28

 

... oh Debbie Denise was true to me,

She’d wait by the window, so patiently.

Blue Öyster Cult, Debbie Denise 40
Parole di Patti Smith

«Questo viaggio è stato una completa perdita di tempo. Non è Brittany. Non può essere Brockbank».

Il sollievo di Strike era immenso. I colori di Adam and Eve Street sembravano d’un tratto laccati di fresco, i passanti più gioiosi, più simpatici di quanto fossero stati prima della telefonata di Wardle. Brittany doveva, dopotutto, essere viva. La gamba non era la sua. Strike non aveva colpa.

Robin non parlava. Sentiva un tono di trionfo nella voce di Strike, sentiva il suo sollievo. Lei, naturalmente, non aveva mai conosciuto né visto Brittany Brockbank e anche se era contenta che Brittany fosse salva non poteva dimenticare il fatto che un’altra ragazza era morta in circostanze orribili. Aveva l’impressione che il senso di colpa, dopo aver abbandonato Strike, fosse piombato in grembo a lei. Era stata lei a leggere la lettera di Kelsey e ad archiviarla nel cassetto dei fuori di testa senza rispondere. Sarebbe stato diverso, si domandava Robin, se si fosse messa in contatto con Kelsey e le avesse consigliato di farsi aiutare? O se Strike le avesse telefonato dicendole che lui aveva perso la gamba in guerra, che qualunque cosa potesse aver sentito sulla sua menomazione era una bugia? Il rimorso le rodeva le viscere.

«Sei sicuro?» disse lei dopo un minuto buono di silenzio, entrambi persi nei loro pensieri.

«Sicuro di cosa?» domandò Strike, girandosi a guardarla.

«Che non può essere stato Brockbank».

«Se la gamba non è di Brittany...» cominciò Strike.

«Mi hai appena detto che quella ragazza...»

«Ingrid?»

«Ingrid» ripeté Robin, con una punta d’impazienza, «sì. Mi hai appena raccontato che lei ti ha detto che Brockbank è fissato con te. Ti ritiene responsabile della sua lesione cerebrale e della perdita della sua famiglia».

Strike la guardò, accigliato, pensoso.

«Tutto quello che ti dicevo ieri sera sul killer che vuole denigrarti e sminuire le tue imprese belliche coincide perfettamente con quel che sappiamo di Brockbank» continuò Robin, «e non credi che incontrare quella Kelsey e magari vedere le cicatrici sulla sua gamba, simili a quelle di Brittany, o sentire che lei se la voleva tagliare possa – che so? – avere scatenato qualcosa in lui? Voglio dire» proseguì Robin un po’ esitante, «non sappiamo con precisione quanto la lesione cerebrale...»

«Non ha tutta questa lesione cerebrale» sbottò Strike. «Ha simulato, in ospedale. So che ha simulato».

Robin non disse niente, sedeva dietro il volante e guardava la gente in vena di acquisti fare su e giù per Adam and Eve Street. Li invidiava. Quali che fossero le loro preoccupazioni, probabilmente non includevano mutilazione e assassinio.

«Non hai tutti i torti» disse Strike alla fine. Robin sapeva di avergli guastato la sua personalissima festa. Strike guardò l’orologio. «Andiamo, sarà meglio muoversi se vogliamo arrivare oggi».

I circa venti chilometri fra le due città furono percorsi in fretta. Robin capiva dalla sua espressione accigliata che Strike stava ripensando alla loro conversazione su Brockbank. La strada era anonima, la campagna circostante piatta, siepi e rari alberi accompagnavano il loro passaggio.

«Dunque, Laing?» disse Robin, cercando di scuotere Strike da quella che sembrava una fastidiosa elucubrazione. «Ricordami...»

«Laing, sì» rispose Strike lentamente.

Si era effettivamente perso nei pensieri su Brockbank. Adesso si sforzava di concentrarsi, di riprendersi.

«Be’, Laing ha legato la moglie e usato un coltello su di lei; accusato due volte di stupro da quel che ne so, ma mai condannato... e ha cercato di strapparmi la faccia a morsi sul ring. In pratica, un bastardo violento e infido» disse Strike, «ma, come ti ho detto, sua suocera ipotizza che fosse malato quando è uscito di galera. Dice che è andato a Gateshead, ma non può esserci rimasto a lungo se nel 2008 viveva a Corby con quella donna» disse, guardando di nuovo la mappa per cercare la via dove abitava Lorraine MacNaughton. «Età giusta, giusto arco temporale... vedremo. Se Lorraine non c’è, torniamo dopo le cinque».

