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So grab your rose and ringside seat,

We’re back home at Conry’s bar.

Blue Öyster Cult, Before the Kiss25

Dietro la vetrina di un negozio della strada principale era appesa una tovaglietta. Era decorata con disegni a tratto nero delle attrazioni turistiche locali, ma a catturare l’attenzione di Strike fu una serie di rose gialle stilizzate uguali a quella del tatuaggio che ricordava di aver visto sul possente avambraccio di Donald Laing. Si soffermò a leggere i versi al centro della tela:

 

It’s oor ain toon

It’s the best toon

That ever there be:

Here’s tae Melrose,

Gem o’ Scotland,

The toon o’ the free.26

 

Aveva lasciato la Mini in un parcheggio accanto all’abbazia, con i suoi archi rosso scuro che si stagliavano contro un cielo azzurro. Al di là, verso sudest, c’erano i tre picchi di Eildon Hill, che Strike aveva notato sulla carta e che davano un tocco di drammaticità e peculiarità all’orizzonte. Dopo un panino al bacon comprato al bar vicino e mangiato a un tavolino all’aperto, seguito da una sigaretta e dal secondo tè forte della giornata, Strike s’era avviato a piedi in cerca del Wynd, il recapito che Laing aveva dato sedici anni prima quando si era arruolato e che Strike non sapeva come pronunciare. Era ‘uind’ come per vento o ‘uaind’ come per dare la carica all’orologio?

La cittadina aveva un’aria florida al calore del sole; Strike percorse la ripida strada principale verso la piazza centrale, dove una colonna sormontata da un unicorno si ergeva da un basamento fiorito. Una pietra rotonda nella pavimentazione recava l’antico nome romano della città, Trimontium: Strike sapeva che si trattava di un riferimento ai tre colli poco distanti.

Pareva proprio che se lo fosse perso, quel Wynd che secondo la mappa del telefonino partiva dalla strada principale. Tornò indietro e scoprì un piccolo ingresso nelle mura alla sua destra, largo quanto bastava per far passare un pedone e che portava a un ombroso cortile interno. La vecchia casa di famiglia di Laing aveva una porta d’ingresso di un azzurro acceso e si raggiungeva grazie a una breve rampa di gradini.

Strike bussò e quasi subito aprì la porta una graziosa donna dai capelli scuri e di gran lunga troppo giovane per essere la madre di Laing. Quando Strike spiegò qual era lo scopo della sua visita, lei rispose con una leggera inflessione che lui trovò seducente:

«La signora Laing? Non sta più qui da almeno dieci anni».

Prima che il morale di Strike crollasse a pezzi, aggiunse:

«Abita in Dingleton Road».

«Dingleton Road? È lontana?»

«Poco più avanti». Indicò la direzione alle sue spalle, sulla destra. «Non so il numero, mi spiace» aggiunse col suo accento scozzese.

«Non importa. Grazie mille».

Ripercorrendo al contrario l’angusto vicolo per tornare alla piazza assolata, gli venne in mente che, tolte le oscenità che il giovane soldato gli aveva mormorato all’orecchio sul ring, non aveva mai sentito Donald Laing parlare. Ancora sotto copertura per il suo caso di droga, il barbuto Strike non doveva nel modo più assoluto essere visto entrare e uscire dalla sede centrale, sicché l’interrogatorio di Laing dopo il suo arresto era stato condotto da altri. Più avanti, dopo aver concluso con successo la sua indagine e di nuovo senza barba, Strike aveva deposto contro Laing in tribunale, ma era sull’aereo di ritorno da Cipro quando Laing aveva negato di aver legato o torturato la moglie. Mentre attraversava la piazza del mercato, Strike si domandò se non poteva essere proprio l’accento scozzese una delle ragioni per cui tanta gente si era rivelata così pronta a credere a Donnie Laing, a perdonarlo, a farselo piacere. Gli pareva di ricordare d’aver letto che i pubblicitari usavano accenti scozzesi se intendevano suggerire integrità e onestà.

