentiva ancora in sé, risistemò la sedia davanti al monitor e continuò ad aprire le e-mail, aspettando la risposta di Strike.
Non gli aveva parlato della sua pista. Doveva sapere se era reintegrata come sua socia, prima di condividere il suo bottino o lasciarglielo come regalo d’addio.
«Chiunque sia, è uno che macella le donne per diletto» disse Strike piano, «e ha lasciato intendere chiaramente che vorrebbe farlo anche con te».
«Ci ero arrivata» disse Robin con voce tesa, gli occhi sullo schermo, «ma tu capisci che, se sa dove lavoro, probabilmente sa anche dove vivo, e che se è così implacabile mi seguirà dovunque vada? Non capisci che preferisco di gran lunga aiutarti a prenderlo anziché starmene con le mani in mano ad aspettare che mi salti addosso?»
Non si sarebbe messa a implorare. Ebbe il tempo di eliminare dalla posta in arrivo dodici e-mail indesiderate, prima che lui dicesse, con voce profonda:
«Va bene».
«Va bene che cosa?» domandò lei guardandosi attorno con prudenza.
«Va bene... sei reintegrata».
Lei s’illuminò. Lui non ricambiò il sorriso.
«Ehi, su con la vita» disse Robin, balzando in piedi e facendo il giro della scrivania.
Per un attimo Strike pensò che stesse per abbracciarlo (sembrava così felice e, adesso che lei era di nuovo protetta dall’anello al dito, forse lui era diventato una figura che si poteva abbracciare tranquillamente, un innocuo asessuato), ma Robin stava soltanto andando verso il bollitore.
«Ho trovato una pista» gli disse.
«Davvero?» esclamò lui, ancora sforzandosi di dare un senso alla nuova situazione. (Cosa poteva chiederle di fare, che non fosse troppo pericoloso? Dove poteva mandarla?)
«Sì» disse lei. «Mi sono messa in contatto con una delle persone sul forum BIID dove entrava anche Kelsey».
Con un lungo sbadiglio, Strike si lasciò cadere sul divano di finta pelle, che sotto il suo peso emise le solite sonore flatulenze, e cercò di capire a cosa si riferisse Robin. La carenza di sonno stava mettendo alla prova la sua memoria di solito così capiente e affidabile.
«Il... tizio o la donna?» domandò poi, rammentando vagamente le fotografie che gli aveva mostrato Wardle.
«L’uomo» disse Robin, versando l’acqua bollente sulle bustine di tè.
Per la prima volta da quando si conoscevano Strike si scoprì ad assaporare la possibilità di scoraggiarla.
«Sei entrata nei siti web senza dirmelo? Per giocare con un branco di utenti anonimi senza sapere con chi hai a che fare?»
«Te l’ho detto!» esclamò Robin, indignata. «Avevo scoperto che Kelsey faceva domande sul tuo conto in un forum, non ricordi? Si faceva chiamare Senzaritorno. Te l’ho detto quando c’era qui Wardle. Lui era rimasto molto colpito» aggiunse.
«Lui è anche un passo avanti a te» disse Strike. «Ha interrogato entrambe le persone con cui lei chattava. Senza cavare un ragno dal buco. Non l’hanno mai incontrata. Adesso sta lavorando su un tizio di nome Devotee, che cerca di incontrare donne fuori dal sito».
«So già di Devotee».
«Come?»
«Voleva vedere una mia foto e, quando non gliel’ho mandata, non si è fatto più sentire».
«Cosa fai, ti metti a flirtare con i fuori di testa?»
«Oh, per l’amor di Dio» disse Robin, insofferente. «Ho fatto finta di avere le loro stesse turbe, non lo chiamerei flirtare... e poi non credo che ci sia da preoccuparsi per Devotee».
Passò a Strike una tazza di tè, scurissimo, come lo preferiva lui. Per assurdo, anziché placarlo, lo irritò.
«Dunque pensi che Devotee non c’entri? Cosa te lo fa credere?»
«Ho fatto qualche ricerca sugli acrotomofiliaci fin da quando è arrivata quella lettera indirizzata a te... l’uomo che era fissato con la tua gamba, ricordi? È una parafilia raramente associata alla violenza, penso che con tutta probabilità Devotee sia soltanto uno che si masturba sulla tastiera al pensiero degli aspiranti mutilati».