Seguendo le indicazioni di Strike, Robin attraversò il centro di Corby, che si rivelò una distesa di cemento e mattoni dominata da un centro commerciale. Un blocco imponente di uffici amministrativi, su cui le antenne si rizzavano fitte come muschio metallico, dominava l’orizzonte. Non c’era una piazza centrale, né un’antica chiesa né ovviamente un ampolloso liceo a graticcio. Corby era stata progettata per accogliere l’ondata di immigrati negli anni Quaranta e Cinquanta; molti edifici avevano un’aria triste e funzionale.

«Metà dei nomi delle strade sono scozzesi» disse Robin, mentre passavano per Argyll Street e Montrose Street.

«La chiamavano Piccola Scozia, no?» disse Strike, notando un’indicazione per Edinburgh House. Aveva sentito che nel suo fulgore industriale Corby aveva avuto la più vasta popolazione scozzese a sud del confine. Croci di Sant’Andrea e leoni rampanti sventolavano sui balconi degli appartamenti. «Si capisce che Laing si sia sentito più a casa sua qui che a Gateshead. Forse aveva dei contatti in zona».

Cinque minuti dopo si ritrovarono nella parte antica della città, i cui vecchi edifici di pietra serbavano traccia del villaggio che Corby era stata prima che arrivassero le acciaierie. Poco dopo Robin e Strike erano in Weldon Road, dove viveva Lorraine MacNaughton.

Le case erano costruite in blocchi di sei, simmetriche a due a due, di modo che gli ingressi fossero fianco a fianco e la disposizione delle finestre fosse invertita. Sopra ogni porta, intagliato nell’architrave di pietra, c’era un nome.

«È qui» disse Strike, indicando Summerfield, che era abbinato a Northfield.

Il giardino di Summerfield era stato coperto di ghiaino. L’erba di Northfield aveva bisogno di una falciata, cosa che ricordò a Robin il suo appartamento di Londra.

«Penso che sia meglio se andiamo insieme» disse Strike, slacciando la cintura di sicurezza. «Probabilmente lei sarà più a suo agio se ci sei anche tu».

Il campanello all’ingresso sembrava guasto, perciò Strike bussò forte con le nocche. Un’esplosione di latrati rabbiosi disse loro che la casa aveva almeno un abitatore vivente. Poi sentirono una voce femminile, irata ma piuttosto inefficace.

«Ssst! Fa’ silenzio! Basta! Ssst! No!»

La porta si aprì e Robin ebbe appena il tempo di vedere la faccia indurita di una donna sulla cinquantina prima che un Jack Russell dal pelo ispido uscisse di casa, ringhiando e latrando, e affondasse i denti nella caviglia di Strike. Fortunatamente per Strike, ma meno per il Jack Russell, le sue zanne incontrarono l’acciaio. Guaì e Robin ne sfruttò lo sgomento bloccandolo con destrezza, agguantandolo per la collottola e sollevandolo. Per la sorpresa di ritrovarsi penzolante a mezz’aria, il cane si immobilizzò.

«Non si morde» disse Robin.

Avendo evidentemente deciso che una donna tanto coraggiosa da sollevarlo era degna di rispetto, il cane le permise di rafforzare la presa, girò a mezz’aria e cercò di leccarle la mano.

«Scusate» disse la donna. «Era di mia madre. È un vero incubo. Però lei gli piace, lo guardi. Miracolo».

I capelli castani lunghi fino alle spalle avevano la ricrescita grigia. Solchi profondi si erano scavati ai lati di una bocca dalle labbra sottili. La donna si appoggiava a un bastone, aveva una caviglia gonfia e fasciata, il piede infilato in un sandalo che lasciava intravedere unghie ingiallite.

Strike si presentò, poi mostrò a Lorraine la patente di guida e un biglietto da visita.

«Lei è Lorraine MacNaughton?»

«Sì» rispose la donna, esitante. I suoi occhi scattarono verso Robin, che le sorrise in modo rassicurante da sopra la testa del Jack Russell: «E lei è... come ha detto?»

«Un detective» rispose Strike, «e volevo sapere se poteva dirmi qualcosa su Donald Laing. I dati telefonici dicono che viveva qui con lei, un paio di anni fa».