Il solo pub che Strike avesse scorto fino a quel momento si trovava poco più avanti lungo una strada che aveva superato per andare a Dingleton Road. Pareva proprio che Melrose amasse il giallo: i muri erano bianchi, ma le porte e le finestre del pub spiccavano per il giallo limone e il nero. Per lo spasso del cornovagliese Strike, dato che la città non aveva sbocchi sul mare, il pub si chiamava Ship Inn. Strike imboccò Dingleton Road, che serpeggiava sotto un ponte, diventava una ripida collina e spariva alla vista.

L’espressione ‘poco più avanti’ era molto relativa, come Strike aveva avuto occasione di scoprire da quando aveva perso il polpaccio e il piede. Dopo dieci minuti di scalata della collina, stava cominciando a pentirsi di non essere tornato al parcheggio a prendere la Mini. Per due volte aveva domandato a donne incontrate per strada se sapevano dove vivesse la signora Laing, ma per quanto gentili e amabili, nessuna delle due era stata in grado di dirglielo. Arrancando e sudando leggermente, superò una serie di bungalow bianchi, fino a quando incontrò un anziano signore che arrivava in senso contrario, calzando un cappello floscio di tweed e portando a spasso un border collie bianco e nero.

«Scusi» disse Strike. «Sa per caso dove abita la signora Laing? Ho dimenticato il numero».

«’gnora Laing?» rispose l’uomo col cane, scrutando Strike da sotto le folte sopracciglia brizzolate. «Sì, è la mia vicina di casa».

Sia ringraziato il cielo.

«La terza casa, quella con il pozzo di pietra sul davanti».

«Grazie tante» disse Strike.

Mentre imboccava il vialetto della signora Laing, notò con la coda dell’occhio che il vecchio si era fermato là dove si trovava e lo guardava, a dispetto del collie che cercava di tirarlo verso la discesa.

Il villino della signora Laing aveva un’aria linda e rispettabile. Animali di pietra di stampo disneyano costellavano il prato e spuntavano dalle aiuole. La porta d’ingresso si trovava sul lato dell’edificio, in ombra. Soltanto quando lui alzò la mano verso il picchiotto si rese conto che, di lì a qualche secondo, si sarebbe potuto trovare faccia a faccia con Donald Laing.

Per un intero minuto dopo che ebbe bussato non accadde nulla, a parte il vecchio col cane che era tornato sui suoi passi e, fermo davanti al cancello della signora Laing, lo fissava senza ritegno. Strike sospettava che l’uomo si fosse pentito di avergli dato l’indirizzo della vicina e volesse accertarsi che quello sconosciuto marcantonio non volesse far del male alla donna, ma si sbagliava.

«È dentro» disse infatti a Strike, che si stava chiedendo se doveva bussare di nuovo. «Ma è tocca».

«Cos’è?» disse di rimando Strike mentre bussava una seconda volta.

«Tocca. Suonata».

Il vecchio col cane fece qualche passo nel vialetto verso Strike.

«Demente» tradusse per l’inglese.

«Ah» disse Strike.

La porta si aprì, rivelando una minuscola, rinsecchita vecchia dalla faccia giallognola, che indossava una vestaglia blu. Fissò Strike con una sorta di sfocata malevolenza. Peli ispidi le spuntavano dal mento.

«Signora Laing?»

Lei non parlò, ma lo fissò con occhi che, per quanto iniettati di sangue e slavati, dovevano essere stati penetranti come quelli di un furetto ai loro tempi.

«Signora Laing, sto cercando suo figlio Donald».

«No» rispose lei con stupefacente veemenza. «No».

Arretrò e chiuse la porta sbattendola.

«Merda» disse Strike sottovoce, cosa che lo indusse subito a pensare a Robin. Sarebbe stata quasi sicuramente più brava di lui a ingraziarsi la vecchina. Strike si voltò lentamente, chiedendosi se c’era qualcun altro a Melrose che potesse aiutarlo – aveva visto su Internet che esistevano altri Laing – e si ritrovò faccia a faccia col vecchio del cane, che aveva percorso tutto il vialetto per andargli incontro e lo guardava con cauta eccitazione.