Incapace di pensare a una forma di risposta a quelle parole, Strike bevve un sorso di tè.
«Comunque» proseguì Robin (il fatto che lui non l’avesse ringraziata per il tè le bruciava un po’), «il tipo con cui Kelsey chattava – un altro che vorrebbe mutilarsi – ha mentito a Wardle».
«In che senso ‘mentito’?»
«Ha incontrato Kelsey».
«Davvero?» disse Strike, con forzata noncuranza. «Come lo sai?»
«Me l’ha detto lui. Era terrorizzato quando il poliziotto lo ha cercato – nessuno della sua famiglia o dei suoi amici sa della sua ossessione – così si è spaventato e ha detto di non aver mai incontrato Kelsey. Temeva che, ammettendo di averla vista, la cosa sarebbe venuta fuori e lui sarebbe stato chiamato a deporre in tribunale.
«Comunque, dopo averlo convinto che ero proprio quella che dicevo di essere, non una giornalista o una poliziotta...»
«Gli hai detto la verità?»
«Sì, ed è stata la cosa migliore che potessi fare, perché ora che si è convinto che sono proprio io, ha accettato di incontrarmi».
«E cosa ti fa pensare che lo farà davvero?» domandò Strike.
«Il fatto che noi abbiamo in mano una carta che la polizia non ha».
«E cioè?»
«Cioè» disse lei freddamente, col desiderio di poter dare una risposta diversa, «te. Jason ha un disperato bisogno di incontrarti».
«Me?» disse Strike, completamente sopraffatto. «E perché?»
«Perché pensa che tu ti sia tagliato la gamba da solo».
«Cosa?»
«Kelsey l’aveva convinto che l’avevi fatto con le tue mani. Lui vuole sapere come».
«Puttana la miseria» disse Strike, «è malato di mente? Certo che sì» si rispose da solo subito dopo. «È completamente malato. Vuole tagliarsi una gamba, cazzo. Puttana la miseria».
«Be’, sai, non è chiaro se il BIID sia una malattia mentale o una sorta di anomalia del cervello» disse Robin. «Se si fa una TAC al cervello di un acrotomo...»
«Come che sia» disse Strike, sventolando una mano per chiudere l’argomento, «cosa ti fa pensare che quel pazzo possa esserci utile?»
«Ha conosciuto Kelsey» disse Robin, spazientita. «E lei gli avrà detto perché era così convinta che tu fossi uno di loro. Ha diciannove anni, lavora in una catena di supermercati di Leeds, ha una zia a Londra e verrà a stare da lei per incontrarsi con me. Stiamo cercando di fissare un appuntamento. Deve capire quando prendere le ferie.
«Senti, sa qualcosa della persona che ha convinto Kelsey che tu ti sei amputato da solo» continuò, delusa e infastidita dalla mancanza di entusiasmo per i risultati del suo lavoro solitario, ma continuando a nutrire la flebile speranza che Strike smettesse di essere così irritabile e così critico, «e questa persona è sicuramente il killer!»
Strike bevve altro tè, lasciando che quanto lei gli aveva detto gli penetrasse nel cervello esausto. Il suo ragionamento non faceva una grinza. Convincere Jason a incontrarla era un risultato notevole. Avrebbe dovuto farle i complimenti. Invece rimase in silenzio a bere tè.
«Se pensi che debba chiamare Wardle e parlarne con lui...» disse Robin con palpabile risentimento.
«No» fece Strike, e la precipitazione con cui rispose procurò a Robin un minimo di soddisfazione. «Fino a quando non avremo sentito... non sprecheremo tempo con Wardle. Glielo diremo dopo che avremo sentito cosa ha da dire quel Jason. Quand’è che viene a Londra?»
«Sta cercando di prendere le ferie; non lo so ancora».
«Uno di noi potrebbe andare a incontrarlo a Leeds».
«Vuol venire lui. Vuole tenere nascosta questa storia a chi lo conosce».