«Sì, era qui» disse lei lentamente.

«C’è ancora?» domandò Strike, pur immaginando già la risposta.

«No».

Strike indicò Robin.

«Le spiace se io e la mia collega entriamo a farle qualche domanda? Stiamo cercando di rintracciare il signor Laing».

Ci fu una pausa. Lorraine si mordeva l’interno del labbro, pensosa. Robin cullava il Jack Russell, che ora le leccava entusiasta le dita dove, sicuramente, c’erano tracce di dolce. La gamba sbrindellata dei calzoni di Strike sventolava a una leggera brezza.

«Va bene, entrate» disse Lorraine, e si fece da parte ruotando sul bastone per farli passare.

Lo sciatto soggiorno puzzava di fumo stantio di sigaretta. C’erano innumerevoli tocchi da vecchia signora: rivestimenti per scatole di fazzoletti fatti all’uncinetto, cuscini con gale da pochi soldi e una schiera di orsacchiotti vestiti in modo stravagante sistemati su una lucida credenza. Una parete era dominata dal ritratto di un bambino con grandi occhi vestito da pierrot. A Strike veniva più facile immaginare un torello sdraiato in un angolo che Donald Laing vivere lì.

Una volta dentro, il Jack Russell si dimenò per liberarsi dalle braccia di Robin, poi ricominciò ad abbaiare a Strike.

«Oh, falla finita» borbottò Lorraine. Sprofondando nel divano di velluto marrone stinto, si servì di entrambe le braccia per posare la caviglia bendata su un pouf di pelle, allungò poi la mano di lato per prendere il pacchetto di sigarette e ne accese una.

«La devo tenere sollevata» spiegò, la sigaretta che le ballonzolava in bocca mentre prendeva un posacenere di vetro intagliato già colmo e se lo posava in grembo. «L’infermiera viene tutti i giorni a cambiarmi la fasciatura. Sedetevi».

«Cosa le è successo?» domandò Robin, insinuandosi dietro il tavolino basso per mettersi accanto a Lorraine sul divano. Immediatamente il Jack Russell le balzò al fianco e, per fortuna, smise di abbaiare.

«Mi è caduto addosso un carico di olio delle patatine» disse Lorraine. «Al lavoro».

«Cristo» disse Strike, sistemandosi su un bracciolo. «Le avrà fatto un male cane».

«Sì. Dicono che dovrò stare a casa almeno un mese. Se non altro, non ho dovuto fare tanta strada per andare in infermeria».

Venne fuori che Lorraine lavorava alla mensa del locale ospedale.

«Allora, cos’ha fatto stavolta Donnie?» mormorò Lorraine, buttando fuori il fumo, una volta esaurito l’argomento infortunio. «Un altro furto?»

«Perché dice così?» domandò Strike prudentemente.

«Mi ha derubata» rispose lei.

Robin capì, adesso, che la sua ruvidezza era una facciata. La lunga sigaretta le aveva tremato in bocca mentre lo diceva.

«Quando è successo?» domandò ancora Strike.

«Quando se n’è andato. Mi ha portato via tutti i gioielli. La fede di mia madre, tutto. Lui sapeva cosa significava per me. Un giorno è uscito di casa e non è più tornato. Ho chiamato la polizia, ho pensato che gli fosse capitato qualcosa. Poi mi sono accorta che la mia borsetta era vuota e i miei gioielli erano spariti».

L’umiliazione le bruciava ancora. Le sue guance incavate erano arrossite.

Strike frugò nella tasca interna della giacca.

«Vorrei essere sicuro che stiamo parlando della stessa persona. Questa immagine le è familiare?»

Le porse una delle fotografie che gli aveva dato l’ex suocera di Laing a Melrose. Grande e grosso nel kilt azzurro e giallo, con gli occhi neri da furetto e i capelli rossicci tagliati a zero, Laing si trovava all’esterno di un ufficio di stato civile. Al suo braccio c’era Rhona, larga meno della metà di lui in uno striminzito abito da sposa probabilmente di seconda mano.

Lorraine esaminò la fotografia per un tempo lunghissimo. Alla fine disse:

«Penso che sia lui. Potrebbe esserlo».

«Qui non si vede, ma aveva un grosso tatuaggio, una rosa gialla, sull’avambraccio sinistro» disse Strike.

«Sì» confermò Lorraine con decisione. «Ce l’aveva. È lui».