«Lei è l’investigatore» disse. «Lei è l’investigatore che ha mandato dentro suo figlio».

Strike rimase interdetto. Non riusciva a immaginare come potesse essere noto a un anziano scozzese che non aveva mai visto prima. La sua presunta fama era di portata troppo scarsa per essere riconosciuto dagli estranei. Tutti i giorni percorreva le strade di Londra senza che nessuno si curasse di sapere chi era e, a meno che qualcuno non lo incontrasse o ne sentisse il nome in un contesto investigativo, veniva associato di rado agli articoli che parlavano dei casi che aveva felicemente risolto.

«Sì, è proprio lei!» disse il vecchio, sempre più eccitato. «Mia moglie e io siamo amici di Margaret Bunyan». E, davanti allo sconcerto di Strike, spiegò: «La madre di Rhona».

Alla capace memoria di Strike occorsero pochi secondi per elaborare l’informazione: la moglie di Laing, la ragazza che aveva scoperto legata al letto sotto il lenzuolo insanguinato, si chiamava Rhona.

«Quando Margaret l’ha vista sui giornali ci ha detto: ‘Eccolo, questo è il giovanotto che ha salvato la nostra Rhona!’ Sta avendo un bel successo, eh? Falla finita, Wullie!» aggiunse verso lo smanioso collie che continuava a tirare il guinzaglio per tornare sulla strada. «Oh, sì, Margaret segue tutto quello che lei fa, tutti gli articoli. Ha scoperto chi ha ucciso quella modella... e quello scrittore! Margaret non ha mai dimenticato quello che ha fatto per la sua bambina, mai».

Strike borbottò qualcosa d’indistinto, qualcosa che sperava suonasse come una parola di gratitudine per l’apprezzamento di Margaret.

«Come mai voleva parlare con la signora Laing? Avrà mica fatto dell’altro, quel Donnie?»

«Lo sto cercando» disse Strike in modo evasivo. «Lei non sa se è tornato a Melrose?»

«Oh, no, non credo proprio. È venuto a trovare sua madre qualche anno fa, ma non so se è più tornato. Questo è un paesotto: se Donnie Laing fosse tornato... l’avremmo saputo, no?»

«Lei crede che la signora... Bunyan, ha detto?... potrebbe...?»

«Sarebbe felicissima di conoscerla!» disse il vecchio con eccitazione. «No, Wullie» aggiunse rivolto al border collie uggiolante che stava cercando di tirarlo verso il cancello. «Le telefono, vuole? Abita a Darnick. Il paese qui di fianco. La chiamo?»

«Sarebbe davvero gentile».

Così Strike accompagnò il vecchio nella casa accanto e aspettò in un piccolo, lindo salotto, mentre lui farfugliava eccitato al telefono sovrastando gli uggiolii sempre più violenti del suo cane.

«Arriva» disse il vecchio, tenendo una mano sul microfono. «Vuole incontrarla qui? È il benvenuto. Mia moglie le fa un tè...»

«Grazie, ma ho un paio di cosette da fare» mentì Strike, che dubitava di poter fare un incontro decente in presenza di quel garrulo testimone. «Può sentire se è libera per pranzo allo Ship Inn? Fra un’ora?»

La determinazione del collie fece pendere la bilancia dalla parte di Strike. I due uomini lasciarono la casa e scesero dalla collina insieme, con il collie che non smetteva di tirare, sicché Strike fu costretto a tenere un’andatura più veloce di quella che avrebbe desiderato in una discesa così ripida. Con sollievo, salutò il suo collaborativo conoscente nella piazza del mercato. Con un allegro cenno di saluto, il vecchio prese la direzione del fiume Tweed e Strike, adesso leggermente zoppicante, passeggiò per la strada principale, ammazzando il tempo fino al momento in cui venne l’ora di raggiungere lo Ship Inn.