«Okay» disse Strike brusco, sfregandosi gli occhi iniettati di sangue e cercando di architettare un piano che tenesse Robin occupata e al tempo stesso lontana dai pericoli. «Non lo mollare, allora, e comincia a telefonare a quei numeri, vedi se riesci a rintracciare Brockbank».
«Ho già cominciato» rispose lei, e lui percepì la rivolta latente, l’imminente richiesta di tornare in azione.
«E poi» aggiunse Strike pensando velocemente, «dovresti sorvegliare Wollaston Close».
«Per vedere se becco Laing?»
«Esattamente. Non dare nell’occhio, non star fuori dopo il tramonto e, se vedi l’uomo col berretto di lana, taglia la corda immediatamente o fai scattare l’antistupro. Meglio tutt’e due le cose».
Nemmeno le asprezze di Strike potevano attenuare la gioia di Robin per essere di nuovo della partita, una socia dell’agenzia a tutti gli effetti.
Non poteva sapere che Strike credeva e sperava di averla spedita in un vicolo cieco. Aveva sorvegliato giorno e notte gli ingressi al piccolo condominio, cambiando regolarmente posizione, usando gli occhiali da visione notturna per osservare balconi e finestre. Non aveva visto nulla che indicasse che Laing si nascondeva lì: nessuna ombra corpulenta in movimento dietro una tenda, nessun accenno di capelli dall’attaccatura bassa o di occhi neri di furetto, nessuna figura massiccia sulle stampelle o (Strike non dava niente per scontato quando c’era in ballo Donald Laing) con la camminata spavalda da ex pugile quale era. Strike aveva confrontato ogni individuo entrato e uscito dall’edificio con la fotografia di Laing per JustGiving o con il tipo dal berretto di lana, ma non aveva trovato alcuna corrispondenza.
«Sì» disse, «tu occupati di Laing e... dammi metà di quei numeri per Brockbank: ce li dividiamo. Io sto alle costole di Whittaker. Ricordati di aggiornarmi regolarmente, okay?»
Si alzò dal divano.
«Certo» disse Robin, esultante. «Oh, e... Cormoran...»
Lui stava già per entrare nell’ufficio interno, ma si voltò.
«... cosa sono queste?»
Robin aveva in mano le pillole di Accutane che Strike aveva trovato nel cassetto di Kelsey e che aveva lasciato nella vaschetta portaoggetti di lei dopo aver cercato online a cosa servissero.
«Oh, quelle» disse. «Non sono niente».
Un po’ dell’euforia di Robin parve svaporare. Un vago senso di colpa pervase Strike. Sapeva che si stava comportando come uno stronzo. Lei non lo meritava. Cercò di dominarsi.
«Una medicina per l’acne» disse. «Erano di Kelsey».
«Certo... sei stato a casa sua... hai visto sua sorella! Cos’è successo? Cosa ha detto?»
Strike non si sentiva in vena di parlarle di Hazel Furley in quel momento. Gli pareva di aver visto quella donna molto, molto tempo prima, era stanchissimo e si sentiva ancora irragionevolmente aggressivo.
«Niente di nuovo» disse. «Niente d’importante».
«Allora perché hai preso queste pillole?»
«Pensavo che potessero essere degli anticoncezionali... Forse stava facendo qualcosa che sua sorella non doveva sapere».
«Oh» disse Robin. «Allora sono davvero niente...»
Le buttò nella vaschetta.
L’orgoglio spinse Strike a continuare: l’orgoglio puro e semplice. Lei aveva scovato una buona pista e lui non aveva niente, se non un’idea sballata sull’Accutane.
«E ho trovato un foglietto» disse.
«Un cosa?»
«Una specie di contromarca, in un cappotto».
Robin aspettava speranzosa.
«Numero diciotto» disse Strike.
Robin aspettò un’ulteriore spiegazione che non venne. Strike sbadigliò e si dette per vinto.
«Ci vediamo più tardi. Mandami messaggi se trovi qualcosa e per dirmi dove sei».
Entrò nell’ufficio, chiuse la porta e si stravaccò nella poltrona della scrivania. Aveva fatto il possibile per impedirle di tornare per strada. Ora voleva soltanto sentirla uscire.