Fumava, guardando la foto.

«Era stato sposato, vero?» domandò poi, con un leggero tremolio nella voce.

«Non gliel’aveva detto?» chiese Robin.

«No. Mi aveva detto di no».

«Dove l’ha conosciuto?» domandò Robin.

«Al pub» disse Lorraine. «Era abbastanza diverso da così quando l’ho conosciuto».

Si voltò in direzione della credenza dietro di sé e fece un incerto tentativo di alzarsi.

«Posso aiutarla?» si offrì Robin.

«Nel cassetto di mezzo. Dovrebbe esserci una foto».

Il Jack Russell ricominciò ad abbaiare mentre Robin apriva un cassetto che conteneva un’accozzaglia di portatovaglioli, centrini all’uncinetto, cucchiaini ricordo, stuzzicadenti e fotografie sparse. Robin ne tirò fuori quante più poté e le portò a Lorraine.

«Eccolo» disse lei, dopo aver rovistato fra molte fotografie, la maggior parte delle quali mostrava una donna molto anziana. Probabilmente, pensò Robin, la madre di Lorraine. Lorraine passò la foto direttamente a Strike.

Lui non avrebbe riconosciuto quel Laing, se gli fosse passato accanto per strada. L’ex pugile era ingrassato notevolmente, soprattutto in faccia. Il collo non si vedeva più; la pelle appariva tesa, i tratti distorti. Un braccio cingeva le spalle di una Lorraine sorridente, l’altro penzolava molle al suo fianco. Non sorrideva. Strike avvicinò la foto. La rosa gialla tatuata era visibile, ma in parte oscurata da placche rosso vivo che gli ricoprivano completamente l’avambraccio.

«Ha qualcosa alla pelle?»

«Artrite psoriasica» disse Lorraine. «Era messo proprio male. Per questo percepiva l’indennità di malattia. Aveva dovuto smettere di lavorare».

«Ah sì?» disse Strike. «E che lavoro faceva, prima?»

«Era arrivato qui come manager di una delle grandi imprese di costruzione» disse, «ma si è ammalato e non ha più potuto lavorare. A Melrose aveva avuto una propria ditta di costruzioni. Era il direttore generale».

«Davvero?» chiese Strike.

«Sì, azienda di famiglia» disse Lorraine, cercando nel fascio di foto. «L’aveva ereditata dal padre. Qui è ancora lui, guardi».

Si tenevano per mano, in quella foto, che sembrava scattata ai tavoli di una birreria all’aperto. Lorraine sorrideva ma Laing aveva un’espressione assente, la faccia di luna piena che riduceva i suoi occhi neri a fessure. Aveva l’aspetto tipico di un uomo che prende steroidi a scopo terapeutico. I capelli assomigliavano ancora alla pelliccia di una volpe, ma per il resto a Strike riusciva difficile ritrovare i lineamenti del giovane pugile che in passato gli aveva morsicato la faccia.

«Da quanto tempo stavate insieme?»

«Dieci mesi. L’ho conosciuto subito dopo che è morta mamma. Lei aveva novantadue anni... viveva qui con me. Io davo una mano alla signora Williams, la nostra vicina di casa, che ne aveva ottantasette. Alzheimer. Suo figlio è in America. Donnie era buono con lei. Le falciava il prato e andava a farle la spesa».

Il bastardo sapeva fare i suoi conti, pensò Strike. Malato, disoccupato e al verde, una donna sola di mezza età senza figli a carico che sapeva cucinare, che viveva in una casa di proprietà, che aveva appena ereditato dei soldi dalla madre, doveva essergli sembrata manna dal cielo. Valeva la pena di fingere un po’ di compassione per attaccare il cappello al chiodo. Laing aveva fascino, quando decideva di farne uso.

«Sembrava a posto quando ci siamo conosciuti» ricordò Lorraine cupamente. «Si faceva in quattro per me. Non stava bene, però. Le articolazioni gonfie eccetera. Doveva farsi fare le iniezioni dal dottore. Poi è diventato un po’ lunatico, ma ho pensato che fosse colpa della salute. I malati non possono stare sempre allegri, no? Non sono tutti com’era mamma. Lei era meravigliosa, stava male davvero, eppure sorrideva sempre e... e...»

«Aspetti che le do un fazzoletto» disse Robin, sporgendosi piano verso la scatola con il rivestimento all’uncinetto, per non disturbare il Jack Russell che aveva la testa posata sul suo grembo.