In fondo alla strada incontrò un’altra esplosione di nero e giallo acido che spiegava i colori dello Ship Inn. Anche lì c’era la rosa gialla, su un cartello che annunciava MELROSE RUGBY FOOTBALL CLUB. Strike si fermò, le mani in tasca, a guardare sopra il basso muretto la liscia, piana distesa di velluto verde circondata da alberi, le gialle porte da rugby che scintillavano al sole, le gradinate sulla destra e le colline dolcemente ondulate sullo sfondo. Il campo era tenuto bene come tutti i luoghi di culto, ed era un complesso straordinariamente ben attrezzato per una cittadina così piccola.

Tenendo lo sguardo fisso al di là della distesa d’erba vellutata, Strike ricordò Whittaker, che puzzava e fumava in un angolo dello squat mentre Leda accanto a lui ascoltava a bocca aperta le storie delle sue sventure; credulona e ingorda come un uccellino, adesso Strike lo capiva, delle panzane che Whittaker le propinava. Per Leda, la Gordonstoun School poteva benissimo essere Alcatraz. Era una vergogna che il suo esile poeta fosse stato buttato fuori nel rigido inverno scozzese per essere scazzottato e malmenato in mezzo al fango e sotto la pioggia.

«Oh no, rugby no, tesoro. Povero piccolo... tu giocavi a rugby!»

E quando il diciassettenne Strike (con un labbro gonfio per la palestra di boxe) aveva ridacchiato sopra i compiti a casa, Whittaker si era alzato barcollando, urlando col suo odioso accento che voleva essere plebeo:

«Che cazzo ridi, pezzo d’idiota?»

Whittaker non sopportava che si ridesse alle sue spalle. Necessitava, bramava l’adulazione: in mancanza di questa, avrebbe preso la paura o anche il disgusto come una prova del suo potere, ma il ridicolo era la prova della presunta superiorità di un altro e di conseguenza insopportabile.

«Ti piacerebbe, eh, coglioncello? Ti credi già un campione del cazzo, vero, tu e i tuoi superuomini... Di’ al suo ricco paparino di mandarlo alla Gordonstoun, cazzo!» aveva urlato Whittaker a Leda.

«Calmati, tesoro» aveva detto lei, e poi, in termini leggermente più perentori: «No, Corm!»

Strike si era alzato, teso, pronto e impaziente di colpire Whittaker. Non era mai andato così vicino a farlo, ma sua madre si era messa fra di loro, posando un’esile mano inanellata su ciascun petto affannato.

Strike sbatté le palpebre e il campo splendente di sole, un luogo di innocente cimento ed eccitazione, tornò a fuoco. Sentiva l’odore delle foglie, dell’erba e di gomma calda della vicina strada. Si voltò lentamente e tornò verso lo Ship Inn, assetato. Ma il suo infido subconscio non aveva ancora finito con lui.

Vedere quel tranquillo campo da rugby aveva suscitato un altro ricordo: Noel Brockbank che, capelli neri, occhi scuri, gli si avventa contro brandendo una bottiglia spaccata. Brockbank era enorme, possente e veloce: una terza ala. Strike ricordava il proprio pugno che si alzava e, passando a lato della bottiglia rotta, colpiva proprio nel momento in cui il vetro gli toccava il collo...

Frattura della base cranica, avevano detto. Sanguinamento dall’orecchio. Grave lesione cerebrale.

«Cazzo, cazzo, cazzo» borbottò Strike sottovoce, a tempo col proprio passo.

Laing, sei qui per lui. Laing.

Passò sotto il galeone metallico dalle vele color giallo acceso appeso sopra la porta dello Ship Inn. Un cartello all’ingresso diceva UNICO PUB DI MELROSE.

Il posto lo rasserenò immediatamente: un bagliore di colori caldi, vetri e ottoni splendenti; sulla moquette un patchwork di marroni smorzati, rossi e verdi; alle pareti un caldo color pesca e pietre a vista. Ovunque indicazioni dell’ossessione sportiva di Melrose: lavagne che annunciavano partite imminenti, enormi schermi al plasma e, sopra l’orinatoio (erano passate ore da quando Strike aveva fatto l’ultima pipì), un piccolo televisore a muro, nel caso che un’azione si protraesse tanto da non poter più ignorare una vescica piena.

Pensando al viaggio di ritorno per Edimburgo, Strike ordinò solo una mezza pinta di John Smith’s e sedette sul divano rivestito di pelle antistante al bar, a contemplare la carta plastificata del menu laminato e sperando che Margaret Bunyan fosse puntuale: si era appena reso conto di avere una fame da lupo.

La donna arrivò cinque minuti dopo. Sebbene Strike rammentasse a stento l’aspetto di sua figlia e non avesse mai visto prima la signora Bunyan, la sua espressione in cui si mescolavano apprensione e aspettativa la tradì non appena si fermò, fissandolo, sulla soglia.

Strike si alzò e lei avanzò esitante, le mani che stringevano i manici di una grossa borsetta nera.

«È lei» mormorò la signora.

Era sui sessanta, bassina e fragile, portava occhiali cerchiati di metallo, l’espressione ansiosa sotto i capelli biondo chiaro con la permanente.

Strike le strinse la mano leggermente tremante, fredda e dalle ossa sottili.

«Suo padre oggi è a Hawick, non può venire, gli ho telefonato, si è raccomandato di dirle che non dimenticherà mai quello che ha fatto per nostra figlia» disse tutto d’un fiato. Si lasciò cadere sul divano accanto a Strike, senza smettere di fissarlo con soggezione e determinazione a un tempo. «Non abbiamo mai dimenticato. Leggiamo di lei sui giornali. Ci è dispiaciuto tanto per la gamba. Quello che ha fatto per Rhona! Quello che...»

Gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime.

«... eravamo così...»

«Sono felice di essere riuscito a...»

Trovare sua figlia legata nuda e sporca di sangue su un letto? Parlare ai famigliari di quello che avevano subìto i loro cari era una delle parti peggiori del lavoro.

«... ad aiutarla».

La signora Bunyan si soffiò il naso in un fazzoletto recuperato dal fondo della borsa nera. Si capiva che apparteneva a quella generazione di donne che non sarebbero mai entrate in un pub da sole e sicuramente non prendevano da bere al bar quando c’era un uomo in grado di accollarsi il compito in loro vece.

«Le prendo qualcosa».

«Soltanto una spremuta d’arancia» disse lei con un filo di voce, tamponandosi gli occhi.

«E qualcosa da mangiare» la incoraggiò Strike, che non vedeva l’ora di ordinare per sé il merluzzo in pastella di birra e patatine.

Quando ebbe fatto le ordinazioni al bar e tornò da lei, la donna domandò come mai si trovava a Melrose e la causa del suo nervosismo divenne di colpo evidente.

«Sarà mica tornato? Donnie? È tornato?»

«Pare di no» disse Strike. «Non so dove sia».

«Crede che abbia a che fare...?»

La sua voce era diventata un sussurro.

«Abbiamo letto i giornali... qualcuno le ha mandato una... una...»

«Già» disse Strike. «Non so se lui c’entra, ma vorrei trovarlo. Mi hanno detto che è tornato qui per vedere sua madre quando ha lasciato la prigione».

«Oh, quattro o cinque anni fa» disse Margaret Bunyan. «Si è presentato alla sua porta, è entrato in casa con la forza. Lei ha l’Alzheimer, adesso. Non poteva fermarlo, ma i vicini hanno chiamato i fratelli che sono arrivati e l’hanno buttato fuori».

«Davvero?»

«Donnie è il più giovane. Ha quattro fratelli più grandi. Uomini duri» spiegò la signora Bunyan, «tutti. Jamie abita a Selkirk... si è precipitato a sbatter fuori Donnie da casa di sua madre. Dicono che l’abbia steso».

Prese un tremulo sorso di succo d’arancia e continuò:

«Ci hanno raccontato tutto. Il nostro amico Brian, che lei ha appena conosciuto, ha visto la lite per strada. Quattro contro uno, tutti che urlavano e berciavano. Qualcuno ha chiamato la polizia. Jamie si è beccato un avvertimento. Se ne frega» disse la signora Bunyan. «Non lo vogliono fra i piedi o fra i piedi della madre. Lo hanno costretto a lasciare il paese.