«Ha denunciato il furto dei gioielli?» domandò Strike, non appena Lorraine ebbe preso il fazzoletto, che usò fra un tiro e l’altro di Superking.

«No» rispose lei, brusca. «A che scopo? Non li avrebbero mai ritrovati».

Robin pensò che Lorraine non avesse voluto attirare l’attenzione sulla sua umiliante vicenda, e la capiva.

«È mai stato violento?» domandò dolcemente Robin.

Lorraine parve sorpresa.

«No. Siete qui per quello? Ha fatto del male a qualcuno?»

«Non lo sappiamo» rispose Strike.

«Non credo che possa aver fatto del male a qualcuno» disse lei. «Non era il tipo. L’ho detto anche alla polizia».

«Scusi» disse Robin, lisciando la testa del Jack Russell ora sonnecchiante. «Avevo capito che non ha denunciato il furto...»

«È stato dopo» disse Lorraine. «Circa un mese dopo che se n’era andato. Qualcuno è entrato dalla signora Williams, l’ha tramortita e le ha svaligiato la casa. La polizia voleva sapere dove si trovava Donnie. Ho detto: ‘Se n’è andato da un pezzo’. Comunque, lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, ho detto. Era sempre stato buono con lei. Non avrebbe mai colpito una vecchia!»

Si erano tenuti per mano in una birreria. Aveva falciato il prato della vecchina. Lorraine si rifiutava di credere che Laing fosse del tutto malvagio.

«Immagino che la sua vicina non abbia potuto fare una descrizione del ladro» domandò Strike.

Lorraine scosse il capo.

«Non è mai tornata, dopo. È morta in un ricovero per vecchi. A Northfield, adesso, ci sta una famiglia» disse Lorraine. «Tre bimbetti. Non vi dico il rumore... e hanno la faccia tosta di lamentarsi del cane!»

Erano arrivati a un punto morto. Lorraine non aveva idea di dove fosse andato Laing. Non ricordava di avergli mai sentito nominare un luogo cui fosse legato, a parte Melrose, e non aveva mai conosciuto nessuno dei suoi amici. Quando si era resa conto che non sarebbe mai tornato, aveva cancellato il suo numero di cellulare dalla rubrica. Lasciò che Strike e Robin prendessero le due foto di Laing ma, a parte questo, non poteva aiutarli in altro modo.

Il Jack Russell protestò vivamente quando Robin lo privò del calore del proprio grembo, e diede segno di voler sfogare il proprio scontento su Strike quando il detective si alzò dalla sedia.

«Finiscila, Tigger» disse Lorraine con rabbia, trattenendo a stento il cane che si dibatteva sul divano.

«Conosciamo la strada» urlò Robin per sovrastare i latrati frenetici del botolo. «Tante grazie per il suo aiuto!»

La lasciarono nel suo caotico e fumoso soggiorno, con la caviglia bendata sollevata, probabilmente un po’ più triste e più inquieta per la loro visita. Il rumore del cane isterico li seguì fino al vialetto del giardino.

«Forse dovevamo prepararle almeno una tazza di tè» disse Robin, sentendosi in colpa, quando furono di nuovo nella Land Rover.

«Non sa di averla scampata bella» disse Strike. «Pensa alla povera vecchietta qui» indicò Northfield, «pestata a sangue per poche sterline».

«Pensi che sia stato Laing?»

«Certo che è stato lo stronzo di Laing» disse Strike, mentre Robin metteva in moto. «Studiava il colpo con la scusa di darle una mano, no? E vorrei farti notare che, con tutta la sua artrite, era in grado di falciare il prato e di tramortire una vecchia signora».

Affamata e stanca, la testa che le doleva per il fumo stantio di sigaretta, Robin annuì e disse che probabilmente era vero. Era stato un colloquio sconfortante e la prospettiva di altre due ore e mezzo di guida per tornare a casa non era allettante.

«Ti spiace se ripartiamo subito?» disse Strike, guardando l’orologio. «Ho detto a Elin che sarei tornato stanotte».

«Nessun problema» rispose Robin.

Tuttavia, per qualche ragione – fosse il mal di testa, fosse il pensiero della donna sola seduta a Summerfield tra ricordi di persone amate che non c’erano più – Robin si sarebbe messa volentieri a piangere.