«Io ero terrorizzata» proseguì. «Per Rhona. Aveva detto che sarebbe venuto a cercarla appena fosse uscito di galera».

«E l’ha fatto?» domandò Strike.

«Oh, sì» disse Margaret Bunyan mestamente. «Sapevamo che l’avrebbe fatto. Lei era andata a stare a Glasgow, aveva trovato lavoro in un’agenzia di viaggi. Lui l’ha scovata lo stesso. Per sei mesi lei è vissuta nella paura di vederlo comparire e poi un giorno è successo. Le è piombato in casa una notte, però era stato male. Non era più lo stesso».

«Male?» ripeté subito Strike.

«Non ricordo cosa si era preso, una specie di artrite, mi pare, e Rhona mi ha detto che era molto ingrassato. È arrivato nel suo appartamento di notte, l’aveva seguita, ma grazie a Dio» disse con fervore la signora Bunyan, «il fidanzato di Rhona si era fermato a dormire da lei. Si chiama Ben» aggiunse con uno svolazzo trionfale delle mani, mentre un rossore le colorava le guance pallide, «ed è un poliziotto».

Lo disse come se pensasse che Strike sarebbe stato contento di saperlo, come se lui e Ben fossero membri di una qualche grande confraternita investigativa.

«Adesso sono sposati» continuò la signora Bunyan. «Senza figli, perché... Be’, lei sa perché...»

E, senza preavviso, un torrente di lacrime proruppe inondando la faccia della signora Bunyan dietro gli occhiali. L’orrore di quanto era successo un decennio prima era d’un tratto presente e vivido, come se qualcuno avesse appena versato davanti a loro un mucchio d’interiora.

«... Laing le aveva infilato dentro un coltello» sussurrò la signora Bunyan.

Confidava in lui come se Strike fosse un medico o un prete, rivelandogli i segreti che le pesavano dentro, ma che non poteva raccontare alle proprie amiche; lui conosceva già il peggio. Mentre la donna cercava di nuovo il fazzoletto nella borsa nera quadrata, Strike rivedeva la grande macchia di sangue sulle lenzuola, la pelle escoriata del polso che Rhona aveva cercato di liberare. Per fortuna, sua madre non poteva guardargli dentro la testa.

«Le ha infilato dentro un coltello... poi hanno cercato... sa... di riparare...»

La signora Bunyan tirò un lungo, vibrante respiro mentre due piatti di cibo comparivano davanti a loro.

«Ma lei e Ben fanno delle belle vacanze, adesso» bisbigliò febbrilmente, tamponandosi le guance incavate, alzando gli occhiali che le erano scivolati sul naso. «E allevano... allevano pastori... pastori tedeschi».

Per affamato che fosse, Strike non riusciva a mangiare subito dopo aver parlato di quel che era successo a Rhona Laing.

«Lei e Laing avevano un bambino, no?» domandò, ricordando i suoi flebili lamenti accanto alla madre insanguinata e disidratata. «Oggi il bambino dovrebbe avere... dieci anni?»

«È morto» bisbigliò la donna, con le lacrime che le gocciavano dal mento. «Da piccolo. Stava sempre male, poverino. È successo d-due giorni dopo che avevano portato via D- Donnie. E l-lui – Donnie – ha telefonato dal carcere e ha detto a Rhona che sapeva che l’aveva ucciso lei... ucciso... il bambino... e che appena uscito di galera le avrebbe fatto la pelle...»

Strike posò brevemente una delle sue manone sulla spalla della donna, poi si alzò in piedi e si avvicinò alla giovane barista che li stava osservando a bocca aperta. Il brandy gli sembrava troppo forte per quel passerotto di donna che aveva accanto. La zia di Strike, Joan, che era soltanto poco più anziana della signora Bunyan, considerava da sempre il Porto una specie di medicinale. Strike ne ordinò un bicchiere e lo portò alla donna.

«Ecco. Beva questo».

Fu ricompensato da una recrudescenza di lacrime, ma, dopo un’altra serie di tamponamenti con il fazzoletto zuppo, la donna balbettò: «Lei è molto gentile». Sorseggiò il Porto, ebbe un piccolo sussulto e guardò Strike a occhi socchiusi, le palpebre dalle ciglia bionde rosate come quelle di un porcellino.

«Ha idea di dove possa essere andato Laing dopo?»

«Sì» sussurrò lei. «Ben ha chiesto un po’ in giro, all’ufficio libertà vigilata. Pare che sia finito a Gateshead, ma non so se è ancora lì».

Gateshead. Strike ricordava il Donald Laing che aveva trovato in rete. Si era spostato da Gateshead a Corby? O si trattava di un’altra persona?

«Comunque» disse la signora Bunyan, «ha lasciato in pace Rhona e Ben».

«Ci credo» disse Strike, prendendo coltello e forchetta. «Un poliziotto e dei pastori tedeschi... Mica scemo».

La donna parve trarre coraggio e conforto dalle sue parole, e con un timido, dolente sorriso cominciò a mangiucchiare la pasta con salsa al formaggio.

«Si erano sposati giovani» commentò Strike, che voleva sapere il più possibile su Laing: qualunque cosa potesse dargli un’idea delle sue abitudini e frequentazioni.

Lei annuì, deglutì e disse: «Troppo giovani. Lei aveva cominciato a frequentarlo che aveva soltanto quindici anni e a noi la cosa non piaceva. Avevamo sentito delle brutte cose su Donnie Laing. Una ragazzina diceva che lui l’aveva violentata nella discoteca Young Farmers. Non si è arrivati mai a niente: per la polizia non c’erano prove sufficienti. Noi abbiamo cercato di dirle che quel ragazzo era un poco di buono» sospirò, «ma siamo riusciti soltanto a renderla più determinata. Sempre stata testarda, la nostra Rhona».

«Era già stato accusato di stupro?» domandò Strike. Il suo merluzzo con patatine fritte era eccellente. Il pub si stava riempiendo, e lui ne era contento: l’attenzione della barista non si concentrava più su loro due.

«Oh, sì. Sono una famiglia violenta» disse la signora Bunyan, con quello snobismo puritano di paese che Strike conosceva bene. «Tutti quei fratelli maschi, sempre a fare a botte, sempre nei guai con la polizia, ma lui era il peggiore di tutti. Non piaceva nemmeno ai suoi fratelli. Credo che nemmeno sua madre lo amasse molto, a dire il vero. Girava voce» disse in un empito di confidenza, «che fosse figlio di un altro padre. I genitori litigavano sempre e si sono separati più o meno quando lei è rimasta incinta di Donnie. La gente diceva che se la faceva con un poliziotto locale, a dirla tutta. Non so se è vero. Poi il poliziotto se n’è andato ed è tornato il signor Laing, ma al signor Laing Donnie non è mai piaciuto, questo lo so per certo. Mai. La gente dice che era perché lui sapeva che Donnie non era suo figlio. Era il più cattivo di tutti. Un energumeno. Era entrato negli junior sevens...»

«Sevens?»

«Rugby a sette» spiegò lei, e perfino quella piccola, garbata signora fu sorpresa che Strike non capisse immediatamente quello che, a Melrose, sembrava più una religione che uno sport. «Ma è stato cacciato. Per indisciplina. La settimana dopo, qualcuno ha riempito di buche il Greenyards. Il campo» aggiunse, in risposta all’aria interrogativa di Strike.

Il Porto la stava rendendo loquace. Adesso le parole le uscivano a cascata.

«Allora è passato alla boxe. Aveva il dono della parlantina, però, ah sì. Quando Rhona ha cominciato a uscire con lui – lei aveva quindici anni e lui diciassette – qualcuno mi ha detto che in realtà non era un cattivo ragazzo. Ah sì» ripeté, davanti allo sguardo incredulo di Strike. «Chi non lo conosceva bene si lasciava ingannare. Sapeva incantare, quando voleva, Donnie Laing.

«Vada a domandarlo a Walter Gilchrist, se sapeva incantare o no. Walter l’ha cacciato dalla sua azienda agricola – arrivava sempre in ritardo – e qualcuno poco dopo gli ha incendiato il fienile. Non sono mai riusciti a dimostrare che è stato Donnie. Non l’hanno incastrato nemmeno per le buche del campo, ma io so cosa pensare.

«Rhona non ci ha dato retta. Era sicura di conoscerlo: era un incompreso e non so cos’altro. Eravamo meschini, pieni di pregiudizi. Poi lui si è arruolato nell’esercito. Che liberazione! ho pensato. Speravo che, una volta partito, lei l’avrebbe dimenticato.

«Poi è tornato in licenza. L’ha messa incinta ma lei ha perso il bambino. Ce l’aveva con me perché le avevo detto...»

Non volle dirgli cosa le aveva detto, ma Strike poteva immaginarlo.

«... e da allora non mi ha più parlato, alla prima licenza l’ha sposato. Suo padre e io non siamo stati invitati» puntualizzò. «Sono partiti insieme per Cipro. Ma io so che è stato lui a uccidere il nostro gatto».

«Cosa?» disse Strike, confuso.

«So che è stato lui. Abbiamo detto a Rhona che stava facendo un errore tremendo, l’ultima volta che l’abbiamo vista prima del matrimonio. Quella notte non siamo riusciti a trovare Purdy. Il giorno dopo, la gattina era sul prato dietro casa, morta. Il veterinario ha detto che era stata strozzata».

Sullo schermo al plasma sopra di lei, Dimitar Berbatov in maglia rossa stava festeggiando un goal al Fulham. L’aria era colma delle urla degli scozzesi. I bicchieri e le posate tintinnavano, mentre la commensale di Strike parlava di morte e mutilazione.

«So che è stato lui, so che ha ucciso Purdy» disse lei febbrilmente. «Pensi a cos’ha fatto a Rhona e al bambino. È malvagio».

Armeggiò con il gancio della borsa e tirò fuori una mazzetta di fotografie.

«Mio marito mi dice sempre ‘Perché continui a tenerle? Bruciale’. Ma io ho sempre pensato che un giorno ci sarebbero potute servire delle foto di Laing. Ecco» disse, spingendole nelle mani impazienti di Strike. «Ora le ha lei, le tenga lei. Gateshead. È lì che è andato, dopo».

Più tardi, dopo che lei se ne fu andata con altre lacrime e altri ringraziamenti, dopo che lui ebbe pagato il conto, Strike passò dai Millers di Melrose, una macelleria che aveva notato passeggiando. Comprò un paio di tortini di cervo pensando che alla stazione non avrebbe trovato niente di altrettanto buono, prima di imbarcarsi sul vagone letto per Londra.

Tornando al parcheggio attraverso una stradina fiorita di rose gialle, Strike ripensò al tatuaggio su quell’avambraccio possente.

Un tempo, anni prima, doveva aver significato qualcosa per Donnie Laing appartenere a quella graziosa cittadina, circondata da fattorie e sovrastata dalle tre punte di Eildon Hill. Eppure non era stato un onesto lavoratore della terra, né un bravo giocatore, né una risorsa per un posto che pareva andare orgoglioso del proprio ordine e delle sue attività pulite. Melrose aveva sputato fuori l’incendiario di fienili, lo strangolatore di gatti, il devastatore di campi da rugby, e Laing aveva cercato rifugio laddove molti uomini avevano trovato o la salvezza o l’inevitabile castigo: l’esercito inglese. Quando questo l’aveva buttato in prigione, e la prigione l’aveva vomitato, lui aveva cercato di tornare a casa, ma nessuno l’aveva voluto.

Che Donald Laing avesse trovato un’accoglienza più calorosa a Gateshead? Da lì si era trasferito a Corby? O, pensò il detective, contorcendosi per entrare nella Mini di Hardacre, quelle erano state soltanto tappe nel suo viaggio verso Londra e verso di lui, Strike?